le solite cagate dei puristi.
Chiamiamo per nome quello che succede: tanta gente impreparata che si trova in posti dove non sarebbe mai arrivata senza l’ausilio di un motore. E non mi riferisco a chi viene da un background ciclistico e vuoi per età o forma fisica non ce la fa più, sia chiaro.
questo è l'aspetto che forse oggi influenza maggiormente le difficoltà di condivisione "a rischio" tra biker e trekkers.
Le bici che verrebbero condotte a fatica di gambe sui sentieri montani lontano da impianti o fuori dai bike park sarebbero sempre in numero piuttosto limitato, difficilmente si creerebbe il conflitto con i pedoni, mentre con i motori elettrici la salita diventa accessibile a molti, forse troppi..
Come evidenziato in altri topic non è la scelta della ebike come alternativa per aumentare il dislivello o i km del biker che prima li percorreva "a gambe" a creare problemi, quanto piuttosto il fatto oggettivo che sui trail ( o sentieri) ci possano arrivare anche quelli che senza l'ausilio del motore non arrivavano neanche alla partenza del trail.
Il fatto che il pedone si trovi a incontrare persone su mezzi "motorizzati" non capaci in discesa o forse neanche in salita, probabilmente neanche istruite o preparate per affrontare ciò che fanno, peggiora di molto la situazione e questo aspetto è inequivocabilmente legato alla ampissima diffusione di noleggi di ebike.
Il topic porta a valutare molti aspetti che sono sempre considerabili secondo parametri diversi, arrivando a valutazioni spesso antitetiche, ma questo può essere visto come libertà di opinione piuttosto che conflitto tra diversi "spiriti" di vivere la mtb e la montagna.
- la corrosione ad opera delle bici è un fattore non cosi determinante rispetto ad altri aspetti naturali per i sentieri, ma soprattutto quando il trail è disegnato appositamente per le bici non risente molto dell'erosione, mentre se il percorso naturale segue tratti di massima pendenza o di flussi piovani l'effetto del passaggio delle bici è diverso, se poi invece di un bici da 15 kg ne passa una da 25 sicuramente qualcosa cambierebbe ancora.
Ne consegue che senza l'estremizzazione di "ghettizzare" le bici ai loro "parchetti", che alcuni vedono come limite alla "bici libera", il concepire un numero sempre maggiore di percorsi studiati per le mtb riduce il problema che le stesse possano essere additate giustamente o ingiustamente come "rovina - sentieri"
-Si potrebbe sostenere che le aree che sviluppano bike park potrebbero essere concepite come limitanti delle possibilità esplorative della mtb piu natural? Forse, ma è anche vero che in località come paganella e livigno accanto ai flow "pettianti" ci sono molti percorsi "enduro" su sentieri condivisi con i pedoni. Il fatto che ci sia manutenzione, cartellonistica, informazione agevola la convivenza piuttosto che renderla ostile. La potenzialità di una bike area è sempre valutata anche sulla base dei percorsi "naturali" piu tecnici e impegnativi del park, siano essi accessibili con impianti, senza o in combinazione mista che prevede dislivello sia attivo che "trasportato". Per cui la libertà della mtb non è penalizzata, c'è piuttosto una integrazione e comunque un contesto che da una parte porta piu utenti sui percorsi, dall'altra offre servizi, manutenzione, gestione che rendono il tutto meno selvaggio ma anche meno conflittuale con le altre attività.
- il turismo di stazioni montane o collinari che stanno puntando sulle mtb è un segnale oggettivo delle possibilità che questa attività può apportare allo sviluppo turistico e imprenditoriale di una località. Può non piacere il fatto che diventi tutto meno "naturale e libero" o che sembri una attività secondaria, ma comunque è una realtà positiva del business. Peraltro le zone dove cimentarsi in modo libero e nautrale restano potenzialmente infinite in tanti contesti.
- altrove il fatto che possano arrivare tante bici in zone dove circolano comunque tanti pedoni sugli stessi percorsi, in assenza di segnaletica, formazione, manutenzione, etc.. porta inevitabilmente a potenziali conflittualità e decisioni e atteggiamenti negativi come quelli del CAI Veneto e altre realtà.
Piuttosto che arrivare al conflitto mi sembra sempre meglio cercare una pianificazione e uno sviluppo organizzativo che coinvolga e soddisfi le diverse categoria come i modelli di alcune realtà stanno indicando.
Se gli enti e gli operatori locali percepiscono la mtb come una risorsa e una potenzialità per il loro territorio sicuramente l'approccio sarà meno conflittuale e settoriale.
A mio avviso in tante realtà locali è proprio una miopia di fondo sulle potenzialità oltre che una visione limitata a creare atteggiamenti bellicosi e intolleranti, che quasi sempre sfociano nella cultura del divieto. Approccio che non riguarda solo la mtb e non solo la montagna..