a me rileggere questo saggio aiuta molto:
Molto bello e centrato. Il rischio è inerente a certe attività, e l'esposizione allo stesso è il prezzo da pagare per godere dei benefici che ne derivano, qualunque essi siano.
Non importa se siano benefici oggettivi (come un compenso economico, una vittoria in una competizione) o totalmente soggettivi (la soddisfazione e il piacere personale, totalmente indipendente dal giudizio o riconoscimento da parte di altri).
E' anche evidente il meccanismo di distanziamento istintivo, che capita regolarmente quando c'è un brutto incidente, che a farne le spese sia un pilota di F1, un alpinista, un sommozzatore o un biker cambia poco.
Ci si mette "al sicuro" giudicando le scelte altrui, mentre magari in una qualunque domenica sui sentieri rischiamo altrettanto, solo che finchè va liscia non c'è nessun problema, il conto arriva la volta che si finisce in PS, o peggio.
E' chiaro che chi gioca a certi livelli ha in ballo più dell'amatore medio, ma se si potesse avere un metro del rapporto rischio/beneficio sono sicuro che i numeri sarebbero ben più alti per il freerider della domenica rispetto a quelli di chi lo fa con la costanza di un professionista come Atherton.