In attesa che smetta di piovere ...

patbici

Biker serius
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Cube race one - triban rc 520
Il maledetto COVID ....
Lavorando in autonomia, il COVID mi è passato a fianco, ma non ha avuto un impatto diretto sulla mia vita.
Andavo in studio anche nel 2021, quando il mondo era immobile, col fiato sospeso.
Ricordo queste strade vuote, con le gazzelle agli angoli delle strade e il telefono improvvisamente ammutolito.
Ricordo anche il sollievo dato dalla possibilità di muoversi e girare in bici, e le mezz'ore passate su koomoot per strutturare il percorso più lungo possibile da compiersi all'interno del mio piccolo comune. E il sollievo derivante dalla scoperta di poter girare anche fuori dai suoi confini.
E tuttavia .... quando era passata anche l'ondata omicron, quando pareva finita .... ci sono caduto anche io.
Due settimane rinchiuso in casa a far tamponi e cercare di lavorare sul tavolo della cucina. Alcuni giorni di male alle ossa e tosse cavernoso. Alcuni giorni di febbre e poi il nulla, salva la tediosa conta dei minuti che mancavano alla fine della quarantena.

Ma tanto normale, alla fine, non è.

Avevo sentito parlare dell'assenza di fiato da covid, ma mi era parsa una di quelle cose da giornali da casalinghe. Una di quelle "malattie impiegatizie", con la tizia che ti telefona dicendo che ha 37.5 e il medico gli ha dato 4 giorni. E tu, che è una vita che lavori anche con la febbre a 39, rispondi con falsa solidarietà: "accidenti, mi dispiace, non preoccuparti, ripigliati". E intanto, dentro di te, pensi: "37,5 e stai a casa 4 giorni? vergogna".

Sarano anche cose da casalinghe, ma sono settimane che mi pianto ad ogni salita sostenuta, col fiatone e il cuore a 1000.
Le gambe ci sarebbero, è il fiato e il cardio che non ci sono più.

Anche ieri, giretto pomeridiano. Caldissimo e umido, da seccare le labbra come nel deserto. La borraccia da 1 litro, riesumata per l'occasione, che finisce in un'ora. L'idea era quella di partire da Bologna, arrivare intorno a Sasso Marconi facendo la Porrettana e poi salire per Monghidoro. E dopo, boh, le alternative per proseguire erano tante, a me sarebbe piaciuto proseguire per l'eremo di Tizzano.
Dalla Porrettana a Monghidoro è' una salita ragionevolmente tranquilla, abbiamo fatto molto di peggio. E' bella, anche, immersa in colli lussureggianti di natura.
Eppure, dopo soli 4 chilometri, ancora una volta il vuoto: niente fiato, cardio a 6000, bisogno di fermarsi.
Non rallentare (che comunque sono già abbastanza lumaca): fermarsi, piegato in avanti sul manubrio, col cuore in gola.

Ero talmente frustrato che ho girato la bici e sono tornato indietro. Mi è venuta voglia di una elettrica, e ho detto tutto.

Sgrunt.
 

Old Blueyes

Biker strambus
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Vergate sul minchio
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Rockrider "Cancellum lentus lentus"
Mancava poco mi trasportassero al civile per l'intubazione; ci ho messo un anno a recuperare dal maledetto, e ancora oggi al 100% non sono (sia a "giri motore" che ad olfatto), dopo 18 mesi.
Questa carogna per alcuni è acqua nel gargarozzo, per altri è petrolio.
 

patbici

Biker serius
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Domenica, la sveglia suona alle 6.
Sono gia' sveglio da ore, con sto caldo dormire e' difficile.
Mi alzo, mi vesto in silenzio e scendo, in attesa del mio amico F.
Mentre lo aspetto, monto la bici sul portapacchi e controllo, per la decima volta, di avere abbastanza acqua.
Nelle ultime settimane, anche a causa del covid, ho messo su qualche chilo, e si sente. Appena mi muovo, col caldo, sudo come una bestia, e dovrei girare con l'autobotte a rimorchio.

Arriva F. E tutto fiero sfodera una bici il cui telaio e' quasi completamente avvolto in strati di domopak. Per non rovinarlo mentre andiamo, dice. Io mi chiedo se si droghi, ma non dico niente. F. e' uno preciso, e posso capire che l'idea di un sassolino che urti l'amato telaio in carbonio gli provochi le convulsioni.

Mi metto al volante, fa gia' caldo. Svuoto una delle borracce, tanto partiremo da un parco, vicino ad una fontanella dove faremo il carico di acqua fresca.
Diversamente dal solito, stavolta ho studiato. Ho preparato personalmente la traccia incrociando i dati di koomot e dell'app "fontane", e il percorso ci portera' di fianco ad ogni punto acqua vicino al nostro percorso. Di sete, quindi, non moriremo. Posso sudare in pace.

30 km dopo siamo a Mordano, tra imola e Ravenna. Un chilometro di lato, da qualche parte, c'e' l'imbocco della ciclovia del santerno e davanti a noi c'e' l'appennino. L'obiettivo e' Castel del Rio, passando per imola, borgo tossignano e fontanelice.

Sono molto gasato. E' un percorso che ho gia' fatto questo inverno, con bici da strada e ruote gravel. Pero', arrivato a fontanelice, non lo completai, il tempo era poco e dovevo rientrare presto. Invece, oggi, ho la giornata libera, anche se una vocina mi dice che dovrei lavorare un pochino. Ho appena compiuto gli anni, pero', e dopo i 50 il tempo e' il regalo piu' prezioso. Mia moglie, generosa come sempre, mi ha dato il via libera.

Siamo pronti. Partiamo. Mentre pedaliamo, seguendo obbedienti le indicazioni del suunto che ci dice il percorso, ci prendiamo bonariamente a vicenda per il chiurlo. F., oggi, e' un bersaglio facile. Ha un completino tutto bianco, completsto da un vistoso paio di occhiali da sole scuri con la montatura bianca che sembrano usciti dritti dagli psicadelici anni 60.
In compenso, io ho curato particolsrmente i colori, e sfoggio un completo bianco e rosso, con casco azzurro, bici grigia e borraccia rigorosamente arancione. Tra tutti e due siamo sui 110 anni. Lui sembra un vecchio gelataio equivoco, io sfoggio la tipica eleganza dell'umarel devoto al cantiere.

Il piatto forte, pero' e' la mia bici. Simil gravel, di derivazione frontino, con manubrio a piega ammerigana e ruote assottigliate perche' siano piu' scorrevoli. L'ho concepita e realizzata io, poi ho speso una enormita' di 2 meccanici per mettere a posto i pochi casini che avevo combinato io e gli innumerevoli che aveva combinato il meccanico n. 1.



Ma ora finalmente funziona e - sella troppo morbida a parte - va benissimo. E' brutta, ma anche bella. Anzi: e' brutta come un capolavoro di arte moderna, e scuserete la citazione del Sergente Hartmann.

(Segue)
 
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patbici

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E si va.

A imola raccattiamo degli amici e in quattro ci dirigiamo alla volta di Castel del Rio. Capitan C. ed L. con le gravel, io con l'accrocchio indefinibile ed F. con la stradale e le mie seconde ruote "gravellizzate". E' quello coi rapporti più duri. Non lo sa ancora, ma la pagherà cara.

Fino a Fontanelice e' una scampagnata. Si ride e si scherza. Ogni tanto un guado, da fare bici in spalla saltellando da un pietrone e l'altro. Ogni tanto una comitiva di elettrici ci passa in volata, guardandoci con sorpresa. In effetti, le MTB muscolari, in giro, sono sempre di meno e una signora, che grazie al motore spinge un rapporto improbabile, ci fa pure i complimenti.

In realta', l'uomo elettrico ce lo abbiamo anche noi. Il nostro Capitan C., di recente, ha scoperto durante un banale controllo di avere una brutta dilatazione di un'arteria. Gli hanno proibito gli sforzi addominali e decretato che la sua vita in bici era finita. Lui ha negoziato col chirurgo e si sono accordati per l'elettrica, "e motore acceso, non fare il furbo". Ora sfoggia una e-gravel dall'aspetto cattivissimo, di cui sono molto invidioso.

Ma torniamo alla ciclabile. Fino a Fontanelice, dicevo, e' 'na passeggista di salute. Dopo Fontanelice, chi ha tracciato il percorso si e' fatto prendere la mano.

Salite fino al 27% di pendenza, discese ghiaiose ad oltre il 15... mentre scendo, attento a non bloccare le ruote per mantenere il controllo della biga, penso al video pubblicato dal Comune di Imola, in cui mamma e bambino sui 10 anni pedalano felici e lieti su strada ampia et ghiaiata, fino a trovarsi senza sforzo o periglio sul famoso ponte a schiena d'asino di Castel del Rio.

Gia' immagino la scena:
"Fai la discesa, Gigino!"
"No, Ma', giu' nel burrone no!"
"Ma dai, e' una ciclabile per famiglie".
Risposta irripetibile da parte del minore, che viene prontamente condannato ad un solenne "subito-a-letto-senza-cena", con la formula "fine pena: mai".

Fortuna che sono malfidente, e la mia quasi-gravel monta una doppia con rapporti nani ... quindi, nonostante la stazza, mi pedalo buona parte dello strappetto al 20 e rotti.

Poi mi rendo conto che vado cosi' piano che quasi perdo l'equilibrio. Sguardo circolare d'intesa: si scende e si spinge, quando e' troppo e' troppo.
F., che come pignone piccolo monta un 32, lancia un sospiro di sollievo. Vorrebbe dire anche qualcosa ma non puo': suda come una bestia, ed ha finito il fiato.

Alla fine, comunque si arriva. Capitan C. e' raggiante. Ha fottuto il chirurgo e l'arteria, l'e-gravel gli permette di girare restando nei parametri di sicurezza. Noi ci facciamo piada e birra brindando con lui.

Dopodiche' si rientra, chiudendo i 95 e rotti chilometri piu' caldi del mondo, col termometro che ha toccato spesso e volentieri i 38 gradi e la barretta di cereali al miele che mi si e' sciolta nella tasca dorsale.

Ho bevuto almeno 5 litri d'acqua. Ho sudato l'impossibile. Sono arrivato a casa stremato.

'Sto gravel, in sella al mio accrocchio, mi piace.
 
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Si dice che un uomo debba fare cio' che un uomo deve fare.
Nel mese di luglio, cio' che quest'uomo doveva fare era il trasloco. E quindi ho passato parecchi fine settimana a imballare pacchi, interrompendomi solo per andare a vedere i ragazzi dai nonni o per implorare l'impresa di finire casa.

Man mano che si avvicinava il d-day, mia moglie diventava piu' tesa. Si aggirava per casa, scatolone in una mano e nastro adesivo nell'altra, prevedendo catastrofi. Non ce l'avremmo fatta mai. Si sarebbe rotto tutto. I mobili da traslocare non sarebbero mai stati nella nuova casa. Le cavallette. Il temporale.
Su quedt'ultimo punto ci aveva quasi preso. Il giorno del trasloco le previsioni davano l'unico giorno di pioggia del luglio piu' soffocante che io ricordi. E invece non e' piovuto, e' andato tutto bene e la sera, attorniati da cataste di scatoloni, ci siamo accampati sui materassi stesi sul pavimento della nostra camera da letto.

Il giorno dopo l'ho spedita al mare, in vacanza, e i pacchi ed io siamo rimasti soli. O meglio, siamo rimasti in 128. Io, 126 scatoloni, e la bici.
Perche', ricorderete, io sono un marito professionista. E quindi ogni mio gesto, ogni gentilezza cela la raffinata coltivazione dell'arte dell'inganno maritale.
"Vai tranquilla al mare" predicavo all'ignara giovinetta. "Io sono uomo, e ho da puzza' e sbaraccare scatoloni. Con una mano lavorero' e con l'altra de-scatolero' e quando tornerai rimarranno solo da mettere a posto le cose dei bambini".

Ma dei piedi, non si era parlato.
Ora che sono a portata dei colli - pensavo - al calasole, terminato il lavoro, ci scappa sicuramente una uscita serale. Due ore per me. Tutti i giorni. Un sogno.

E poi naturalmente ti scontri con la realta'. Un caldo afoso. Uffici per la concessione di residenza e magica tessera per aprire i cassonetti dell'immondizia in disarmo estivo. Un cliente con un'emergenza, e poi un altro. Oltre 60 scatoloni di libri da aprire, catalogare sommariamente e in-scaffalare. Ancora caldo porco. Sudore. Stanchezza. Solitudine trista da uomo di casa senza femmina e pargoli.
Insomma, per farla breve, niente bici per la prima settimana. Ma il nono giorno, al colmo dello sconforto, una improvvisa epifania: si va ai laghi!

Tra Bologna e la Toscana ci sono tre laghi. Il primo, il Bilancino, non fa parte di questa storia. Ne fanno invece parte i bacini di Suviana e del Brasimone, due invasi artificiali a circa 70 km da bologna.
Guardo kamoot, programmo la traccia: 134 km, 1400 e rotti di dislivello. Pendenze talvolta toste ma fattibili, il ritorno in discesa.
La invio a F. ed L., miei compagni di merende. I 130 e rotti non li ho mai fatti e nemmeno i 1400. Non tocco bici da quasi un mese. Ho bisogno di sostegno.

Due giorni dopo, eccoci sotto la fontana del Nettuno pronti a partire.
L., stiloso come sempre, sfoggia un inedito completo smanicato rosso come la bici. Io ho il solito aspetto discutibile, aggravato dal fatto che la mia roba da bici e' dispersa in vari scatoloni rimasti ancora inviolati. Caldo bestia, ho fatto fuori la prima borraccia prima ancora di partire.
Si va ? Andiamo.

Il mio suunto, che e' il navigatore ufficiale di queste uscite, ci guida a Sasso Marconi, e poi sulla sponda sinistra del Reno. Si passa Lame di Setta, dove F. buca, e poi si sale. La salita e' dolce, stiamo tutti al passo. Poi iniziamo a inerpicarci verso Castiglion de' Pepoli, e quando la strada si impenna io rimango indietro. Fa parte del gioco, sono piu' pesante e se tengo il loro passo schiatto. Col caldo, poi, sudo come una bestia: meglio non rischiare.

A meta' mattina la strada e' deserta. Poche macchine, niente bici tranne un signore anziano, con bici da corsa, che va piano. Lo superiamo, lui si accoda e chiaccheriamo. Ha gia' fatto il suo centello settimanale, e' quasi a casa. Anzi, ora svolta. Saluta, scala il rapporto e ci supera di slancio, lasciandoci tutti con un palmo di naso.

Prima di Castiglione ci fermiamo ad un bar, pausa riempi-borracce. La barista e' sola e si annoia, chiacchera volentieri con noi foresti.
Attacchiamo un pezzo duro. L. va via tranquillo, e' il piu' allenato e pedala leggero.. F lo segue e io chiudo a distanza. A Castiglione decidiamo di fermarci per mangiare un boccone. Niente vino, pero'. Adesso viene il pezzo acido, non ce lo possiamo permettere.

Dopo il paese, si sale sul serio. Attraversiamo un castagneto, salutando i camminatori lungo la strada. Io scalo, scalo, scalo e finisco sul 34-34, il mio rapporto piu' leggero.
Per un minuto mi pare di non farcela. Io sono un tipo ansioso, e le salite sconosciute sono sempre un tormento: quanto dura 'sta salita ? E se poi non ce la faccio ? E cosa c'e' dopo la curva ? E se rimango indietro ? E se... ? E intanto dimentico di respirare ed entro in affanno.
Per contrastare questa mia tendenza, funziona solo la tecnica dell' "ultimo samurai".
Ricordate quando Tom Cruise duella col giapponese che lo addestra all'arte della spada? Lui e' lento perche' pensa troppo, e il ragazzino lo corregge. "No mente", gli dice. Non pensare, fallo e basta.
Per fare una salita impegnativa in bici e' la stessa cosa. "No mente", non ci pensare. Quale salita ? Se ti concentri sulla ruota anteriore non ci sono salite. Guarda la ruota, evita le buche e preoccupati solo di respirare.
Accetta la fatica. Non dipende da te, quindi non e' un tuo problema. Concentrati solo sulla prossima pedalata. Usa il cambio per mantenere una frequenza di pedalata costante. Pedala e non pensare a niente. La salita, prima o poi, passera'.

Finalmente, al km 70 e rotti, siamo al Brasimone. Il panorama e' molto bello. Facciamo la foto di rito, ma e' gia' ora di ripartire, siamo indietro sulla tabella di marcia. 20 km e una discesa terrificante dopo, siamo al lago di Suviana. Cerco qualcuno che venda la calamita da frigo commemorativa, ma e' tutto chiuso.

Dopo Suviana, il paradiso. 10 o 12 km di lieve discesa, da farsi senza quasi toccare i freni. Il vento fresco fa molto bene al morale, visto che ho gia' fatto fuori almeno 2 litri di acqua. Arriviamo sulla strada Porrettana che ci riportera' a Bologna e superiamo il km 100. Le gambe vanno bene, il caldo si regge, mancano poco piu' di 200 metri di dislivello. Pensavo, a questo punto, di stare peggio.

Vantarsi pero' porta sfiga, e anche il parlare troppo presto. La Porrettana, in bici, e' un incubo. Continue salite che ti spezzano le gambe e ripide discese che non ti ristorano abbastanza. Il traffico, con le macchine che suonano anche se siamo tranquilli in fila.
A Sasso Marconi siamo finiti. Siamo oltre il km 120, ne abbiamo abbastanza del traffico e i rispettivi culi bruciano.

Finalmente Casalecchio, poi Bologna e via. Ci salutiamo al volo, e se dio vuole arrivo in garage. Scendo dalla bici con due gambe di legno, i km alla fine sono diventati 140 e rotti.
Entro in casa camminando guardingo, a gambe rigide. Mi stendo sul divano, faccio per andare a bere e arriva il primo crampo. Riprovo a muovermi, e il muscolo interno alla coscia si annoda di nuovo. Ok, quel muscolo non va usato.
Per alzarmi dal divano rotolo su me stesso, facendo forza sulle gambe superstiti e arrivo zoppicando al frigo. Spazzata l'acqua e il succo di frutta disponibile, mi faccio una doccia. Ne esco quasi nuovo, sedere a parte.

Ci messaggiamo.
Come stai ? Ho male al cul. Pure io. Ho pure i crampi. Anch'io. Abbiamo esagerato. Eh si. Ricordiamolo, cacchio, che abbiamo una certa. Eh si, inutile esagerare.
....
....
....
Pero' che bello, dai. La prossima dove si va ? Ragaz, io scendo al mare dai bambini, per un paio di settimane non ci sono.
Tra me e me pero' penso: andremo al lago Bilancino e ritorno, con relativa circunnavigazione in gravel.

Ma a loro lo diro' a settembre: sara' una sorpresa.
 
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patbici

Biker serius
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C'è qualquadra che non cosa.
Oppure, se preferite, "c'è del marcio in danimarca".

Insomma, 'sta cosa del gravel a me mi puzza. E, in questo caso, l' "A ME MI PUZZA" ci sta tutto, maiuscolo e lampeggiante al neon.

MA facciamo un passo indietro (cit.).

Ricorderai, mio attento lettore, che a fine estate mi sono esibito in un trasloco. Ciò che non sai è che il trasloco non ha esaurito affatto il tema "sgombero casa". Restavano da liberare una cantina ed un garage stipati di 20 anni di minchiate.
io e mia moglie abbiamo passato fine settimana interi a guardare, catalogare, insaccare e discaricare roba. Decidere se e cosa tenere. E' stato un viaggio nel tempo e nell'infanzia dei nostri pargoli, ed anche in noi. Ed ora, finalmente, è (quasi) finita.

In questo periodo ho fatto pochi chilometri, in giri da zia, e quasi sempre con la mia quasi-gravel. E' brutta, e la posizione in sella non è ancora perfetta, ma la adoro. Più che altro, se vai sullo sterrato l'ammortizzatore anteriore sembra inevitabile.

Ora, ogni volta che girellando il sentierino, la stradella ti porta sulla piazza di un paese, si finisce in mezzo alla gente che fa la passeggiata domenicale. E tra la gente, c'è sempre un ciclista con l'aspetto del ciclista (per intenderci, non un panzone come me) che vede la mia strana bici, ci gira un po' intorno, prende coraggio e mi dice: "beeellla! ma l'ammortizzatore lo hai fatto mettere tu ?".
E io gli spiego che no, in realtà è un frontino, io ho messo solo copertoni più stretti e cambiato il manubrio, perchè la surly corner bar permette di mantenere cambio e comandi originali, e allora bla bla bla bla.
E al 99,9% lui mi risponde "ah, la corner bar, ne ho sentito parlare. Perchè sai, io ho cambiato la MTB per prendere la gravel, ma la uso quasi solo su strada, perchè se ci vai sul sentiero le vibrazioni ti ammazzano".

Oh, non lo sto inventando. Me lo dicono veramente. Tutti o quasi. L'ultimo ieri a crevalcore, mentre - tornando da mirandola a bologna lungo la ciclovia del sole - attraversavo il mercatino domenicale.

Ora, i casi sono due:
1) o io incrocio solo gente malmostosa e complottista, che sente la necessità di mettere in dubbio con argomentazioni speciose l'informazione mainstream secondo la quale "la gravel non ha bisogno di ammo, basta sgonfiare le ruote e poi coi 38 mezzi sgonfi vai tranquillo, e in questo modo è la bici del futuro", oppure
2) SU INTERNET SI LEGGONO UN MARE DI MINC***TE.

Perchè io ci ho provato.
Ho una bianchi sprint, in carbonio, comodissima, che uso per uscire su strada. ho il nastro manubrio imbottito, sotto il quale è montato il sottonastro in noene per limitare le vibrazioni.
Ho comperato un secondo paio di cerchi, ci ho montato sopra dei copertoni 38 meno stradali dei soliti, li ho sgonfiati al valore minimo consentito (50 PSI).
Ci ho fatto sopra, in più riprese, 2 o 300 km. Fin a che si va su strade bianche o su ciclabili, niente da dire (ma ho fatto l'eroica e la furiosa con una vecchia bianchi da corsa che montava i 21, quindi ...). Appena vai su un sentiero vero (quelli che hanno radici, pietre, buche ... un normale sentierino da pineta marittima) le vibrazioni ti ammazzano. Ho provato a gonfiarli a 35 PSI: il confort migliorava appena ma guida diventava imprecisa, erano veramente troppo troppo sgonfie.
Avevo una triban rc520, che qualcuno fantasiosamente usa come gravel: idem come sopra.
Ho fatto un giretto con la gravel di un amico: le vibrazioni le sentivo uguale.

Inizio a sospettare che sta cosa delle bici gravel "no ammo, tanto sgonfi le ruote" sia una grandissima auto-presa per il cubo, e che i gravellari se la ripetono l'un'l'altro per giustificare il fatto di esserci caduti con tutte le scarpe.
E' un pochino come quando hai una morosa comandina, spietata ed intrattabile. Tu ne parli con gli amici dicendo "si, la devi saper prendere, ma ci amiamo", mentre invece stai cercando solo il coraggio di lasciarla.

Cosa ne pensate ? insulti, consigli e outing sono tutti bene accetti ....

NB: notate la foto della bici con la sacca da poser. Confesso che al momento l'ho montata, non mi serve assolutamente a niente, ma è carina. Sono anche io bravissimo a prendermi in giro, quindi non vi formalizzate ...
 

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Michy74

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Ciao ,
Le bici gravel nascono x ghiaia , terreni terra battuta , asfalto . Gia se metti radici e pietra / sassi....sconfini nel mtb .
Se usata x il suo utilizzo d origine è comoda e a mio parere molto gratificante .
Gomme da 40mm , 2,7 Bar posteriore e 2.2 anteriore ( peso75 kg) con cerchio canale interno 25 mm e vado tranquillamente ovunque , sempre nei limiti sopracitati . Mi capita la sassaia di qualche decina di metro o piu , rallento e di molto, perché diventa fastidioso e pericoloso . ( lo si fa se ti capita nel giro, ma non è il suo ambiente d utilizzo )
Inoltre è fondamentale saper andare in bici in fuorisella , ammortizzando con gambe e braccia , quando il fondo diviene impegnativo e " scassato" ...anche x solo pochi metri .
 
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patbici

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... e allora faccio fatica a capire cosa serva una bici dedicata a quel tipo di terreno. Lo si fa tranquillamente con una bici da strada con gomme più larghe. Oppure con un frontino con le gomme più strette.
Mi sfugge a cosa serva una bici dedicata, mi pare un uso talmente settoriale ... da qui la mia perplessità.

NB: però capisco che se c'è stato un successo di massa, questa tipologia di bici risponde ad un interesse concreto. E' che io non riesco a vederlo (a parte il fascino estetico della bici con la piega ed i ruotoni, che io subisco tantissimo) .

E mi rifiuto di pensare che la gente compera una gravel solo perchè è un bell'oggetto. Il marketing può prendere in giro molti per poco tempo, pochi per molto tempo, ma non molti per molto tempo.

Spiegami, se ti va.
 

Michy74

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Pianura Padana....una 15 d' anni tra front e a seguire Full di livello medio/alto . Per avere un tracciato degno di mtb ho diversi km da fare ...minimo 25 ( 50 tra andata e ritorno ) e spesso la caricavo sulla macchina e mi dovevo spostare. Circa 3000 km l anno la mia percorrenza in mtb.
2 anni fa provo una gravel , faccio un giretto ....poi un altro . Vendo mtb full e la compro . 3t exploro ( già cambiata con nuova Basso palta )
Gli sterrati lungo fiume , tra le campagne , vigneti che prima mi stufavano ora sono goduria , ad andature piu sostenute . L odiato asfalto in mtb ora e' un amico quando capita , perche' mi ci diverto con una bike molto piu reattiva e veloce .
Prima giri da 50 / 60 km erano il mio target....ora parto da casa e pianifico giretti da 100 / 130 km ( a volte , rare ,anche oltre 150 ) in cui incontro vari tipi di fondi stradali . Non torno stravolto e in tempi decenti . Quest anno chiuderò a 5000 km .
Provato più volte bdc " seria" di un amico , copertoncini da 25mm . Non ditemi che ci vai sul ghiaietto o fondi sconnessi come con la gravel ....non esiste . ( ma nemmeno con gomme da 28/30 mm . Geometrie , rigidita' , e resistenza alle sollecitazioni per telaio e forca diverse da una gravel ).
In conclusione , ho trovato la mia dimensione perfetta con una bike perfetta x mio territorio( frontino molto piu lento su asfalto e ghiaietto a parità di sforzo) . Non per marketing , ma dopo aver provato . Non è una bici " settoriale" come dici tu , anzi è la piu polivalente che puoi trovare mantenendo andature decenti e divertendoti .
Ciaoooo
 
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gambero71

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Boh!

Io ho una triban rc520 gravelizzata con guarnitura 46/30, pacco pignoni 11/42 e cambio ruote.

Giro anche in quel di Bologna.
Con la mia bici ho fatto tranquillamente la variante Terre Rosse (Settefonti), la conca di Sant'Andrea, le sette traverse e, con molta meno tranquillità il farneto.

Il senso della gravel, per me è che mi ci diverto. Comincio il giro senza sapere di preciso dove andrò e con nessuna preoccupazione. Al massimo, con un po' di portage (capita di rado) si risolve tutto.

Le ruote originali sono appoggiate in un angolo, così quando mi viene voglia di fare un giro BDC in due minuti sono pronto. In tre anni non mi è mai venuto questo desiderio.

Edit: i percorsi che proprio non digerisco prevedono sassi liberi delle dimensioni di un pugno, gradini più alti di 15 cm rock garden ripidoni e roba così.
 
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patbici

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quindi, se sintetizzo bene, la pensate così:
la gravel, per voi, non è una bici che si inserisce tra la bdc e la mtb.
E' la bici che, per chi vive tra i colli e la pianura, le sostituisce entrambe, semmai cambiando le ruote a seconda del tipo di uscita.
Dal mio punto di vista di ciclista super-amatoriale, la cosa potrebbe avere un senso (questione dell'ammortizzatore a parte).
Ci penserò. Grazie.
 

gambero71

Biker superis
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Ripensandoci mi son reso conto che, i giri "gravel" in cui mi diverto di più sono quelli fatti in modalità "free ride dei poveri".

Non ho abbastanza coraggio per fare passaggi impegnativi con la mtb, così mi complico la vita in percorsi relativamente semplici fatti con la gravel.

Ad ognuno la sua patologia!
 

Michy74

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Bmc Agonist 01
Nel mio caso è esattamente cosi ! ( no ammo ovviamente) .
Cmq se prendi bike giusta , ti permette di " spingere " quando vuoi e riesci ( Non è SOLO ma ANCHE viaggio relax guardando il panorama ) . Gente con gamba e tecnica piu che discreta puo' tenere i 30 kmh di media tra sterrato e asfalto per giri che sfiorano o superano i 100 km .
Ciaooo
 
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Avete presente la barzelletta ?
Quella dei due esploratori che vengono catturati da una tribù di cattivissimi negri dell'africa nera.
Vengono Legati al palo, mentre i tamburi rimbombano ossessivamente.
Si presenta il capo, e dice al primo: "Tu preferire essere lessato vivo, oppure fare borum borum ?"
"Capperi, tutto meglio che lessato vivo! Qualunque cosa sia, preferisco fare borum borum !"
Lo slegano, e tutta la tribù lo inchiap***ta a turno fino a che l'esploratore muore, tra atroci sofferenze.
Allora il capo si rivolge al secondo, che ha assistito a tutta la scena terrorizzato. "E tu, preferire essere lessato vivo, oppure borum borum ?"
"Io preferisco essere lessato vivo!"
"Io accontentare" dice il capo. "Ma prima, un poco di borum borum".

Ecco l'uscita di domenica è stata così.
E' un periodo di tanto lavoro e pochi chilometri, complice anche un certa pulsione collettiva del gruppo a fare giri gravel, che ti portano immancabilmente a fermarti ogni volta che si vede un calice di vino.
Domenica, però, volevo fare un giro vero.
Chiedo al gruppo, ma il solo disponibile a macinar chilometri è F..
F. è pericolosissimo, perchè e in forma ed è ciclista da strada dentro. Io sogno l'avventura ed il manubrio con la piega. Lui sogna il Mortirolo.
"Beh, P." fa il mortirolese "ti ricordi quella salita che non mi è riuscita tra Brento e Bresso ? Che nel punto tosto ho perso l'equilibrio, tanto andavo piano, e sono caduto ? Dai, andiamoci".
Me ne aveva già parlato di 'sta salita. Base 10%, punte sul 20 %, lunghezza indefinita. Io, che sono vecchio e grasso, ci schiatto. Ma sono anche orgoglioso, per cui respingo la traccia che mi manda con una scusa.
"Troppo corta", dico. "Io voglio chi-lo-me-tra-re. "
Me ne manda un'altra, più lunga. Do un occhio veloce. Passiamo per Bresso, ma taglieremmo fuori Brento. L'ho gabbato, eviteremo la salita terribile. "Si dai , facciamolo".

Domenica mattina partiamo dribblando orde di alpini senescenti, che partecipano al raduno di bologna iniziando la giornata col grappino corretto dal caffè.
Io ho i calzoni corti estivi, la maglietta leggera e la giacchina sopra, tanto c'è il riscaldamento globale. Lui ha la tuta termica che portava Messner quando scalava l'himalaya. Ho nuovamente cannato abbigliamento, fa un freddo babbuino.

Faccio finta di niente. Ci infiliamo su per la Fondovalle Savena, chiaccherando. Se ora dicessi "teniamo un buon ritmo", mentirei, ma siamo più o meno nella media.

Una trentina di chilometri dopo, siamo al solito bivio. Sinistra Loiano, destra Monzuno, dritto Monghidoro. F. gira per Monzuno, e io, coi ghiaccioli che mi pendono dal naso, dietro.
L'ultima volta che l'ho fatta, mi era sembrata una salita senza infamia e senza lode, impegnativa ma fattibile. Oggi arrivo a Monzuno un poco in affanno, segno che i ciclo-cicchetti gravel style hanno lasciato il segno. Bisogna pedalare di più, penso.

Si scende in picchiata verso la Val di Setta, fino a superare il paesino di Tre Fasci. Poco dopo, sulla destra, compaiono tre cartelli.
"Bresso: 4 km" recita il primo.
"Brento: 4 km" rincara il secondo.
"Ocio, discesa pericolosa! 15% di pendenza" dice il terzo, dall'inequivocabile forma triangolare.

Guardo F., che sogghigna. Mi ha fregato. Non abbiamo fatto la salita terribile, per la buona ragione che le abbiamo girato intorno, e adesso la stiamo prendendo dall'altra parte. E come sappiamo tutti, le salite terribili prima o poi diventano discese terribili. E se sali da una discesa terribile, lei diventa una salita terribile. La chiamano proprietà transitiva, mi dico, riflettendo sui risvolti pratici della logica.

Che faccio ? Vado ? Vado, naturalmente. In fondo, mi dico, che sarà mai un 15% di fronte alle sfide della vita. Io sono UOMO, mi dico. UOMO. Siamo uomini, o caporali ? Alea iacta est! Ad astra per aspera! Vamos a bailar esta vita nueva ! Namose !

Mentre mi do questi saggi consigli, affronto il primo strappetto. La bici sembra curiosamente incollarsi all'asfalto. E' decisamente riottosa a salire. Ma io spingo e rispingo, e piano piano si sale. F. Sale davanti a me, a poca distanza. "Era un 15 % ? " gli chiedo. "Mah", fa lui reticente guardando il garmin "una specie".

La strada spiana un pelo, e io riprendo coraggio. Bresso e Brento, 4 km. Io sto salendo forse ai 6 o 7 all'ora. Quindi 4 km ai 6 all'ora fa ... e mi perdo nei calcoli, colla testa che non sa se partire per la tangente e risolvere il dilemma matematico, o stare incollata alla strada per urlare di fatica.

Arriviamo ad una curva. C'è una rete, con un cane dietro che ci abbaia forsennato. Che palle, 'sto cane, penso. ma più che altro, non penso. La testa è andata. Ci sono io, la ruota anteriore, ed il respiro che mi assorda e riempie il vuoto pneumatico della mente. Faccio la curva, sguardo fisso sulla ruota. Intuisco, davanti a me un drittone. Non guardare su, mi dico, che ti impressioni. Ignoralo. Le salite, se guardi la ruota anteriore e basta, non esistono.

E invece guardo, e vedo qualche centinaio di metri di strada verticale. F. mi ha distanziato, è 20 metri davanti ma 10 metri più n quota. Le mie gambe, intimorite dalla salita, urlano. 4 km così' non ce la faccio. Non ce la faccio. Decisamente no.
"Non ce la faccio !" piagnucolo con F.. Sto ancora pedalando, ma cerco anche delle scuse. Dentro l'animo, mi sono già arreso.

"Dai, P., che ora spiana!"
'Sta cippa, spiana. 4 km, figuriamoci. Intanto la salita aumenta, e io inizio a zigzagare. Zigo, zago, poi ancora zigo e ... cactus, la macchina! Ho invaso la corsia opposta. Sembrava non ci fosse nessuno ... ansia, fatica, sopraffazione. Non ce la faccio. Dai, non ce la faccio.

Mollo, metto il piede a terra. Cammino ansimando, la bici al seguito. Anche a piedi faccio fatica. Però, 100 metri dopo, la strada rispiana. Ora saremo su un 10 % o giù di li. Rispetto a prima è assai fattibile. Ce la posso fare. Risalgo in bici, bestemmiando per far le prime pedalate, e poco dopo sono in cima. F. , nel frattempo mi aspetta in posa plastica, fiero di essere riuscito. Io invece ho mollato. Mi vergogno un poco.
"Quanto faceva nel punto tosto ?", gli chiedo.
"Il GPS diceva 19 o 20 %, poi effettivamente, non lo so".

Una parte di me si sente sollevata. Ho 53 anni e svariati chili di troppo, è anche ammissibile che un 19 o 20 % di salita mi stronchi.
Ma dentro di me so che non è così. Se invece di mettermi ad ululare alla luna fossi salito e basta, zigzagando, penso sarei riuscito.
Ho fallito, e io odio fallire. Soprattutto in queste prove di machismo gratuite, del tutto irrilevanti per un uomo della mia età.

Finiamo il giro. Mentre scendiamo, incocciamo parecchi bikers che salgono l'altro versante, frullando rapporti microbi rispetto ai quali il mio 34-34 è una rapportone da pista.
Hanno ragione loro, non ha senso salire per certe vie con la bici da strada.
Mentre ce lo diciamo, F. e io sappiamo perfettamente che ci prendiamo in giro a vicenda.

Noi torneremo insieme al nostro amico L., che, essendo in pensione è allenatissimo.
A lui piacerà, ed io ho un conto aperto da saldare.
 
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Ieri sera, mentre guidavo sul raccordo Ferrara-Mare, riflettevo sul fatto che la vita è strana.

Se mi guardo indietro, io ho vissuto una serie di vite successive. Sono stato un windsurfista. Sono stato un musicista. Sono stato - e in piccola parte sono ancora - un kitesurfista, ed ora sono un quasi-ciclista.

Ho vissuto ciascuna di queste inclinazioni, che facevano il contrappunto alla vita vera, con passione quasi totalizzante, del tutto sproporzionata ai risultati ottenuti. I traguardi, però, non mi sono mai importati granchè. Ciò che volevo era vivere l'esperienza, non essere il più bravo.

E uno dice: "ma perchè tu mi racconti queste cose (cit.) e cosa centra con la bici ? " Calma, ora arrivo.

A me il giovedì scombussola.
Giovedì vuol dire che è quasi venerdì e che si avvicina il finesettimana. E io entro in segreta fibrillazione: che bel giro faremo ? Perchè l'appetito vien mangiando, e ogni volta, famiglia permettendo, vorresti pedalare qualcosa di più. Quindi giovedì notte, pistolavo sul cellulare in cerca di ispirazione. Passo della futa ? Già fatto. Monghidoro ? Fatto. Modena-Sestola ? Te sei matto, ti viene un coccolone. E poi, una epifania: facciamo il delta del Po, che d'inverno è bellissimo e non ci sono zanze. Nel giro di un'oretta il giro è concepito, digitato, e il file.gpx è partito alla volta degli amici, che rispondono alla chiamata.
Ed è così che alle 7 e mezza di domenica mattina siamo in macchina, con le bici stivate dappertutto, alla volta di Bosco Mesola, da dove partirà il nostro centello in giro per il delta.

Un caffè al baretto e si parte, dapprima su strade trafficate e poi nel nulla cosmico. Il gelo mattutino cede il passo al sole. Che giornata stupenda.
Pedaliamo regolari, chiaccherando affiancati per l'assenza di traffico. Abbiamo scelto di farre le strade minori, gli argini, i tratturi. E' il regno del gravel, che mi attira sempre di più. Voglio fare tanti chilometri, non mi interessa andare veloce.
Nel giro di poco sono tutto schizzato di fango. F. ne soffre, perchè lui ama la sua bici di un commovente amore puro, e gli piace vederla splendente. Io, della bici, me ne sbatto E solo un coso con le ruote su cui mi sento bene. A me il fango piace.

Passiamo Porto Tolle, poi via dritti verso la Sacca di Scardovari. Arrivati in fondo al delta, ecco il mare. Ci infiliamo in bici sul bagnasciuga, a pedalare felici la sabbia bagnata. Anche F, un poco riottoso, ci si diverte.

In fondo alla spiaggia c'è una scogliera e mi si muove qualcosa nella pancia. Io, questa scogliera, la conosco.

Ci avviciniamo. la spiaggia svolta dietro un gruppo di pini, io mi sporgo oltre gli alberi e ho un tuffo al cuore.

Talvolta i luoghi hanno nomi diversi per comunità diverse. Per i civili ed i ciclisti, questa è una spiaggia libera sulla punta della sacca di scardovari, ma per me, e per i kiters come me, questa è lo spot di "barricata". Non ho riconosciuto la strada d'accesso perchè le vie delle bici, e quelle delle auto sono differenti.

Sono passati anni, ma conosco ogni pietra, ogni scoglio, la spiaggetta, la baracca. Qui parcheggiavamo, smadonnando perchè dovevamo portare tavole e kites fino in spiaggia. Qui noi apriamo le vele, e da li, - con le scarpette perchè il fondo è infido - sono uscito in kite tantissime volte, Qui, vicino agli scogli, ho preso una brutta raffica inviatami da un cumulonembo apparentemente tranquillo, e li ho avuto un incidente che, davanti ad una birretta, tuttora racconto.

Arrivare a barricata, per noi kiters, era una piccola sfida, perchè se vai in macchina è un posto in c**o ai lupi. E invece eccomi di nuovo qui, in un altra vita, con altri amici, e stavolta in bici. Sempre vestito da idiota, ma in calzamaglia, e non più in muta. L'ultima volta che sono venuto i bambini erano alle elementari, e ora sono al liceo. Continuo a sentire i ragazzi del kite, ma i nostri incontri hanno il sapore un po' triste di quelli dei reduci.

Mi guardo intorno. Con gli occhi del ciclista è solo sabbia che ti incricca la catena, ma con gli occhi del kiter è un paradiso. Guardo le bandiere, che sventolano pigre. Mi pare che si stia alzando il termico, forse più tardi si uscirebbe.
Cerco di spiegare ad L. come si sta dentro il mare d'inverno, mentre la brava gente rinuncia per stare al caldo, con le altre pecore. Cerco di raccontargli cosa vuol dire togliersi la muta in spiaggia, al freddo, coi capelli bagnati nel vento freddo. Cerco di spiegargli perchè ne vale la pena, e perchè stringere il trapezio prima di alzare l'ala mi dava sempre una sensazione di grandiosa aspettativa . Cerco di spiegare, in breve, il turbamento che mi provoca l'incrocio inaspettato tra due vite così diverse, ma entrambe importanti.

L. simpatizza, ma non credo che capisca. Per lui sono P. il ciclista, un amico simpatico, con cui ci si capisce bene, ma tutto sommato recente. Questo P. il kiter, che ha alle spalle un vissuto emotivo di cui lui non fa parte, è un perfetto estraneo.

Non importa. Presto vedrò i ragazzi del kite, per farci gli auguri. Racconterò questo episodio a N., che non vedo da mesi ma che mi è caro come un fratello.

Lui, certamente, capirà.
 
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E' un paio di mesi che i rulli sono montati stabilmente in salotto.
Nelle ultime settimane ho preso l'abitudine di fare due o tre brevi sessioni con zwift, onde muovere almeno un minimo il mio abbondante sedere.
Tuttavia, lo stile videogioco di zwift non mi piace e, più in generale, non mi piace granchè "quel" tipo di ciclismo da bimbominkia, con la gente che ti passa vicino e ti mette i like a raglio, giusto per esserci.

Però le uscite vere latitano, quest'anno i miei compagni di merende soffrono il freddo e il mio gruppetto, complice le sfighe fisiche di qualcuno, è entrato in modalità "ibernazione".
Domenica, tuttavia FF lo sportivo ci annuncia di essersi rimesso e ci convoca. Tutti avevano voglia, e quindi si danno disponibili.
Per la reunion si sceglie un grande classico che piace a tutti: su per la val di zena, con l'opzione di una birretta al bar del laghetto.

Si parte. Io sono con la mia "ibrida" da quasi-gravel, essendo la stradale inchiavardata sui rulli.
Chiaccherando si passeggia su per la valle. Un caffè al laghetto, e si prosegue.

Verso Zena, alcuni mollano: chi deve rientrare, chi ha voglia della famosa birretta, chi ha freddo. Anche FF ci molla, e lo capisco. E' stato qualche mese fuori dal giro per un piccolo intervento al cuore. Ha voglia di balotta, più che di fatica.

Io ed F, però proseguiamo. Ci va di fare un giro degno del nome, ed F propone di battezzare il Monte delle Formiche, dalla cui vetta si vede un panorama strepitoso.

Poco sopra Zena, infatti, la fondovalle si biforca in un bivio che abbiamo costantemente fatto finta di non vedere. Sulla strada per il Monte, infatti, girano leggende paurose.
C'è chi dice che, ad un certo punto, arrivi al 26 %. C'è chi dice addirittura che non arrivi nemmeno, portando gli sventurati ciclisti in un luogo indistinto nel tempo e nello spazio. Ciò che è certo è che, già a guardare il bivio, ti rendi conto che quel cavolo di strada è bella scoscesa, ed il Monte delle Formiche, a quanto ne so, è il più alto dei dintorni.

"Andiamo, P. ?" dice F. "Andiamo pure", rispondo rassegnato io.

imbocchiamo il bivio e subito si sale. Fortuna che ho il simil-rampichino, penso, con quella bella coroncina anteriore da 22 che aiuta tanto.

F. è una bestia, invece. E' leggero, ma ha due gambe grosse come tronchi. Essendo uomo di altri tempi, disprezza il ciclismo moderno in cui si mulina un rapporto leggero a ritmi forsennati. La sua pedalata è lenta e potente, quasi maestosa. A me mette l'ansia. Ogni volta che finisce, con sforzo, un giro completo di pedale, non sai mai se riuscirà a finire il successivo. Persona schiva e gentile nella vita reale, sulla bici è anche stoico e mi fa costantemente un cubo quadro.

Continuiamo a salire, incontrando la neve. C'è un freddo cane, ma mi apro la giacca e mi levo i guanti coi denti, per rinfrescarmi.
La strada, che viaggia tranquilla per chilometri intorno all'8 o 10%, ogni tanto si stufa e si impenna. F, che ha il garmin e legge le pendenze, si fa un dovere sadico di informarmi. "16% !" mi urla giulivo. "No, ora 14 !". E poi, sempre contento: "Dovremmo fare lo stelvio ! Lo Stelvio, cazzo",
Ma che Stelvio e Stelvio, penso io, che se non avessi questa MTB travestita da gravel ora starei salendo a piedi. Così, invece, dai: non ho ancora finito i rapporti. Forse Zwift ha ragione. Forse ci ho i watt fitti, ci ho. Ah, se non fossi ciccione, con tutti 'sti watt che mi ritrovo,... sarei 'na bestia. Na bestia !
Mentre sragiono in questo modo, una bella rampa, verso Cà di Pippo, si incarica di rimettermi a posto. Per quanto kamoot si rifiuti di ammetterlo, la strada è semplicemente verticale, e io devo impostare un rapporto tale che il suunto, pensando che io sia fermo, si mette in pausa automatica.

Come sempre, quando messo alla prova, mi irrigidisco dimenticando di respirare. E come sempre, appena me ne accorgo, rilasso il busto e regimento il fiato, seguendo il mio tipico stile in 3/4 che mi fa pedalare a ritmo di walzer.
Dentro-fuori-FUORI ! Dentro-fuori-FUORI ! Dentro-fuori-FUORI ! Dentro- fuori fuo... Lo so, è sbagliato. Dovrebbe essere dentro-DENTRO-fuori, non dentro-FUORI- fuori, ma a me viene naturale in questo modo, e per fare diversamente mi devo concentrare molto.

Si passa anche la rampona, e c'è uno slargo. Due sorsate per bere, e si riparte. Certo che 'sto monte non arriva mai. E mentre lo dico, ecco l'ultima curva con le macchine parcheggiate, e ci siamo. Freddo a parte la giornata è splendida, e F ed io ci facciamo scattare una foto commemorativa.

Due minuti di panorama mentre nel vento tagliente ci dividiamo una barretta alla frutta e si scende. Salendo abbiamo visto un bivio, con un cartello che dice ZENA. Mai vista, 'sta strada. Chissà dove ci porta. Facciamola.

La discesa, che è tosta, mette alla prova il mio impianto frenante di fascia bassa. Sto troppo attaccato alle pinze, lo so, è uno dei miei molti difetti. Mi piace scendere, ma penso troppo. Dovrei andare ad istinto, e non ci riesco quasi mai.

La strada curva e ci si apre davanti una valle coltivata. E' grande, bellissima, ignota. Non ci sono macchine, nessun rumore. F si ferma a metà di un drittone, quasi emozionato: "Guarda che roba" mi dice.
Uno o due chilometri dopo, sbuchiamo nuovamente sulla fondovalle. Siamo arrivati da uno stradino anonimo, che abbiamo visto 1000 volte senza mai fumarlo. Che errore, amici miei, che errore (cit.).

Riprendiamo la fondovalle, pedalando affiancati, chiaccherando. Ci saranno 3 gradi, i ciclisti sono pochissimi e infreddoliti.

Questa strada la conosciamo a memoria, e non proviamo nemmeno a spingere. Nell'ultimo anno siamo diventati amici e parliamo di cose familiari.

La giornata in bici, del resto, è già finita, e va bene così.
 
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alle 6 e mezza di domenica mattina sono in macchina, sbadigliante e diretto verso Padova.

Devo arrivare per le 8, perchè intorno alle 8 e 30 parte il giro dei colli in gravel, e ci voglio essere.
E' una formula che mi piace molto: niente organizzazione, niente segnalazioni stradali, niente rinfreschi lungo la strada, niente di niente. Solo la traccia, e la necessità di organizzare il resto in autonomia.
Sento i miei amici, ma nel mio gruppo ora il mood è più per bici elettrica, giretti da 30 km e i piedi sotto la panca dell'osteria. E' molto divertente, ma non è affatto andare in bici, e quindi mi devo organizzare diversamente.

Arrivo al parcheggione del raduno. C'è già qualche decina di ciclisti, molti dei quali decisamente tonici. Io mi aspettavo la kermesse dei ciclisti medi, e sono evidentemente fuori luogo.

Il cielo è grigio, con nuvole basse. Non capisco se pioverà o verrà il sole. Per non sbagliare, visto che sono un indeciso cronico, in macchina ho tanta di quella roba da vestire da coprire il caldo sahariano come il tempo polare. E come il solito, uso sempre la roba che ho già addosso, e che va più o meno bene in ogni condizione.

Tempo di montare la bici, e parto, accodandomi di straforo ad un gruppone di perfetti sconosciuti.
Primo pezzo in strada, poi finalmente sterrato.
I colli euganei, a differenza di quelli bolognesi, sono tremendamente erti. E quindi - essendo meno sfruttabili dal punto di vista agricolo - sono molto più selvaggi. A due passi dai paesi, cominciano tanti sentieri per camminare o fare mtb. Vengono buoni anche per le bici gravel, anche se ogni tanto, qualcuno, nel gruppo, scende e spinge.

Io, di per mè, sono tranquillo. E' vero che sono vecchio, bolso e fuori forma, ma è anche vero che la mia monster è costruita "trapiantando" su di una front una barra drop e dei vecchi comandi shimano. L'accoppiata con copertoni più stretti, dalla scolpitura parzialmente stradale, rende la bici brutta come il peccato e tuttavia efficace sia dentro che fuori strada. I rapporti corti, da MTB, mi permettono di scalare le montagne e quindi lo faccio, anche se ad andatura omeopatica.

Nel frattempo il percorso ci fa superare Battaglia Terme e Monticelli, e ci imbattiamo nella prima delle ville storiche di cui la pianura è punteggiata. Sono 30 anni che per ragioni familiari frequento questi posti, e non ne conoscevo neanche una. Foto di rito, e si prosegue.
Il gruppo si sfilaccia e poi si divide. Io seguo il mio ritmo, facendo due chiacchere con qualcuno ogni tanto. Ma non è che la parte social della vicenda mi interessi molto. Andare in bici è un bel momento per pensare, e anche per non pensare a niente. Più che altro, mi concentro sul manubrio. Non sono ancora riuscito a capire se il design è geniale, o è una vaccata. Secondo i momenti, è entrambe le cose.

Arquà Petrarca, Este, Monselice, Lozzo Atesino ... al castello di Valbona, una cinquantina di chilometri dopo la partenza, abbiamo fatto mezzo giro dei colli, e i percorsi si dividono. Chi sceglie il lungo, torna dentro, a fare altro dislivello, per chiudere la 100 km. Quelli che scelgono la 80 km, invece, continuano su argini fino a Bastia, per poi tirare in dentro verso Praglia.

Io - che devo essere a pranzo dai miei suoceri - faccio la 80, ma devo essere l'unico di tutto il gruppo perchè mi ritrovo totalmente solo.
Nel frattempo l'aria si è scaldata, e sotto il giubbino sudo un poco. Appena lo apro, il vento della corsa mi congela. Apro e chiudo, apro e chiudo, e poi mi viene la pipì.
Tanto sei in mezzo alla campagna, direte voi, vai dietro un albero e .....col cacchio. Siamo in mezzo aal nulla, ma è un nulla popolato da milioni di ciclisti, cicliste, gente col cane, a piedi, bambini. E non c'è un albero, poi. Quando non ce la faccio più mi apparto dietro un cespuglio basso, faccio un bel sorriso a due vecchiette che mi guardano come un maniaco e riprendo a pedalare.

A Montemerlo del piattume ne ho abbastanza. Sono ad un tiro di schioppo da casa dei miei suoceri, e, forte della conoscenza dei luoghi, penso che il giro sia finito. Sai che palle, penso. Ora si farà la statale, poi Praglia, poi la strada che mia moglie chiama "circuito monterosso" e stancamente saremo a destinazione.

Quanto mi sbaglio.
Questi posti che pensavo di conoscere così bene nascondono una serie di piste e sterrati che offrono una viabilità del tutto alternativa a quella delle strade asfaltate. C'è anche qualche rampetta, e gli sterrati mi portano a Montegrotto senza quasi mai vedere asfalto. pensavo che il giro fosse finito, e invece questa è una parte molto bella, che mi godo tantissimo nonostante la stanchezza.

Finalmente, con le gambe doloranti, arrivo al parcheggio. L'organizzazione stimava un tranquillo tempo di percorrenza di 5 ore, visto che il percorso è in gran parte sterrato. Facendo due conti, io pensavo che il mio tempo corretto fosse sulle quattro ore. Ce ne ho messe 3 e 56, per una volta ci ho preso.

E' mentre mi cambio e smonto la bici per infilarla nel bagagliaio, sentendomi tutto contento di avere centrato l'obiettivo, arrivano un paio di ragazzi, col fisico tirato del vero ciclista. Sono i primi arrivi della 100 km, che hanno fatto quasi 20 km e 300 metri di dislivello in più, ma sono arrivati solo 10 minuti dopo di me.

Orecchie basse, vado a pranzo dai miei suoceri.

Sic transit gloria mundi.
 
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"Senti, ma sabato andiamo a casa, al mare ?"
Mia moglie mi guarda, bevendo il te mattutino.
"Sabato mattina i ragazzi sono a scuola. E poi, nel pomeriggio la partita. E poi bla bla bla bla bla... "
"Gia' e' vero". Cavolo, ci speravo. Avevo bisogno di cambiare aria.
"Senti, ma perche' non ti fai un giro in bici per decomprimere ? Alla partita li porto io".
Ooooohhhhhh, una wild card. Preziosa. Inaspettata.
Gia' perche' no ? Ci penso, ed ecco il progetto. E' tanto che voglio fare un giro nuovo. Faro' la via del mare, che da Bologna arriva ai lidi ravennati, dormiro' a casa li e poi domenica vediamo. Magari arrivo a Rimini, e prendo il treno li. Magari a Venezia.

Lancio la palla agli amici, che non raccolgono.
Troppi chilometri, troppo sbatto, altri impegni. Loro si spostano solo per l'eroica e a me l'eroica, vestito da ridicolo, con bici che mi sono indifferenti, non dice molto. Vabbe' vado da solo.

Recupero la traccia, chiedo in giro. Sulla carta è un bel percorso, che in alcuni tratti ho già fatto. Si tratta di puntare a nord, lungo il canale Navile, e a un certo punto, saltando di canale in canale, di imboccare il lungo Reno fino a sbattere contro le Valli di Comacchio. Da li al mare, e dal mare a casa, è un attimo. Si tratta di 120 km, a dislivello quasi zero. Su strada mi è capitato di farne di più, e con del dislivello. Sarà 'na passeggiata di salute.

Sabato mattina, dunque, sono in piedi molto primo della sveglia. Tutto vestito da ridicolo, pencolo tra un boccale di caffè e la borsa sottosella, in modo da stivarci dentro il minimo indispensabile.
Un ultima gonfiatina all'ammortizzatore, uno sguardo al manubrio che ho appena montato e provato solo in città e ci siamo. Il mio primo simil-quasi-cicloviaggio. Sono emozionato.

Bacio moglie e pupi, i quali mi strofinano vagamente addosso delle guance irsute dei quattro peli di una incipiente barba, e parto.
Ho tutto ? Boh, si.
Ma poi devo fare solo una giornata in bici nella civile Emilia Romagna, non sono nel deserto dei Gobi. E poi, alla peggio, un colpo di cellulare e nel giro di un'ora qualcuno mi raccoglie. Ma la sensazione è quella dell'avventura, e allora penso che se la mia avventura è una giornata in bici in uno dei paesi più urbanizzati del mondo, sono messo malino.


Pedala pedala, e imbocco il Navile. E' una strana sensazione. Il Navile corre a ridosso di una via molto trafficata. Però viaggia incassato tra due argini alti, coperti di alberi e cespugli. Tu giri in mezzo a case e capannoni, e non li vedi. Potresti essere nella foresta nera. Mi piace.

All'oasi naturalistica di Bentivoglio si vira ad est, in direzione del mare. Stradine di campagna, sentieri, sterrati. Mi meraviglio ancora una volta di questa realtà parallela da cui le macchine sono escluse, o ammesse con riluttanza.
Sono anche colpito dall'assenza di traffico. E' il sabato di un ponte, pensavo che la via del mare sarebbe stata gremita di ciclisti, o macchine, o tutti e due. E invece non c'è nessuno. Faccio tutto il viaggio praticamente da solo.

Arrivo ad Argenta per l'ora di pranzo. Ho già fatto 75 km, e nella mia ottica sono quasi arrivato. le gambe vanno bene, fa caldo ma non eccessivo, l'argine su cui sto correndo è ombreggiato bene. Una pacchia, me la godo proprio. E' il momento di un panino, e di rifare il pieno alla borraccia.
Mi rilasso, due telefonate. Poi riparto e tutto cambia.

Le mie gambe, che giravano a meraviglia si sono imballate. Le mani, che ho tenuto incautamente senza guanti, bruciano. Gli alberi fronzuti che facevan ombra sono scomparsi. Ma soprattutto, e questo è grave, arriva il vento.

Non una tempesta, eh. nemmeno un vento freddo. Però è quel vento ostinato, che comunque ti muovi ce l'hai in faccia. Quei tipici 15 nodi che al mare ti piacciono tanto e che sui pedali ti fanno girare a freno a mano tirato.

Da San Biagio in avanti il percorso è un unico ghiaiato irregolare, su un argine privo di curve per più di 20 km, in mezzo ad una campagna tutta uguale interrotta solo da case in rovina. In mancanza di altro, me le studio per bene. Una villa, una chiesa, quello che sembra un convitto o un monastero. Ho la pulsione di fermarmi ad esplorare, ma resisto. A parte la violazione della proprietà privata, sono sicuro che col mio dolce peso farei crollare la qualunque.
E poi 'sto vento, mamma mia. Dritto in faccia, che se sputi ti torna a boomerang nell'occhio. Per tenere un ritmo appena decente devo fare uno sforzo costante, incessante. Sul terreno rotto la bici non scorre per niente, e appena smetti di spingere si ferma.

Questo è il momento in cui vorrei compagnia. In gruppo faremmo due chiacchere e passerebbe allegra. Così da solo senti solo la monotonia di un percorso piatto, senza salite nè discese a tenerti occupata la mente. Mi sfugge come ci sia gente che, in solitaria, faccia il giro del mondo in bici senza diventare matto. Forse la tempra del viaggiatore solitario, dopotutto, non ce l'ho.

Mentre rifletto su questa ed altre cose della vita arriva inaspettata la freccia per Sant'Alberto. Sant'alberto è dalle parti di Ravenna. Vuol dire che sono alla fine del drittone, e anche che devo prendere il traghetto.
Pago l'obolo a caronte, passo il guado e ormai ci sono. Da qui a casa ci saranno 10 o 15 km. Meno male, perchè il mio chiurlo martoriato dai sobbalzi mi manifesta il suo dissenso ad ulteriore fuoristrada.
Da Casal borsetti in avanti, pur potendo farla in pineta, scelgo la ciclabile asfaltata. Sto barando, lo so. ma sono in bici da quasi sei ore, e ne ho le scatole piene.

Finalmente apro il cancello di casa, entro in giardino e sono in casa.
Tiro su le tapparelle e mi tolgo scarpe e calze, sgranchendo con voluttà le dita finalmente libere da costrizione. Bevo un litro d'acqua e mangio due biscotti che - essendo rimasti nell'armadietto per tutto l'inverno - sono tutti fiappi per l'umidità.
Mi stendo un attimo sul divano, mi dico. Poi andrò a comperare qualcosa per cena e fare un giretto per il paese, ma intanto ci rilassiamo 10 minuti davanti alla tv. Non sono mica stanco, eh. Riposo solo gli occhi, e magari mi copro con la copertina perchè la casa è stata chiusa, ed è freddina. Ma solo un minuto, dai. Perchè non sono stanco. Davvero.
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Mi sono svegliato col buio. Ho dormito quattro ore di fila.
 
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patbici

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Cube race one - triban rc 520
15/10/2023

Domenica, ore 8,20 di mattina.
Nonostante sia il 15 ottobre, è ancora bello. Appoggiato al rudere di porta San Vitale, in una Bologna che inizia a svegliarsi con fatica, guardo il sole salire lentamente dietro via Massarenti.

Dicono che sarà l'ultima domenica d'estate. E' il momento ideale per il giretto gravel che ho programmato su kamoot.
Con me ci saranno LL. ed FF.. L. , nell'ultimo anno, si è trasformato da cicloturista in cicloviaggiatore, ed inanella giri su giri in posti molto belli. F. è ciclista da sempre, e si è da poco comprato la MTB. Il più scarso, come sempre, sono io, e oggi so già che dovrò penare.

Il nostro giro partirà dal centro di Bologna in direzione San Lazzaro. Da li costeggeremo l'Idice fino a Mercatale e poi su, lungo i colli dietro al paese fino ad arrivare al cosiddetto Pilastrino. Al Pilastrino parte un breve sentiero in cresta ai calanchi, che ho già fatto e ha un panorama stupendo. L'ho già fatto, ma sempre in salita e con la MTB. Stavolta lo faremo in discesa, e con le gravel. C'è un pezzetto di sentiero che mi darà da fare. Al limite camminerò.

L. arriva e passiamo a prendere F. con questa MTB nuovissima e scintillante. Lungo com'è, e abituato al manubrio da strada, sulla MTB sembra quasi goffo. Il manubrio dritto lo lascia perplesso, e cambia continuamente le mani nel tentativo di farci amicizia.

Il percorso l'ho concepito io, ma ora penso che lo avrei fatto diverso. Guido i ragazzi attraverso ogni parco pubblico, ciclabile e aiuola disponibili, cercando di evitare la strada. Ma la prima parte è solo trasferimento. Il vero gravel comincia al ponte sull'Idice.

Quando ci siamo, indico il sentiero. "Di là, rega". L. ci pensa, e poi indica un percorso parallelo "E se andassimo di li, invece?"

No problema, penso. Il sentiero che dice lui è un pelo più brigoso, ma perchè non farlo. L. lo imbocca, noi seguiamo.

300 metri dopo stiamo smadonnando, con la sabbia alle caviglie. L'alluvione di quest' estate ha distrutto l'alveo dell'Idice ed il sentiero, portando dovunque questa sabbietta fine che ci riempie le scarpe. Camminiamo, cercando di passare tra alberi divelti e porzioni di sentiero franate nel fiume. Dovevamo seguire il percorso programmato, che è invece una normale strada bianca. Mentre lo penso, usciamo tra i campi e finalmente arriviamo ad un certo ponte. Da li possiamo tornare sulla strada programmata.

Facciamo qualche chilometro di sterrato, chiaccherando affiancati. per la strada c'è solo qualche runner, e ci godiamo la natura. Finalmente arriviamo a Mercatale, dove comincia la salita.

Qui è necessario chiarire un punto. F., come dicevo, ha una MTB col mono e 12 rapporti, in grado di scalare le montagne. La mia ibrida è stata una MTB in una vita precedente, e io ne ho fatto una monster proprio per sfruttare i suoi rapporti corti.
L. invece, usa una RC500, col rocchetto originale. E' un cavallo da tiro, col quale ha fatto centinaia di km in tutta italia, ma non è famosa come rampichino. Tuttavia, la salita di Settefonti ha parecchi punti che stanno intorno o superano di poco il 15%. prevedo che avrà il suo da fare.

Si sale. Cominciamo chiaccherando, ma poi mi perdo, come sempre, nel ritmo del respiro. L'obiettivo non è salire - la mia bici mi agevola tantissimo in questo - ma cercare di non mettere il rapporto più corto di tutti. Mi concentro per dosare gli sforzi. La scelta, come sempre, è tra rapporto più duro ma un pelo più veloce, che abbrevia la salita, o più morbido e lento, che l'allunga. E come sempre io non so scegliere, indeciso tra il dolore alle gambe e il pensiero affannoso.

L., invece, ha poco da scegliere. mette il rapporto più corto che può e via andare. Ma lui è un atleta, se gli metti sotto un triciclo va bene lo stesso, con il medesimo atteggiamento rassegnato di uno scalatore di montagne. Ogni tanto però si affianca per ringraziarmi della scelta del percorso e mettere in dubbio la virtù della mia mamma. Io a mia volta lo spernacchio, ridendo. Piano piano guadagna terreno, e come prevedibile mi lascia indietro.

Qualche chilometro dopo siamo in cima. Due minuti di pausa per svuotarci le scarpe dalla sabbia dell'Idice, e via in discesa.
Io sono cauto, cautissimo. Ho l'ammortizzatore frontale mezzo scarico perchè ho lasciato la pompetta al mare. Ogni volta che freno affondo parecchio, col timore di ribaltarmi.

Anche F. scende circospetto. La bici è nuova, e non sa come si comporterà. E poi, come me è vecchio. ha paura di farsi male. Nel tratto più erto si blocca, e ci fermiamo tutti. Lui scende a piedi quei fastidiosi 30 metri e, a questo punto, anche io. L'arte di risalire in bici quando la discesa è forte non l'ho mai imparata.

L., invece, scende come una capretta di montagna. La sua bici è rigida, ma gli ammo non gli servono. Dove la ruota non fa presa, lui scende in derapata controllata. La sua non è tecnica, ma istinto animale. Ricordo una volta, che facevamo i tornanti con la bici da strada, ad un certo punto lo vidi drizzarsi sulla sella, mollare il manubrio e mettersi a ravanare con ENTRAMBE le mani nella tasca posteriore. Gli squillava il telefono, era la moglie. Fece il resto della strada a tornanti senza mani, toccando appena il manubrio nelle curve e rispondendo al telefono, incosciente del pericolo. Io - che mi devo violentare per nn attaccarmi ai freni - non sarei riuscito mai.

Ma che bello, 'sto crinale. Visto che è presto siamo soli, ed io mi godo tantissimo il sentiero.
Da un lato e dall'altro, calanchi grigio ferro dal sapore lunare. Dietro ai calanchi, colline verdissime. E ancora dietro le torri di bologna, immerse in una vaga foschia. Mi verrebbe voglia di fermarmi e fare una foto, ma poi decido che no, non serve.
Se voglio rivedere l'immagine, so come fare: bici, gambe, salita, e poi scendere. Certe cose non devono essere gratis. Valgono solo se te le sei guadagnate.

Fine del sentiero, e poi delle stradine di campagna. Siamo di nuovo in pianura, sulla ciclabile. A quest'ora è affollata e procediamo lenti, chiaccherando del più e del meno. Siamo contenti. F. ha fatto pace con la MTB, io sono riuscito a non ammazzarmi ed L. ha goduto l'intera uscita. Ci facciamo un caffè, e poi ci salutiamo. Io devo affrettarmi, che ho i miei suoceri a pranzo.

Arrivo a casa, doccia e quando suona il campanello sono perfino presentabile.
E di ottimo umore, anche. Questi calanchi hanno lasciato il segno.
 
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