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Il doping genetico fra fantascienza e realtà
Quanto non provvede la natura a dare agli atleti dei geni per eccellere nello sport, può pensarci il laboratorio: l'università della Pennsylvania ha già creato un farmaco che attiva quelli responsabili della crescita delle fibre muscolari che sono alla base dello sprint
Sarà sufficiente un laboratorio grande come sette campi da tennis, con 150 scienziati e oltre mille volontari in pista 24 ore al giorno, nonché un nuovissimo test per individuare l’ormone della crescita ad arginare il dilagante fenomeno doping? A Londra i controlli saranno effettuati, attraverso gli oltre 6500 test antidoping previsti (un vero record), su più della metà dei circa 10000 atleti presenti. Molti di loro, quelli appartenenti alle discipline più a rischio, saranno sottoposti a esame sangue, e non solo urine, anche più di una volta. Tutti i medagliati non avranno scampo e John Fahey, presidente della Wada, l'agenzia mondiale antidoping, giura che saranno i Giochi più controllati della storia. Ma intanto, facendo un piccolo salto indietro nel tempo, partendo da Atene 2004, scopriamo che, a fronte di una percentuale sempre crescente di controlli, gli atleti risultati positivi sono via via diminuiti. E così mentre in Grecia erano 26, con 3667 test, a Pechino 2008, nonostante i 4770 controlli, soltanto 6. Numero, tuttavia, in quel di Londra già superato ancor prima di iniziare, con la sola atletica leggera che perde ben dieci protagonisti risultati positivi.
UNA LOTTA SENZA QUARTIERE — Ci troveremo di fronte ad uno sport d’alto livello finalmente ‘pulito’ o le tecnologie degli scienziati del doping riusciranno a essere più evolute di quelle messe in campo dai colleghi dell’antidoping? I dubbi permangono, e le sempre maggiori conoscenze del genoma umano potrebbero interferire non poco sulle prestazioni atletiche, inducendo in un prossimo futuro a cambiare addirittura le regole dello sport. Nell’indagine pubblicata su ‘Nature’ barare con la terapia genica è fin da oggi, quantomeno in teoria, possibile. Il quadro dipinto sulla nota rivista scientifica dai due genetisti Juan Enriquez e Steve Gullans, responsabili della Excel Venture Management, società specializzata nel finanziamento di progetti di biotecnologie, è a dir poco allarmante.
IL DNA DEI CAMPIONI — Sono oltre 200 le mutazioni genetiche già associate all'eccellenza nello sport. In alcuni atleti ‘Madre Natura’ ha provveduto spontaneamente, come nel caso dello sciatore finlandese Eero Maentyranta, vincitore negli anni ’60 di ben sette medaglie olimpiche, al quale è stata riscontrata una mutazione nel gene EPOR, che gli consentiva di produrre più globuli rossi del normale, aumentando così la sua capacità di trasportare ossigeno del 25-50%. Anche quasi tutti i più veloci corridori del mondo, una volta sottoposti a test genetico, hanno dimostrato di possedere una variante del gene ACTN3, il fattore ‘sprint’ 577R, presente tra l’altro solo al 50% nella popolazione euroasiatica e all’85% in quella africana. Tant’è che secondo l'ex-allenatore olimpionico di atletica Brooks Johnson, ai massimi livelli lo sport dovrebbe essere considerato come una gara tra veri e propri fenomeni genetici: “Non è possibile arrivare a quelle prestazioni, o solo sopravvivere al programma d'allenamento, senza avere una marcia in più rispetto al resto del genere umano". Ma anche chi non ha avuto la fortuna di nascere con questo ‘tesoretto’, ed è solo, si fa per dire, normalmente dotato, potrebbe portarsi alla pari artificialmente, grazie a precise terapie geniche.
STUDI AVANZATISSIMI — Lee Sweeney dell'università della Pennsylvania ha da tempo ottenuto in laboratorio i "supertopi" dalla struttura taurina e con un potenziamento muscolare che può arrivare al 35%, e Ronald Evans del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla in California ha sviluppato un farmaco, GW1516, che attiva il gene responsabile della crescita delle fibre muscolari bianche e rosse, proprio quelle alla base dello sprint. Progetti nati con l'obiettivo di trovare un rimedio contro il decadimento fisico tipico dell'età avanzata o contro la distrofia muscolare, ma che, in men che non si dica, hanno attirato le attenzioni di ben altri segmenti di popolazione. Entrambi gli istituti di ricerca, infatti, sono stati immediatamente inondati da richieste di atleti e allenatori, nonostante al momento non si sappia ancora nulla degli eventuali effetti collaterali che una simile terapia può produrre a lungo andare sull’organismo delle superdotate cavie e ancor più su quello umano.
Mabel Bocchi