Market ha scritto:
beh se qualcuno riesce a mandarmi qualche discografia sarei contento
ecco cosa mi è piaciuto
anthrax
iron maiden
pennywise lagwagon anti flag
good riddance
shandon racìncid ska p...........
ac dc... nofx
system of a down millencolin e x adesso bon
Eccoci di nuovo qui caro Market (chissà se hai letto i precedenti e se avrai pazienza di leggere la mia imminente logorrea)... Perchè dedico tanto tempo ad una cosa simile? Semplice, perchè il metal è una missione e io sono un umile propagatore della profonda devozione allo stile, una specie di pazzo fanatico con qualche rotella fuori posto che cerca disperatamente di convertire altri uditi al suono distorto e cattivo che ama...
Ok, e ora sotto con il seguito della storia:
3) THE NUMBER OF THE BEAST - 1982 - EMI
Terzo album della band, con consistenti novità: al posto di Paul Di'anno arriva dai Samson (dopo aver cantato con loro nei due lps Head On e Shock Tactics) il nuovo vocalist Bruce Dickinson, colui che da ora in avanti diverrà uno dei membri più caratteristici e significativi della band, grazie alla sua vena creativa (di questa avremo modo di parlarne a partire dal disco successivo), interpretativa, e al suo grande carisma da trascinatore esibito durante i live shows (questo fu uno dei motivi per il quale la band scelse lui in luogo di Di'anno, oltre che per le maggiori qualità tecniche, ma poi c'erano anche altri motivi, legati alla vita sregolata di Di'anno).
Questo album è uno dei migliori che il quintetto inglese ha inciso e ancora oggi pezzi come Children Of The Damned, The Number Of The Beast, Run To The Hills e l'indimenticabile Hallowed Be Thy Name fanno parte dei loro concerti; peccato che altre grandissime songs come The Prisoner e 22 Acacia Avenue siano state un pò dimenticate nelle scalette live.
L'avvento di Dickinson modificò sensibilmente il sound della band, ma l'identità del gruppo restò facilmente distinguibile e fedele a quanto precedentemente mostrato: tanto metal, molto duro e veloce, in un'autentica cavalcata dall'inizio alla fine. Ultimo disco con gli Irons per un Clive Burr in fase calante rispetto a Killers, poi sostituito dal più virtuoso e raffinato (ma meno cattivo) Nicko Mc Brain. Posso continuare a scrivere cazzate fin che voglio, ma su una cosa credimi: PRENDI QUESTO DISCO ASSOLUTAMENTE!!!
4) PIECE OF MIND - 1983 - EMI
Come già mostrato nei dischi precedenti, gli Irons seppero abilmente creare diversi tipi di brani, dalle classiche composizioni semplificate della N.W.O.B.H.M. (nella strutture all'incirca così esemplificata: riff-bridge-chorus / repeat / solo / repeat) a brani d'atmosfera (vedasi Strange World del I e Prodigal Son del II), passando anche per le strumentali e per gli episodi più lunghi e vari, quali Hallowed Be Thy Name e Phantom Of The Opera, tanto per capirsi, e anche in questo quarto Lp la tendenza genreale non si discostò più di tanto. I lenti vennero proposti solo nei primi due albums, così come le strumentali (una la ritroveremo poi in Powerslave), ma su Piece Of Mind la band continua quanto proposto sul precedente The Number...", anche se l'attenzione per gli arrangiamenti e la
cura nelle composizioni vanno sempre aumentando di anno in anno. Per la prima volta i brani non sono più in stragrande maggioranza ad opera del bassista Harris, perchè Smith e Dickinson cominciano (quest'ultimo già su The Number Of The Beast aveva scritto qualcosa) a far sentire la loro voce, e che voce! Harris firma grandi classici come The Trooper (epica song ancora oggi suonata dal vivo), Where Eagles Dare e la conclusiva To Tame A Land (inizialmente chiamata Dune, in omaggio al famoso film di fantascienza, poi reintitolata per una questione di Copyright rivendicata dai produttori del film) ma gli altri non sono certo da meno: Dickinson ci regala la stupenda Revelations e, in collaborazione con Smith, anche la grande Flight Of Icarus, breve ed intensa song da live show, con il testo dedicato al mito di Icaro. A tal proposito va detto che i testi degli Irons presero spesso spunto da miti, fatti storici (The Trooper) o da ispirazioni letterarie (Murders In The Rue Morgue, Rime Of The Ancient Mariner), oltre che alle solite tematiche un pò comuni nel mondo del rock in generale.
In questo quarto e grandioso album fece la sua comparsa il batterista Nicko Mc Brain, proveniente dai francesi Trust, con i quali registrò lo stupendo Savage nel 1982... Altro disco, altra storia.
Secondo me Dickinson raggiunse il suo apice come vocalist con gli Irons su Piece Of Mind, anche dal punto di vista compositivo. Già Killers era stato un successo, ma dal 1982 per la band le vendite erano cresciute di molto, al punto che alcuni loro pezzi scalarono anche le classifiche fino ai primi posti e, mi piace sottolineare, con pieno merito.
Se proprio devi limitare la tua scelta a quattro albums degli Irons, fatti i primi quattro: la loro essenza è racchiusa quì dentro.
5) POWERSLAVE - 1984 - EMI
Il disco del World Slavery Tour, dal quale prese forma il successivo grande double live album "Live After Death"; la formazione all'opera è la stessa di Piece Of Mind e anche in questo caso la paternità delle composizioni è suddivisa soprattutto tra Harris, Smith e Dickinson (questi ultimi due oramai sempre più lanciati e intraprendenti nel voler lasciare la loro indelebile impronta nello stile della band); ancora una volta il gruppo ci regala un ottimo disco: più ragionato e strutturato dei precedenti, Powerslave è il disco della maturità, grazie alla cura estrema impiegata dalla band per ogni dettaglio compositivo ed escutivo ma ha un lato debole, secondo me, identificato in due punti:
- l'eccesso di pulizia e ricercatezza fa venir meno (in parte) la carica violenta precedentemente mai intaccata;
- la voglia di scrivere brani sempre più lunghi e complessi gioca un pò a sfavore dell'immediatezza dell'insieme.
Questo non significa che Powerslave non sia un album importante e assai appetibile: la strumentale (rediviva) Losfer Words è stupenda e molto curata, senza parlare di altri cavalli da battaglia come Aces High, Two Minutes To Midnight e Flash Of The Blade. La title track (ad opera di Dickinson) è molto bella e vanta una durata per nulla trascurabile, oltre che un'atmosfera che sembra portare indietro nel tempo), ma Rime Of The Ancient Mariner è troppo lunga: 13 minuti sono tanti anche per un grande gruppo come gli Irons, mai avventuratisi prima d'ora in esperimenti del genere. Molto bella è The Duellists, ingiustamente trascurata nelle scalette live dei concerti (ma non è la sola).
6) LIVE AFTER DEATH - 1985 - EMI
Eccoci al double live, testimonianza del world tour del 1984-85 e registrato al Long Beach Arena in California (le prime tre facciate del vinile) e all'Hammersmith Odeon di Londra (la quarta facciata). Il Cd è sconsigliato come formato perchè il materiale proposto è incompleto, a differenza dei 100 minuti presenti su vinile. Martin Birch, che lascia anche la sua testimonianza scritta tra le note presenti all'interno, produce in modo magistrale questo live e l'esecuzione della band può dirsi davvero encomiabile: grande energia, professionalità, interpretazione dal vivo e scelta del materiale; ci sono classici attinti un pò ovunque dai cinque lps pubblicati precedentemente dalla band, senza una minima sbavatura: sottolineo questo fatto perchè ho ascoltato dei bootlegs (live non ufficiali) degli Irons e spesso mi sono imbattuto in esecuzioni non all'altezza del loro nome, ma su Live After Death non c'è questo problema. Ah, una curiosità: il distico di H.P. Lovecraft inciso nella tomba che si vede in copertina è tratto dal racconto "The Nameless City" composto dallo scrittore di Providence nel 1921.
7) SOMEWHERE IN TIME - 1986 - EMI
Dopo aver esplorato il metal in un certo modo, nel 1986 la band decise di dare una svolta al suo sound, utilizzando per la prima volta le chitarre synth, con conseguente ammorbidimento della vena "cattiva" precedente (per la verità già intravisto in Powerslave, a mio modesto parere) a favore di un approccio più soft, ricercato e voluto per abbattere l'ultima roccaforte che la band ancora non aveva conquistato del tutto: il mercato americano. Su questo discorso glisso, perchè sarebbe interminabile, quindi mi limiterò a cercare di recensire sommariamente il disco in questione secondo quello che è il mio personalissimo e opinabile metro di valutazione. La qualità delle composizioni non venne troppo intaccata dalla nuova vena; tra le note di quest'album, per l'ultima volta, trovo ancora episodi in grado di coinvolgere ed emozionare. E' vero, non sono più gli Irons di prima, ma non dimentichiamo che alcune ritmiche utilizzate dalla band si riciclano per bene a partire già da killers (ascoltare per credere), quindi non entro in merito a discorsi sull'innovazione e sull'originalità dei brani, dato che sono portato a vedere la musica come interpretazione, la quale può essere valida o meno: niente si crea in musica, le note a disposizione sono quelle che tutti conoscono e le vie da esplorare non sono infinite, soprattutto se si compone tenendo conto dell'orecchio di un pubblico sempre più numeroso, il quale non dev'esser deluso. Brani come Alexander The Great e Somewhere In Time sono incalzanti, vantano una loro atmosfera ben precisa e una durata non indifferente. Anche qui la cura nelle composizoni è molto ricercata, forse anche troppo, così come avvenne in Powerslave, ma non mancano gli episodi in stile più immediato come Wasted Years, The Loneliness Of The Long Distance Runner e Stranger In A Strange Land: atmosfere diverse ma non per questo scollate da quel che è il filo conduttore dell'album. Secondo me l'esperimento "ardito" di introdurre i Synth non snaturò più di tanto la band e la scelta non ne limitò le potenzialità, diversamente a quanto ascoltato con il successivo "Seventh Son..." nel quale la vena commerciale divenne palese e la voce di Bruce Dickinson ebbe un tracollo incredibile, così come la vena compositiva della band.
Somewhere In Time non vale uno qualsiasi dei primi quattro capolavori degli Irons, ma resta un disco più che dignitoso, che consiglio vivamente a tutti i fans dei Maiden.
Ora però rispondo ai tre Esimi Signori che hanno commentato le mie deliranti recensioni:
@ Dallas: vorrei tanto esser d'accordo con te ma "Seventh Son..." mi deluse molto, forse perchè lo attesi con troppa aspettativa, ma anche perchè mi diede l'impressione di un rilassamento generale della band, con ammorbidimento del suond e impoverimento compositivo.
@ marco: capisco il giudizio su "Somewhere.." Dopotutto si trattava di un disco assai diverso dai precedenti e l'introduzione delle guitar synth smussò gli spigoli di quel che, fino ad allora, era stato un sound marcatamente heavy (sappiamo che le keyboards non erano ben viste nel metal ai tempi ed utilizzare sonorità del genere era un pò ardito).
@ panzer: ricordo Fear Of The Dark e sono d'accordo con te su una cosa: dal 1987 ai tempi attuali è senz'altro il disco più dignitoso che gli Irons hanno fatto.
Saluto tutti e ringrazio per l'attenzione concessami.
DEATH TO FALSE METAL - INTO GLORY RIDE!!!
:-? :-? :-?