In effetti è difficile condurre una discussione quando ci si trova davanti a qualcuno che ha il comportamento di un talebano ignorante. E che è orgoglioso di esserlo.
E diventa inutile riportare fatti reali, quando questo qualcuno crede di vivere nel secolo scorso o dentro il film "l'albero degli zoccoli" di Olmi.
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Quando ho riportato dell'uso del CO2 nell'industria, includendo la produzione di birra, ho fotografato un fatto acclarato, verificabile.
Non ho scritto che sia la stessa pratica di chi produce per sé qualche secchio di bevanda fermentata, che invece si è sentito tirato in causa, accusandomi di affermare cose che non sono vere perché non le vede nel cortile di casa sua. La scarsa conoscenza del mondo intorno a lui, per come la vedo, é un suo problema. Non del resto del mondo.
Il discorso poi si è spostato sulla produzione alimentare, per aver fatto notare che esistono normative che regolano la produzione e il commercio di alimenti, a tutela della salute del consumatore.
Sebbene sia stato sottolineato che non si parlava (solo) di caratteristiche organolettiche, spesso superiori per i prodotti artigianali, ma sostanzialmente di vigilanza igienico-sanitaria.
Ma se a qualcuno che legge è mai capitato di visitare una moderna industria alimentare ne avrà apprezzato la pulizia di ambienti e macchinari. Le regole HACCP e la sostanziale sterilità dei luoghi di produzione potrebbe essere all'origine dell'appiattimento del gusto, certamente, ma garantisce la salubrità del prodotto.
Ma vi sarà anche capitato di acquistare prodotti artigianali entrando in antri bui e maleodoranti che sembrano porcili.
In mezzo a questi due estremi ci possono essere tante sfumature, tante differenze e, purtroppo, tante proliferazione batteriche indesiderate. Tipo la famigerata Listeria.
Dal 2020 a oggi sono 3 le persone decedute, 66 i casi clinici identificati in Italia. Ecco la lista di alimenti a rischio stilata dall’Istituto Superiore di Sanità
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Chi venticinque anni orsono percorreva l'autostrada della Cisa non avrà potuto non notare che nella zona del valico, ad ogni parcheggio o area di sosta si incontravano quelle che sembravano simpatiche vecchiette, che vendevano formaggelle e altri prodotti dei loro pascoli.
Tanti soltanto a casa si accorgevano delle conseguenze di questi acquisti, quando si ritrovavano sul water... o peggio.
Oggi per ragioni di sicurezza stradale, ma anche per i divieti di vendita di merci, queste megere sono ormai sparite.
In sostanza, se si è identificabili, si hanno clienti ricorrenti e si produce con amorevoli cure, nessuno dubita della qualità della produzione agroalimentare italiana che, concordo, è un patrimonio nazionale di cui andare giustamente orgogliosi.
Se il rapporto commerciale è "mordi e fuggi" la possibile fregatura è in agguato, mancano i minimi controlli qualitativi e le conseguenze sanitarie possono essere pesanti.
Non c'è sempre bisogno di fare di ogni erba un fascio, come si usa dire. Ma è vero che sia nel comparto artigianale, che in quello industriale esiste chi lavora col culo.
È il consumatore che deve essere educato a sapere cosa deve e può pretendere, ma è anche chi vende il prodotto artigianale che deve sottostare a queste regole. Che per fortuna esistono.
Questo è ciò che coerentemente ho scritto nei post precedenti, che se se vengono letti senza pregiudizi, senza volerli sempre riportare alla propria limitata visione e con la voglia di capirli, possono aggiungere degli elementi della realtà alla visione naif del mondo contadino dei secoli passati.
A meno che sugli occhi non ci siano ben oltre che delle fette di salame. Delle fiorentine alte 4 dita, mi pare.