Quindi per tornare all'esempio del commerciante della bici: se entra Tizio che chiede una tg. L perché qualcuno sul forum gli ha scritto che era giusta per la sua altezza di 1.60; il commerciante durante la messa in sella che usualmente segue o precede l'acquisto non si accorge o semplicemente non dice nulla sulla possibilità dell'errata taglia e Tizio torna a casa felice dopo aver speso 3.000 salvo poi accorgersi che non riesce a farci 200mt senza che gli vengano dolori alla schiena, alché si consulta con un biomeccanico il quale senza ombra di dubbio gli dice che la taglia è decisamente sbagliata. Tizio a quel punto avrà tutti i presupposti per proporre al giudice ordinario azione d'annullamento del contratto per vizio sul consenso e Tizio stesso dovrà provare in giudizio la fondatezza delle sue pretese come previsto dalla regola generale sull' onere della prova (art. 2697c.c.), quindi non è il commerciante a dover provare la non esistenza del vizio sul consenso ma l'acquirente a dover dimostrarne l'esistenza. Sarà poi il giudice a decidere in merito sull'annullabilità o meno del contratto ed in caso di accoglimento il contratto sarà annullato con restituzione delle prestazioni quindi restituzione del bene e della somma data in pagamento.
Questa mi pare, però, una possibilità molto generica. Se ha speranze di essere accolta (io ne dubito parecchio), si pone il problema che ho sollevato qualche pagina fa, ovvero cosa deve fare il venditore quando gli chiedono una taglia secondo lui errata.