... IL BOSCO È LA TANA DEL RIBELLE (cit.)

Tc70

Entomobiker
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Picola ma carattarastica...
Vedici del bene ogni tanto ti si rosica meno il fegato e sarai più sereno...


Guarda hai ragione, ma proprio non ce la faccio...è più forte di me...:cry: ho perso il credo che avevo in tutto e tutti...vedendo poi che se si è onesti e ligi lo si piglia solo in quel posto in Italia, veramente ho il morale sotto i tacchi...avevo una valvola di sfogo, a 2 ruote, oppure una corda e un imbrago...ora non so nemmeno se si tornerà alla normalità, sarà come la normalità di prima...nel senso, lavoro,potere d'acquisto e divertimento, perchè cristo se tolgon pure questo siamo alla frutta...
 
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Barons

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Guarda hai ragione, ma proprio non ce la faccio...è più forte di me...:cry: ho perso il credo che avevo in tutto e tutti...vedendo poi che se si è onesti e ligi lo si piglia solo in quel posto in Italia, veramente ho il morale sotto i tacchi...avevo una valvola di sfogo, a 2 ruote, oppure una corda e un imbrago...ora non so nemmeno se si tornerà alla normalità, sarà come la normalità di prima...nel senso, lavoro,potere d'acquisto e divertimento, perchè cristo se tolgon pure questo siamo alla frutta...
Siamo tutti privati della valvola di sfogo quindi tutti sulla stessa barca, forza e coraggio e guardare avanti... Si spera arriveranno tempi migliori...
 

l.j.silver

Biker delirius tremens
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mordor
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fatti miei
Trattati come bambini, per di più scemi.
Mentre loro eheheh mica scemi da quel che si legge qui

peccato, ma gli articoli del corriere non si possono leggere se non abbonati.......
 

bonny92

Biker poeticus
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Franciacorta, oddio un pò più in giù!
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peccato, ma gli articoli del corriere non si possono leggere se non abbonati.......
eh hai ragione si vede da pc, riporto sotto

Alzano e Nembro, sei giorni di rinvii. L’inchiesta sull’ecatombe da coronavirus nella Bergamasca
I primi pazienti «anomali», i mancati interventi, il via vai di persone in ospedale mai interrotto. Nelle mail e nei verbali delle riunioni il rimpallo di responsabilità tra governo e Regione. Il Comitato tecnico-scientifico propose la «zona rossa» ma non fu ascoltato.
Francesco Zambonelli ha visto il paziente uno, ma anche il numero 2, e il tre. «Eravamo tutti insieme, nello stesso reparto di medicina, al terzo piano. E con i rispettivi familiari facevamo due chiacchiere nell’atrio d’ingresso». Sua madre, la signora Angiolina, viene ricoverata il 12 febbraio nell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo. Ha avuto uno scompenso cardiaco, ma non è in cattive condizioni. Una decina di giorni sotto osservazione, qualche flebo, e poi sarebbe tornata a casa, come sempre. Invece dopo una settimana arriva una febbre a 39, e poi la polmonite, le crisi respiratorie, la sensazione di avere un peso che schiaccia sul petto. Muore alle due della notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio.
Il figlio, 55 anni, disegnatore grafico, la veglia fino all’ultimo. E si accorge che quella notte non è come tutte le altre. Tutte le infermiere infatti portano sul volto delle mascherine, cosa inusuale. Ma non le solite, «di colore azzurro che si usano dal dentista». Sono quelle professionali, le FFP2 senza valvola. È appena cominciato tutto, con la scoperta dei focolai di Codogno e di Vo’ Euganeo. Al Pesenti Fenaroli, intanto, sono stati appena scoperti i primi due pazienti positivi al Covid-19. Franco Orlandi, ex camionista di Nembro, e Samuele Acerbis, rappresentante di commercio di Nembro, sono entrambi ricoverati da almeno una settimana nello stesso reparto della signora Angiolina, ma solo nelle ultime ore sono stati sottoposti al tampone. È domenica. Nel pomeriggio il Pronto soccorso viene chiuso. Ma dopo alcune ore tutto riapre, senza alcuna sanificazione, neppure al Pronto soccorso. Senza la creazione di alcun triage differenziato, di alcun percorso alternativo tra i pazienti. E senza alcuna spiegazione.
«Dall’ospedale di Alzano qualcuno avrebbe dovuto almeno avvisare dell’esistenza di un pericolo micidiale. Invece hanno lasciato che la gente andasse avanti e indietro ancora per un’altra settimana, dal Pronto soccorso agli ambulatori. Era pieno di anziani che andavano a fare l’esame del sangue. Hanno fatto una ecatombe». Zambonelli usa parole tanto semplici quanto essenziali. Suo padre Gianfranco è deceduto di coronavirus il 13 marzo. Sua zia Luciana, 72 anni, che in quei giorni si alternava con lui in ospedale, lo ha seguito due giorni dopo. Orlandi e Acerbis sono entrambi morti. Come la donna che aveva il letto di fronte, come quasi tutti gli altri.

Il primo ritardo sull’ospedale
Nessuno vuole intestarsi la colpa della mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo, da cui si è propagato il virus che ha fatto strage in quel paese, e in tutta la Val Seriana. A oggi, Alzano Lombardo ha 177 contagi, Nembro 207. In tutta la provincia di Bergamo i morti sono 2.378. Non esiste un vero e proprio protocollo che preveda un evento così estremo. Ma sono due le istituzioni che hanno l’autorità per decidere la serrata. La prima è l’Ats locale, alla quale spetta un parere non vincolante, la seconda, superiore per autorità, è la Regione, della quale ogni istituto di cura rappresenta un presidio territoriale e come tale viene classificato.
A quella vicenda è legata un’altra decisione mancata, forse ancora più importante, almeno come peso politico. Perché non è mai stata istituita una zona rossa nella provincia di Bergamo? Le uniche risposte finora sono state molto generiche. Il distretto industriale di Alzano-Nembro è uno dei primi cinque d’Italia per Comuni sotto i trecentomila abitanti. Secondo i dati di Confindustria Bergamo, una eventuale zona rossa avrebbe riguardato 376 aziende, con una forza lavoro che varia dai 120 agli ottocento dipendenti, per complessivi 850 milioni di euro annuali di fatturato. Ma l’ultima parola spetta sempre alla politica. Al governo regionale, a quello nazionale. Avevano entrambi la possibilità di intervenire. Ma per sei giorni, dal 3 al nove marzo, nessuno si è assunto l’onere di farlo.

Una decisione che spettava alla politica
La corrispondenza privata governo-Regione, e una nota interna a Palazzo Chigi, consentono di ricostruire quanto è avvenuto. E aiutano a capire come mai per istituire la zona rossa intorno a Codogno ci siano volute meno di 24 ore, con l’ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana e dal ministro dalla Sanità Roberto Speranza che blindava in entrata e in uscita dieci paesi del lodigiano, mentre per la provincia di Bergamo non sia bastata una settimana, a fronte di dati molto più allarmanti. A questo ritardo non è estraneo lo spirito di quel breve lasso di tempo. Ancora lo scorso 2 marzo l’assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, esprimeva forti dubbi sull’utilità di una zona rossa. Ma sono molti i casi di esponenti politici che hanno adottato un doppio registro. Lo stesso Fontana mette la sua firma su richieste molto prudenti, mentre in pubblico usa spesso toni più interventisti. Meglio stare alle carte, quindi. I primi cinque report quotidiani che a partire dalla mattina del 21 febbraio la Regione Lombardia invia alla Protezione civile non fanno alcun cenno alla situazione della provincia di Bergamo. Per quasi una settimana, in calce al documento verranno indicati i focolai identificati fino a quel momento. Ne sono sempre citati quattro, tutti nel lodigiano. Eppure già il 27 febbraio appare evidente che in provincia di Bergamo qualcosa sta andando come peggio non potrebbe. Settantadue nuovi casi di positività, diciannove dei quali, e tre decessi, fanno di Nembro il quarto Comune più colpito di Lombardia, alla pari con Casalpusterlengo, che insieme agli altri tre è nella zona rossa.

Il verbale e le richieste del Comitato
La progressione sembra inarrestabile. Le denunce pubbliche e le richieste di aiuto dagli ospedali bergamaschi si moltiplicano. Il 29 febbraio Nembro conta 25 nuovi casi, Alzano altri dodici, l’intera provincia sfonda quota cento. Quel giorno, la Confindustria di Bergamo pubblica il video «Bergamo is running», rilanciato dal sindaco Giorgio Gori. Ma è l’intera classe dirigente del Nord, con poche eccezioni, a essere in modalità «riapriamo tutto, o quasi». La Regione Lombardia invoca misure più restrittive, ma non giunge mai a chiedere in modo ufficiale l’istituzione di una zona rossa. Sembra che ci si arrivi di comune accordo il 3 marzo, 423 contagiati nella provincia, 58 a Nembro e 26 ad Alzano, con una scelta affidata comunque al parere degli scienziati.
Dal verbale di quel giorno del Comitato tecnico scientifico (Cts) che segue per il governo l’emergenza Covid-19: «Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto superiore di Sanità i dati relativi ai due Comuni sopramenzionati, poi esaminati dal Cts. Al proposito sono stati sentiti al telefono l’assessore Giulio Gallera e il direttore generale Luigi Cajazzo di Regione Lombardia che confermano i dati (…) Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della “Zona Rossa” al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi». L’Unità di crisi della Lombardia invia una mail a Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di Sanità, con una mappa dettagliata della diffusione del virus in tutta la provincia di Bergamo. Quella sera, appaiono in Val Seriana alcune camionette dell’esercito. Sembra il preludio alla chiusura totale.
Invece non succede niente. Il 4 marzo, quando le vittime in Italia superano quota cento, il premier Giuseppe Conte firma un nuovo decreto che prevede in tutto il Paese lo stop fino al 15 marzo per università, scuole, teatri, cinema. «Con specifico riferimento alla proposta avanzata dal Comitato tecnico-scientifico relativa ai due Comuni della Provincia di Bergamo», comunque già «assoggettati» a misure più restrittive di quelle applicate sul territorio nazionale con il decreto varato il primo marzo, il presidente del Consiglio chiede ai suoi esperti «di approfondire» le ragioni della loro richiesta di una zona rossa per Alzano e Nembro. Cosa è accaduto di nuovo? Che in Lombardia sta andando tutto male: «Il quadro epidemiologico dei giorni 3 e 4 marzo restituiva una situazione ormai critica in diverse aree della regione». A Bergamo 33 casi, a Lodi 38, a Cremona già 76, a Crema 27, nel comune di Zogno altri 23, a Soresina e Maleo diciannove. Eppure a Palazzo Chigi «appariva necessario acquisire ulteriori elementi per decidere se estendere la “zona rossa” a questi due soli comuni oppure, in presenza di un contagio ormai diffuso in buona parte della Lombardia, estendere il regime all’intera Regione Lombardia e alle altre aree interessate».

L’ultima riunione per il decreto
Brusaferro risponde nella serata del 5 marzo, con una nota scritta. E insiste. «Pur riscontrandosi un trend simile ad altri Comuni della Regione, i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedimento che inserisca Alzano Lombardo e Nembro nella zona rossa». Venerdì 6 marzo Conte va di persona alla Protezione civile, dove incontra i membri del Comitato scientifico per la decisione definitiva. Non se ne fa nulla. Passa infatti la linea di «superare la distinzione tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa». Si arriva così al 7 marzo, con l’annuncio alle due di notte della chiusura dell’Italia intera, e il decreto firmato la sera dell’8 marzo ed entrato in vigore il giorno seguente, quando Alzano conta 55 contagiati, Nembro 107, la provincia di Bergamo 1245, per tacere dei morti. La Lombardia è zona rossa, come il resto del Paese. Da quella prima richiesta sono passati ormai sei giorni.
Un’altra nota interna di palazzo Chigi sembra fare riferimento proprio a possibili dispute sul mancato provvedimento. «Quanto alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti». E di seguito si citano i provvedimenti con misure ancora più restrittive varati di recente dalla giunta di Fontana. Un modo per dire che se la Lombardia pensava davvero che la zona rossa di Alzano e Nembro andasse creata prima, avrebbe potuto farlo in piena autonomia, così come l’hanno fatto Lazio, Basilicata, Emilia-Romagna, con ordinanze limitate al territorio di specifici comuni. A Zambonelli e alla sua famiglia non è mai stato fatto alcun tampone. La Regione e la Ats locale non hanno ancora risposto alle domande rivolte dal Corriere di Bergamo sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo.
 

superskinny

weekend warrior
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pero' vorrebbero ancora farci credere che la colpa è nostra che non rispettiamo le regole ecc ecc.
Stanno preparando il terreno per uscirne bene. Possiamo permetterlo oppure no.
Non potranno farlo senza distrarre la gente.
La colpa è loro.
Non paventate complotti, è un assist per mandare tutto in vacca.
Non individuate altri colpevoli fuori dal territorio nazionale, ugualmente in vacca.
Non schieratevi a fianco di nessun partito, serve a disunirci.
Devono andare tutti a casa e pagare. Stato e regione in solido.
Chi dimentica è complice.
 
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Boro

Biker meravigliosus
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Alzano e Nembro, sei giorni di rinvii. L’inchiesta sull’ecatombe da coronavirus nella Bergamasca
I primi pazienti «anomali», i mancati interventi, il via vai di persone in ospedale mai interrotto. Nelle mail e nei verbali delle riunioni il rimpallo di responsabilità tra governo e Regione. Il Comitato tecnico-scientifico propose la «zona rossa» ma non fu ascoltato.
Francesco Zambonelli ha visto il paziente uno, ma anche il numero 2, e il tre. «Eravamo tutti insieme, nello stesso reparto di medicina, al terzo piano. E con i rispettivi familiari facevamo due chiacchiere nell’atrio d’ingresso». Sua madre, la signora Angiolina, viene ricoverata il 12 febbraio nell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo. Ha avuto uno scompenso cardiaco, ma non è in cattive condizioni. Una decina di giorni sotto osservazione, qualche flebo, e poi sarebbe tornata a casa, come sempre. Invece dopo una settimana arriva una febbre a 39, e poi la polmonite, le crisi respiratorie, la sensazione di avere un peso che schiaccia sul petto. Muore alle due della notte tra venerdì 21 e sabato 22 febbraio.
Il figlio, 55 anni, disegnatore grafico, la veglia fino all’ultimo. E si accorge che quella notte non è come tutte le altre. Tutte le infermiere infatti portano sul volto delle mascherine, cosa inusuale. Ma non le solite, «di colore azzurro che si usano dal dentista». Sono quelle professionali, le FFP2 senza valvola. È appena cominciato tutto, con la scoperta dei focolai di Codogno e di Vo’ Euganeo. Al Pesenti Fenaroli, intanto, sono stati appena scoperti i primi due pazienti positivi al Covid-19. Franco Orlandi, ex camionista di Nembro, e Samuele Acerbis, rappresentante di commercio di Nembro, sono entrambi ricoverati da almeno una settimana nello stesso reparto della signora Angiolina, ma solo nelle ultime ore sono stati sottoposti al tampone. È domenica. Nel pomeriggio il Pronto soccorso viene chiuso. Ma dopo alcune ore tutto riapre, senza alcuna sanificazione, neppure al Pronto soccorso. Senza la creazione di alcun triage differenziato, di alcun percorso alternativo tra i pazienti. E senza alcuna spiegazione.
«Dall’ospedale di Alzano qualcuno avrebbe dovuto almeno avvisare dell’esistenza di un pericolo micidiale. Invece hanno lasciato che la gente andasse avanti e indietro ancora per un’altra settimana, dal Pronto soccorso agli ambulatori. Era pieno di anziani che andavano a fare l’esame del sangue. Hanno fatto una ecatombe». Zambonelli usa parole tanto semplici quanto essenziali. Suo padre Gianfranco è deceduto di coronavirus il 13 marzo. Sua zia Luciana, 72 anni, che in quei giorni si alternava con lui in ospedale, lo ha seguito due giorni dopo. Orlandi e Acerbis sono entrambi morti. Come la donna che aveva il letto di fronte, come quasi tutti gli altri.

Il primo ritardo sull’ospedale
Nessuno vuole intestarsi la colpa della mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo, da cui si è propagato il virus che ha fatto strage in quel paese, e in tutta la Val Seriana. A oggi, Alzano Lombardo ha 177 contagi, Nembro 207. In tutta la provincia di Bergamo i morti sono 2.378. Non esiste un vero e proprio protocollo che preveda un evento così estremo. Ma sono due le istituzioni che hanno l’autorità per decidere la serrata. La prima è l’Ats locale, alla quale spetta un parere non vincolante, la seconda, superiore per autorità, è la Regione, della quale ogni istituto di cura rappresenta un presidio territoriale e come tale viene classificato.
A quella vicenda è legata un’altra decisione mancata, forse ancora più importante, almeno come peso politico. Perché non è mai stata istituita una zona rossa nella provincia di Bergamo? Le uniche risposte finora sono state molto generiche. Il distretto industriale di Alzano-Nembro è uno dei primi cinque d’Italia per Comuni sotto i trecentomila abitanti. Secondo i dati di Confindustria Bergamo, una eventuale zona rossa avrebbe riguardato 376 aziende, con una forza lavoro che varia dai 120 agli ottocento dipendenti, per complessivi 850 milioni di euro annuali di fatturato. Ma l’ultima parola spetta sempre alla politica. Al governo regionale, a quello nazionale. Avevano entrambi la possibilità di intervenire. Ma per sei giorni, dal 3 al nove marzo, nessuno si è assunto l’onere di farlo.

Una decisione che spettava alla politica
La corrispondenza privata governo-Regione, e una nota interna a Palazzo Chigi, consentono di ricostruire quanto è avvenuto. E aiutano a capire come mai per istituire la zona rossa intorno a Codogno ci siano volute meno di 24 ore, con l’ordinanza firmata dal presidente della Lombardia Attilio Fontana e dal ministro dalla Sanità Roberto Speranza che blindava in entrata e in uscita dieci paesi del lodigiano, mentre per la provincia di Bergamo non sia bastata una settimana, a fronte di dati molto più allarmanti. A questo ritardo non è estraneo lo spirito di quel breve lasso di tempo. Ancora lo scorso 2 marzo l’assessore al Welfare lombardo, Giulio Gallera, esprimeva forti dubbi sull’utilità di una zona rossa. Ma sono molti i casi di esponenti politici che hanno adottato un doppio registro. Lo stesso Fontana mette la sua firma su richieste molto prudenti, mentre in pubblico usa spesso toni più interventisti. Meglio stare alle carte, quindi. I primi cinque report quotidiani che a partire dalla mattina del 21 febbraio la Regione Lombardia invia alla Protezione civile non fanno alcun cenno alla situazione della provincia di Bergamo. Per quasi una settimana, in calce al documento verranno indicati i focolai identificati fino a quel momento. Ne sono sempre citati quattro, tutti nel lodigiano. Eppure già il 27 febbraio appare evidente che in provincia di Bergamo qualcosa sta andando come peggio non potrebbe. Settantadue nuovi casi di positività, diciannove dei quali, e tre decessi, fanno di Nembro il quarto Comune più colpito di Lombardia, alla pari con Casalpusterlengo, che insieme agli altri tre è nella zona rossa.

Il verbale e le richieste del Comitato
La progressione sembra inarrestabile. Le denunce pubbliche e le richieste di aiuto dagli ospedali bergamaschi si moltiplicano. Il 29 febbraio Nembro conta 25 nuovi casi, Alzano altri dodici, l’intera provincia sfonda quota cento. Quel giorno, la Confindustria di Bergamo pubblica il video «Bergamo is running», rilanciato dal sindaco Giorgio Gori. Ma è l’intera classe dirigente del Nord, con poche eccezioni, a essere in modalità «riapriamo tutto, o quasi». La Regione Lombardia invoca misure più restrittive, ma non giunge mai a chiedere in modo ufficiale l’istituzione di una zona rossa. Sembra che ci si arrivi di comune accordo il 3 marzo, 423 contagiati nella provincia, 58 a Nembro e 26 ad Alzano, con una scelta affidata comunque al parere degli scienziati.
Dal verbale di quel giorno del Comitato tecnico scientifico (Cts) che segue per il governo l’emergenza Covid-19: «Nel tardo pomeriggio sono giunti all’Istituto superiore di Sanità i dati relativi ai due Comuni sopramenzionati, poi esaminati dal Cts. Al proposito sono stati sentiti al telefono l’assessore Giulio Gallera e il direttore generale Luigi Cajazzo di Regione Lombardia che confermano i dati (…) Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio. In merito il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei Comuni della “Zona Rossa” al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue. Questo criterio oggettivo potrà, in futuro, essere applicato in contesti analoghi». L’Unità di crisi della Lombardia invia una mail a Silvio Brusaferro, direttore dell’Istituto superiore di Sanità, con una mappa dettagliata della diffusione del virus in tutta la provincia di Bergamo. Quella sera, appaiono in Val Seriana alcune camionette dell’esercito. Sembra il preludio alla chiusura totale.
Invece non succede niente. Il 4 marzo, quando le vittime in Italia superano quota cento, il premier Giuseppe Conte firma un nuovo decreto che prevede in tutto il Paese lo stop fino al 15 marzo per università, scuole, teatri, cinema. «Con specifico riferimento alla proposta avanzata dal Comitato tecnico-scientifico relativa ai due Comuni della Provincia di Bergamo», comunque già «assoggettati» a misure più restrittive di quelle applicate sul territorio nazionale con il decreto varato il primo marzo, il presidente del Consiglio chiede ai suoi esperti «di approfondire» le ragioni della loro richiesta di una zona rossa per Alzano e Nembro. Cosa è accaduto di nuovo? Che in Lombardia sta andando tutto male: «Il quadro epidemiologico dei giorni 3 e 4 marzo restituiva una situazione ormai critica in diverse aree della regione». A Bergamo 33 casi, a Lodi 38, a Cremona già 76, a Crema 27, nel comune di Zogno altri 23, a Soresina e Maleo diciannove. Eppure a Palazzo Chigi «appariva necessario acquisire ulteriori elementi per decidere se estendere la “zona rossa” a questi due soli comuni oppure, in presenza di un contagio ormai diffuso in buona parte della Lombardia, estendere il regime all’intera Regione Lombardia e alle altre aree interessate».

L’ultima riunione per il decreto
Brusaferro risponde nella serata del 5 marzo, con una nota scritta. E insiste. «Pur riscontrandosi un trend simile ad altri Comuni della Regione, i dati in possesso rendono opportuna l’adozione di un provvedimento che inserisca Alzano Lombardo e Nembro nella zona rossa». Venerdì 6 marzo Conte va di persona alla Protezione civile, dove incontra i membri del Comitato scientifico per la decisione definitiva. Non se ne fa nulla. Passa infatti la linea di «superare la distinzione tra “zona rossa”, “zona arancione” e resto del territorio nazionale in favore di una soluzione ben più rigorosa». Si arriva così al 7 marzo, con l’annuncio alle due di notte della chiusura dell’Italia intera, e il decreto firmato la sera dell’8 marzo ed entrato in vigore il giorno seguente, quando Alzano conta 55 contagiati, Nembro 107, la provincia di Bergamo 1245, per tacere dei morti. La Lombardia è zona rossa, come il resto del Paese. Da quella prima richiesta sono passati ormai sei giorni.
Un’altra nota interna di palazzo Chigi sembra fare riferimento proprio a possibili dispute sul mancato provvedimento. «Quanto alle competenze e ai poteri della Regione Lombardia, si fa presente che le Regioni non sono mai state esautorate del potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti». E di seguito si citano i provvedimenti con misure ancora più restrittive varati di recente dalla giunta di Fontana. Un modo per dire che se la Lombardia pensava davvero che la zona rossa di Alzano e Nembro andasse creata prima, avrebbe potuto farlo in piena autonomia, così come l’hanno fatto Lazio, Basilicata, Emilia-Romagna, con ordinanze limitate al territorio di specifici comuni. A Zambonelli e alla sua famiglia non è mai stato fatto alcun tampone. La Regione e la Ats locale non hanno ancora risposto alle domande rivolte dal Corriere di Bergamo sulla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo.
Basta citare dal corriere del cattivone Cairo che non è una fonte attendibile, si sono lamentati in diversi.... :mrgreen: :smile:
 
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bonny92

Biker poeticus
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Basta citare dal corriere del cattivone Cairo che non è una fonte attendibile, si sono lamentati in diversi.... :mrgreen: :smile:
ahahah vabbè allora cambio :spetteguless:
 
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Koroviev

Il Re dei Troll / Il Signore delle forcelle
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Tanto per rimanere (fuori) tema :smile:

 

Gianz

Biker marathonensis
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invece i cittadini stanno reagendo bene, consapevolmente e stanno soffrendo, economicame
...parlando di chi dice tanto io esco vado nel bosco e non mi faccio nulla
Certo. Anch'io appena esco a fare 2 passi vado subito in cerca della prima falesia (che sta a 2 km da qui, quella attrezzata e assai meno quella senza chiodi, e molto più difficile). Come quando uscivo in bici, schifando le ciclabili (dove comunque ho fatto l'unico mio incidente in bici in 40 anni di onorata carriera) e andando a cercare le discese più ardite, quelle difficilissime, roba che scendere dalla bocchetta di Foxi è una passeggiata.
Dai... esistono anche scelte meno azzardate: immagino tu non ti alzi dal letto, perchè potresti cadere dalle scale.
 

Gianz

Biker marathonensis
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Stanno preparando il terreno per uscirne bene. Possiamo permetterlo oppure no.
Non potranno farlo senza distrarre la gente.
La colpa è loro.
Stanno cercando di farlo anche senza necessariamente distrarre la gente:

Questi meritano il carcere, fosse solo per le intenzioni.
 
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Gianz

Biker marathonensis
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"Sono passati quasi 30 giorni dall’avvio della quarantena nazionale, due mesi dall’inizio dell’emergenza, e l’irriducibilità del virus in alcune aree del Paese comincia a risultare inspiegabile: il modo più facile per evitare domande complicate su focolai, sanificazioni, efficienza del servizio sanitario, è puntare l’indice sui comportamenti privati. "
 

Boro

Biker meravigliosus
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Cmq appena danno la molla vedrai, succede come in Cina alle montagne gialle, tutti ammassati in giro dove si può, e giù di nuovo a chiudere. Non se ne esce.
Siamo troppi anche per stare all'aperto.
Gli sportivi dell'aria aperta si rendono conto solo ora di quanti stessero al chiuso a fare altro che ora non si può più fare.
 

gian72to

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moderna. ..
Cmq appena danno la molla vedrai, succede come in Cina alle montagne gialle, tutti ammassati in giro dove si può, e giù di nuovo a chiudere. Non se ne esce.
Siamo troppi anche per stare all'aperto.
Gli sportivi dell'aria aperta si rendono conto solo ora di quanti stessero al chiuso a fare altro che ora non si può più fare.
... spero che non sia come dici tu...
Ma un po'di timore ce l'ho... :paur:
 

Boro

Biker meravigliosus
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... spero che non sia come dici tu...
Ma un po'di timore ce l'ho... :paur:
Guarda, quando c'erano le prime ordinanze, quelle meno restrittive, ma con centri commerciali chiusi, no more turismo, weekend, ristoranti, e quant'altro, dovevi vedere come erano piene qui da noi le colline a ridosso dei vari centri urbani alla domenica, imbarazzante, come in spiaggia ad agosto.
Se non riaprono le attività sociali di massa siamo fregati pure noi amanti del bosco.
 
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cbet

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Orbea Oiz 2020
Guarda, quando c'erano le prime ordinanze, quelle meno restrittive, ma con centri commerciali chiusi, no more turismo, weekend, ristoranti, e quant'altro, dovevi vedere come erano piene qui da noi le colline a ridosso dei vari centri urbani alla domenica, imbarazzante, come in spiaggia ad agosto.
Se non riaprono le attività sociali di massa siamo fregati pure noi amanti del bosco.
purtroppo penso anch'io sarà esattamente così.... da noi (Verona), l'8 Marzo, in Lessinia c'erano le FROTTE di gente, come negli anni 80 quando c'erano le piste da sci (ora non ci sono più)... e solo perchè appunto avevano LIMITATO i centri commerciali (mi sembra di ricordare erano aperti da lun. a ven.) !!!
 
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orso2016

Biker etrusco
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etruria
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una front e una gravel
Si, in effetti prima ho chiamato perché conosco bene che tipo c'è nella mia farmacia che pensa solo a fare affari e invece mi sono ricreduto, dai speriamo arrivino ovunque, si parla anche che la protezione civile le distribuisce casa per casa, vedremo
Da noi è già iniziata la distribuzione da parte della protezione civile,prima gli anziani e quelli con patologie gravi gli altri a seguire...speriamo presto.
 

mik69

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Gli sportivi dell'aria aperta si rendono conto solo ora di quanti stessero al chiuso a fare altro che ora non si può più fare.
Infatti una volta andavo dicendo che le persone dovevano abbandonare i centri commerciali per riscoprire le gioie della vita all'aria aperta. Adesso la penso esattamente al contrario: andate al centro commerciale!!! :mrgreen: :pirletto:
 
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