Nel mondo del ciclismo ormai la parola doping è tanto naturale quanto laria che si respira.
Le cronache sono piene ogni giorno di retate, annunci, licenziamenti, smentite, processi, provette, fialette, flebo, siringhe, manette.
Nei forum si leggono le opinioni più disparate. Si va dal colpevolismo più radicale e violento fino al lo farei anchio.
I più disposti alla riflessione si chiedono cosa sia. I più pragmatici si chiedono che regole inventarsi per contrastarlo. In ogni caso, tutte le posizioni partono dal presupposto che il doping ci sia e che in qualche modo è entrato a far parte del panorama quotidiano.
Tutti conoscono almeno un nome di un campione dopato. Uno che abbia conosciuto la tiritera di giornalisti a caccia di scoop, PM, carabinieri, prelievi, e magari la pubblica gogna (magari seguita da, fatua, pubblica riabilitazione). Nel mondo un po meno dorato del professionismo di fascia bassa e del dilettantismo però i nomi sono più difficili da conoscere, almeno per i non appassionati, e si fanno a bassa voce. E un piccolo mondo.
Più per caso che per altro ho conosciuto alcune di queste persone. E ne sono sempre rimasto scosso per quello che mi hanno comunicato a livello umano. Perché quando li hai davanti, questi che prima erano solo loro, loro che vedevi solo su una bici, guizzanti e potenti, ora li vedi nella secchezza di fisici in cui la massa grassa è stata combattuta con allenamenti e diete ferree, provati da decine di migliaia di km al sole ed al freddo, al vento ed alla pioggia, o peggio da ore di rulli al chiuso, annaspando in pozze di sudore. Di colpo ti rendi conto, guardandoli, di una grande impressione di fragilità. Dietro quei fisici forgiati dalla fatica cè rumore di cristallo rotto. Perché la passione per la bici, il sogno di essere campione, le gare vinte, il bacio della miss, anche se di paese, il sentirsi protetti, spronati dal dirigente, carezzati e incitati dal massaggiatore, le coppe, le braccia alzate sul traguardo, sono sogni.
Sono sogni che molti di noi "biciclisti" (ma non solo) almeno una volta abbiamo fatto.
Queste persone li hanno realizzati.
Magari in piccolo, ma tutto questo lo hanno provato. Poi, però è arrivata lesclusione. Come negli orrendi reality che ci ammorbano alla tv, sono stati buttati fuori dalla casa, ma senza nomination o votazioni, così, di colpo, senza poter fare la valigia, ma magari con un carabiniere che la notte suona alla porta. Ed ecco che le ali del sogno vengono spezzate. Nelle loro parole cè rabbia, tantissima rabbia. La rabbia di chi sente tradito, da chi si sente escluso, magari mentre in tv continua a vedere quelli che sono ancora dentro, nella dorata casa sotto le luci della ribalta. Esclusi da tutto quello che era a portata di mano o quasi. Traditi da chi ne sapeva più di te e ti ha consigliato, ti ha curato, ti ha protetto. Ed ora ti scarica, se ne frega.
La dura legge del gruppo è tanto implacabile sulla strada quanto poi, quando sei sceso di sella. Quando nessuno ti vuole più dare una bicicletta da pedalare e ti impone di stare zitto. Il silenzio.
Cosa resta a questi uomini dopo? Resta la schizofrenia dellessere continuamente condannati ed assolti. Rifiutati ed adulati. Ora angeli ora diavoli. E così la rabbia cresce nelle loro parole. Cè lorgoglio ferito da riscattare, ma il voto del silenzio che pesa come un masso sulla testa. E che alla fine schiaccia.
Ci sono attività in cui riciclarsi, ma sempre di ripiego si tratta, perché il loro posto è là, in sella, sui pedali, a lottare contro la fatica, a ruota o in fuga. O cè il patto col diavolo ed il continuare nellambiente, sostituendosi a quelli che li hanno traditi. Mi lascia sempre scosso parlare con quelli che hanno provato tutto questo. Il dare un giudizio mi mette a disagio.
Ci sono troppe cose che non capisco e che mai capirò.
Mi fa davvero avere in odio però il doping. Un cancro che non agisce sul fisico in maniera così distruttiva che come nella testa. Ti illude e poi ti schianta. Instilla il dubbio.
Non solo nei ciclisti, ma in tutti.
E' un dubbio che logora, che fa perdere credibilità e che ammanta tutto il sistema di una retorica e di un'ipocrisia decisamente insopportabili.
Non cosi' tanto insopportabile pero'. Alla fine quel che conta...non lo so.
Tante risposte,nessuna risposta. Ed il dubbio che resta.
Le cronache sono piene ogni giorno di retate, annunci, licenziamenti, smentite, processi, provette, fialette, flebo, siringhe, manette.
Nei forum si leggono le opinioni più disparate. Si va dal colpevolismo più radicale e violento fino al lo farei anchio.
I più disposti alla riflessione si chiedono cosa sia. I più pragmatici si chiedono che regole inventarsi per contrastarlo. In ogni caso, tutte le posizioni partono dal presupposto che il doping ci sia e che in qualche modo è entrato a far parte del panorama quotidiano.
Tutti conoscono almeno un nome di un campione dopato. Uno che abbia conosciuto la tiritera di giornalisti a caccia di scoop, PM, carabinieri, prelievi, e magari la pubblica gogna (magari seguita da, fatua, pubblica riabilitazione). Nel mondo un po meno dorato del professionismo di fascia bassa e del dilettantismo però i nomi sono più difficili da conoscere, almeno per i non appassionati, e si fanno a bassa voce. E un piccolo mondo.
Più per caso che per altro ho conosciuto alcune di queste persone. E ne sono sempre rimasto scosso per quello che mi hanno comunicato a livello umano. Perché quando li hai davanti, questi che prima erano solo loro, loro che vedevi solo su una bici, guizzanti e potenti, ora li vedi nella secchezza di fisici in cui la massa grassa è stata combattuta con allenamenti e diete ferree, provati da decine di migliaia di km al sole ed al freddo, al vento ed alla pioggia, o peggio da ore di rulli al chiuso, annaspando in pozze di sudore. Di colpo ti rendi conto, guardandoli, di una grande impressione di fragilità. Dietro quei fisici forgiati dalla fatica cè rumore di cristallo rotto. Perché la passione per la bici, il sogno di essere campione, le gare vinte, il bacio della miss, anche se di paese, il sentirsi protetti, spronati dal dirigente, carezzati e incitati dal massaggiatore, le coppe, le braccia alzate sul traguardo, sono sogni.
Sono sogni che molti di noi "biciclisti" (ma non solo) almeno una volta abbiamo fatto.
Queste persone li hanno realizzati.
Magari in piccolo, ma tutto questo lo hanno provato. Poi, però è arrivata lesclusione. Come negli orrendi reality che ci ammorbano alla tv, sono stati buttati fuori dalla casa, ma senza nomination o votazioni, così, di colpo, senza poter fare la valigia, ma magari con un carabiniere che la notte suona alla porta. Ed ecco che le ali del sogno vengono spezzate. Nelle loro parole cè rabbia, tantissima rabbia. La rabbia di chi sente tradito, da chi si sente escluso, magari mentre in tv continua a vedere quelli che sono ancora dentro, nella dorata casa sotto le luci della ribalta. Esclusi da tutto quello che era a portata di mano o quasi. Traditi da chi ne sapeva più di te e ti ha consigliato, ti ha curato, ti ha protetto. Ed ora ti scarica, se ne frega.
La dura legge del gruppo è tanto implacabile sulla strada quanto poi, quando sei sceso di sella. Quando nessuno ti vuole più dare una bicicletta da pedalare e ti impone di stare zitto. Il silenzio.
Cosa resta a questi uomini dopo? Resta la schizofrenia dellessere continuamente condannati ed assolti. Rifiutati ed adulati. Ora angeli ora diavoli. E così la rabbia cresce nelle loro parole. Cè lorgoglio ferito da riscattare, ma il voto del silenzio che pesa come un masso sulla testa. E che alla fine schiaccia.
Ci sono attività in cui riciclarsi, ma sempre di ripiego si tratta, perché il loro posto è là, in sella, sui pedali, a lottare contro la fatica, a ruota o in fuga. O cè il patto col diavolo ed il continuare nellambiente, sostituendosi a quelli che li hanno traditi. Mi lascia sempre scosso parlare con quelli che hanno provato tutto questo. Il dare un giudizio mi mette a disagio.
Ci sono troppe cose che non capisco e che mai capirò.
Mi fa davvero avere in odio però il doping. Un cancro che non agisce sul fisico in maniera così distruttiva che come nella testa. Ti illude e poi ti schianta. Instilla il dubbio.
Non solo nei ciclisti, ma in tutti.
E' un dubbio che logora, che fa perdere credibilità e che ammanta tutto il sistema di una retorica e di un'ipocrisia decisamente insopportabili.
Non cosi' tanto insopportabile pero'. Alla fine quel che conta...non lo so.
Tante risposte,nessuna risposta. Ed il dubbio che resta.