Come la Slovenia convive con milleduecento orsi
Caro Aldo,
nella risposta al lettore Rigotti, sulla questione orso, lei fa l’esempio della Slovenia. Non dice però che in Slovenia gli orsi, circa 900, vengono gestiti in modo pragmatico anche, e soprattutto attraverso la caccia e questo anche nei parchi. Cacciare un orso in Slovenia (come in Croazia e altre nazioni europee) costa alcune migliaia di euro che vengono poi impiegati anche per la gestione e conservazione della specie. Gli orsi problematici vengono abbattuti e non ci sono problemi di convivenza.
Antonio Benciolini, Verona
Caro Antonio,
A me risulta che gli orsi in Slovenia siano ancora di più, circa 1.200. Ogni anno il loro numero cresce di 65 unità. Qualcuno viene mandato in Francia e Spagna, a ripopolare i Pirenei. Purtroppo 40 vengono abbattuti dai cacciatori. Dalla Germania e dalla Russia si prenotano con mesi di anticipo, disposti a pagare almeno diecimila euro a preda. Non è una bella cosa. Personalmente la trovo orribile. Non so dirle se gli sloveni lo fanno per il denaro, per tenere sotto controllo la popolazione di orsi, o per entrambe le cose. A chiederlo ti ricordano che lo stesso Tito — padre croato e madre slovena — era un celebre cacciatore. I turisti italiani invece arrivano non per uccidere gli orsi, ma per vederli. Bear watching. È una delle esperienze più belle che si possano fare in Europa. La nostra guida si chiamava Jieronim, Geronimo, e non conosceva una parola di nessuna lingua occidentale. Aveva almeno settant’anni, aveva passato la vita in mezzo agli orsi. Portava il fucile a tracolla perché, spiegava l’interprete, con l’orso non si sa mai; ma assicurava di non usarlo da anni. Geronimo ci depositò con la jeep accanto alla casetta per l’avvistamento. Si sale una scala, ci si siede su una panca, si spalanca la finestrella (ognuno ha la sua, massimo quattro persone), e si aspetta. L’orso prima o poi arriverà. Ovviamente, nessuno sa quando. Questa è la vera impresa: rimanere almeno due ore in assoluto silenzio. «Tiho!» si era raccomandato Geronimo; zitti! L’orso infatti ci vede poco, ma ha un udito finissimo: basta un bisbiglio per indurlo a fuggire, anzi a non venire proprio. Il cellulare non prende. Portarsi un libro è inutile: ogni cinque secondi, l’istinto ti spinge ad alzare gli occhi, per vedere se l’orso è arrivato. Passarono, nell’ordine: due volpi, un cervo, un gregge di pecore, scortato da quattro cani pastori, numero minimo per scoraggiare un orso in crisi di fame. Poi, dopo il tramonto, alla luce del crepuscolo (di giorno d’estate per lui fa troppo caldo, mentre di notte è attivissimo), ecco finalmente l’orso. Enorme. Il capobranco infatti va sempre avanti per primo. Scosta l’asse che protegge un piccolo pozzo, e comincia a mangiare la carne che Geronimo ha nascosto lì dentro. L’orso non viene nutrito direttamente: si abituerebbe a essere sfamato, e si impigrirebbe. Deve fare un minimo sforzo; in questo caso, svellere il legno che nasconde la vista del pasto. Poi l’orso si alza sulle zampe e scuote un trabiccolo dov’è nascosta la frutta secca. Poi sparisce. Dopo mezz’ora arriva l’orsa. Più piccola. Una cicatrice dietro un’orecchia. Ma l’orsa non si fida. Ha sentito un rumore innaturale: il clic della macchina fotografica. Quindi non mangia. Va e viene. Si aggira nervosa. Poi riscompare nella foresta. Per ultimo viene il figlio. Non un cucciolo; un orso che si direbbe adolescente. Prima che faccia del tutto buio, Geronimo riporta tutti a casa in jeep. Ricordo che ci mostrò le trappole crudeli con cui i suoi antenati tenevano a bada i predatori; ma ormai, almeno in Slovenia, l’uomo e l’orso convivono. È proprio impossibile aprire anche in Trentino — dove gli orsi sono molti di meno — un parco naturale, vigilato e protetto, senza cacciatori, dove non accadano tragedie, creando lavoro — guardiaparchi, guide, etologi — e arricchendo la cultura della coesistenza tra l’uomo e l’animale?