In attesa che smetta di piovere ...

Michy74

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Spero tu possa continuare a narrare queste storie ancora per molto.
La gravel ti offrira spunti per giri infiniti , tra sterrati , asfalto , argini , ecc .
 

patbici

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Spero tu possa continuare a narrare queste storie ancora per molto.
La gravel ti offrira spunti per giri infiniti , tra sterrati , asfalto , argini , ecc .
Adesso che la bici ha un secondo paio di scarpe "grosse" adatto al gravel leggero, sono tornato un legittimo frequentatore di mtb forum e non piu' un infiltrato....
 

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... e alla fine, quelle scarpe grosse le abbiamo provate.

Dovete sapere che, come molti diversamente giovani, anche io ho un buen retiro, cioè un posto a ragionevole distanza dal quotidiano nel quale mi sento in pace col mondo. E questo mio posto e' circondato da chilometri e chilometri di strade bianche, dove girare in mezzo alla natura.
Lo scorso anno le ho girate in mtb, ma era oggettivamente uno spreco. Il piatto e' totale, le stradine battute, usare una bici fatta per arrampicarsi fuori strada era come spaccare le noci a colpi di bomba atomica.
Inoltre in questi due anni ho sviluppato una certa ossessione per il manubrio con la piega, mentre quello dritto non mi ha mai colpito.
Insomma per farla breve la mtb era inutilizzata mentre sognavo di farmi accompagnare dalla stradale anche sullo sterrato. E quindi ho venduto la prima e dotato la seconda di un secondo set di ruote montate coi copertoni gravel, in modo da cambiarle all'occorrenza. Vi risparmio l'ordalia dell'allestimento a costi umani in un momento in cui qualsiasi ricambio non si trova o richiede miliardi di dollaroni. Per fortuna si trova dell'usato ben tenuto, e gli amici cinesi tengono siti fornitissimi. Insomma, per allestire du'rote ho scomodato corrieri da ogni parte delle terre emerse.
Ero curioso della sensazione che mi avrebbe restituito la bici una volta dotata di scarponi e ve lo devo dire: e' stata goduria assoluta, forse amplificata dai panorami e dalla splendida giornata di sole che accarezzava la schiena. I copertoni da strada bianca sembrano per qualche motivo scorrevoli nonostante le scolpiture e il peso notevole.
Peccato solo per la mancanza di un qualsiasi dislivello, fosse anche solo la rampa dei garage.
Ma ho gia' in mente un giro dalle mie parti che dovrebbe porre rinedii alla lacuna....
 
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Nessuno nessuno ? Ok, allora vi racconto la mia eroica montalcino. Che di montalcino (soprattutto brunello di) ha parecchio, e di eroico pochissimo.
Una premessa. Io non ho l'animo del collezionista di cose. Proprio non fa per me, non mi ci affeziono e non mi sento estasiato a possederle se non in funzione del loro valore d'uso.
Ho un amico che ha una bianchi degli anni 40, bellissima come oggetto ma inutilizzabile per via dei rapporti durissimi. Lui la guarda ed e' contento. Io una roba del genere non la compererei mai. Piuttosto un quadro.
E quindi: che ci facevo a montalcino, in mezzo agli amanti delle vecchie bici ? Ci sono stato trascinato dal mio gruppetto di amici, che la fanno da anni. E quindi ho trovato un vecchio rottam... cioe' una bianchi fine anni 70/inizio 80, la ho rimessa a posto eccetera eccetera.
(Segue)
 

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Lavorarci mi e' piaciuto. Ste vecchie bici sono prodigi di meccanica spicciola. Girarci in piano e' interessante. Girarci in salita gia' meno, ad ogni colpo di pedale rimpiangi gli spd e daresti fuoco alle gabbiette. Girarci in discesa e' agghiacciante, i freni "tipo olandesina" non frenano un cacchio e le leve sono durissime e in posizione sfigata. Insomma, mi sarebbero dovute suonare in testa molte campanelle d'allarme. Ma io ho pensato: la fanno alcuni amici che, nei nostri giretti ordinari sono molto tranquilli. Ecchessarammai.
Arriviamo a montalcino, la sera ci ubriachiamo come maiali e la mattina un poco rinco ma motivatissimi ci presentiamo alla partenza. Due di noi faranno la 46 km, che comunque fa un rispettabile 900 e rotti di dislivello. Io e gli altri 3 facciamo la 70, che fa 1280 +. Gli altri sono dei fuscelli oppure dei bestioni sull'1 e 90. Io assomiglio al rag. fantozzi, con la coppola degnamente sostituita dal cappellino da ciclista eroico che mi da un'aria da perfetto idiota.
Partiamo.
Gia' alla prima discesa, su asfalto, realizzo che i miei freni sono inutili. Il meglio che sanno fare e' rallentare un pelo. Ma tutto sommato va bene, sono vivo, quindi....
Mentre rimpiango gli amati dischi, inizia lo sterrato, che il mio amico Ivo battezza subito con una eroica caduta sul ghiaino. Uno dei duoi guanti in pelle si sfonda sul palmo, salvando la mano. Io, che non porto guanti corti perche' mi danno fastidio, e quindi giro a mani nude, inizio a farmi delle domande.
Dopo la prima discesa vera sul ghiaino (preceduta da un cartello che in due lingue ti avverte che scende al 12 % e ti fa capire che se la fai con la bici eroica sei un vero babbeo) mi monta il terrore. Io non sono pronto per sta roba. Qui ci lascio la buccia.
Nel frattempo, la giornata si apre. Le nuvole lasciano il posto a un sole splendido. E con il sole arriva il caldo.
(Risegue, oggi si va a puntate)
 
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(segue)

Ora, causa COVID era un pochino che non scendevo in toscana. e sempre causa COVID non mi sono ancora abituato all'idea che l'inverno è finito. ma in toscana, d'estate, col sole a picco, fa caldo. E se sei eroicamente vestito, con maglietta, pantaloncini e calzetti di lana, lo senti ancora di più. Se poi il tuo casco è nero ....
Arriva il primo ristoro, sono passati 37 chilometri ma io sarei anche per darla su. Per fortuna trovo uno che mi sostituisce i gommini dei freni, e rincuorato proseguo. i 10 o 12 km successivo sono senza storia. Ho mandato avanti i ragazzi, so che il dislivello importante arriva ora e non voglio rallentarli.
In particolare, sto aspettando la salita di Castiglion del bosco. In 5 km si va da 130 metri di altitudine a 480, e la prima parte ha una pendenza gentile. Il giorno prima, parlandone, dicevo "si scende e si spinge", ma il retropensiero era quello di pedalarla. Sono o non sono un eroico ?
Intanto guardo, il panorama, che è bellissimo, e aspetto di incontrare una fontana per rifare il carico d'acqua. le borracce eroiche sono piccole, e insufficenti. Io ho dietro 40 chili di attrezzi per la bici, e non ho una seconda borraccia perchè poco in stile. Che errore, amici pedalatori.

Parte la salita, e io pedalo di buona lena. Faccio tutta la parte più facile, ansimando come un cane accaldato, perchè sono in ebollizione. La borraccia, riempita mezz'ora prima è quasi vuota. Risparmio ciò che resta, ma ho le labbra screpolate. Eppure, al ristoro, avrò bevuto 3 o 4 bottigliette da mezzo litro. E ho già fatto fuori 2 o 3 borracce.

Alla prima curva veramente acida, però, scendo e cammino. Non sono il solo, beninteso. La fina dei camminatori si dilunga abbastanza, e sono di tutte le età. Ammiro molto quelli che invece mi passano a fianco sui pedali.
In particolare uno, che ho già visto. E' un omone, non particolarmente atletico, che come rapporto morbido avrà un implacabile 23 o 24. Pedala lento, di pura forza, con la lingua di fuori. E' attaccato al manubrio con la forza della determinazione. Lo vedo sparire dietro un tornante che farà il 15 %. ha il viso contratto, lo sguardo disperato ma non domo. Ecco, lui è il ritratto del vero eroe, roba che quando passa dovrebbero suonare in automatico "against all odds" di phil collins.

A metà della salita sono finito. Il sole mi ha cotto, e mi brucia in modo intollerabile. Inizio a pensare che, se uno volesse, basterebbe salire sul furgoncino dell'organizzazione, che passa regolarmente in su e in giù. ma so che non lo farò. Daccordo camminare, ma c'è un limite a tutto. Eppoi guarda, in qualche modo siamo in cima, la strada spiana.

Monto in bici e che buffo, non riesco a coordinare col piede il movimento del pedale per infilare la gabbietta. Pedalo un poco con la gabbietta che striscia per terra, e il rumore non mi infastidisce. Spingo e guido ondeggiando piacevolmente a destra e sinistra. Mi sento svuotato e privo di volontà, come in balia degli eventi. il cuore batte forte nel petto, E' ufficiale: sto avendo un colpo di sole. Lo so perchè mi è già successo facendo kite.

Via il casco. Via il cappellino. Con la poca acqua residua mi bagno i capelli, la faccia, i polsi. Continuo a camminare, passando da un'ombra all'altra, e aspiro aria fresca a grandi boccate. Dopo un poco la situazione migliora. Inaspettatamente, poi, arriva il ristoro. Mangio frutta, bevo tanto, mi verso una bottiglietta in testa con grande scandalo della signora che le distribuisce. Dopo 10 minuti sono a posto. La frutta ha aiutato. Scambio qualche minchiata con gli amici che sono arrivati un quarto d'ora prima di me.

Riparto, pedalando. ora è tutto un mangia e bevi, e con lo stomaco che fa glu glu, pieno d'acqua fino alle orecchie, me lo pedalo stoicamente. Faccio un ultima salita a piedi, in compagnia di un altro derelitto, e finalmente usciamo dallo sterrato.

Da questo punto c'è un'ultima salita pedalabile ("Hovvia" - dice il tipo dell'organizzazione all'incrocio - "che l'è l'ultima ed è finitaaaaa", e poi giù in picchiata fino al traguardo.

Ci ho messo 6 ore, di cui 5 in movimento. 4 o 5 km li ho camminati. Se ieri sera avessi avuto la forza, avrei bruciato la bici da eroica ballando intorno al fuoco. Non avendolo fatto, sono probabilmente condannato a farmi per ragioni amicali anche Gaiole, ad ottobre. Ma la farò precedere da un'accurata messa a punto della bici, in modo che freni senza se e senza ma, e di me stesso. Qualche chilo in meno non mi farà male.

Pochi chilometri prima dell'arrivo, abbiamo incontrato il percorso seguito dalla recente tappa del Giro. Qualcuno ha scritto sull'asfalto, in quel tratto di salita, "il ciclismo è uno sport di merda". Non è proprio così. ma sicuramente è una roba da masochisti. Eppur mi piace. Mistero.
 
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ogni volta che penso al gravel , seguo un pensiero circolare, che suona più o meno così:

"fuori strada in bici da corsaaaa ? Ma che ca**ta, senza sospensioni poi ... però dai, sarebbe bello se funzionasse, sullo sterrato con la piega ... cioè, insomma, una figata assurda! Ma però, ripensandoci: fuori strada in bici da corsaaa ? " eccetera eccetera.

Per venire fuori da questo loop infinito, ho allestito un secondo paio di ruote "con gli scarponi" per la mia bici, e già che c'ero anche per la bici di mia moglie, che su questa cosa era tutta positiva. Avrei dovuto diffidare, fedele al broccardo "timeo Danaos et dona ferentes" (tradotto liberamente: "diffida dalla femmina propositiva, che c'è la fregatura").

Mercoledì scorso, dopo aver messo le scarpe grosse alle bici, visto che avevamo qualche ora libera, siamo andati ad "esplorare" alcune pinete al mare. Si annunciava un giro tranquillo con dislivello zero, in modo da godersi qualche ora senza sbatto.

Facciamo una trentina di chilometri lungo la costa, passando dall'una all'altra delle pinete che punteggiano la costa tra Ravenna e Cervia.
La sensazione, quando il terreno è buono, è molto bella. Le gomme da 38 ammortizzano, e girare con la piega è bello di per sè. Quando invece il sentiero è pieno di radici, sono scossoni da perdere il fiato, che ti chiedi che senso abbia.
Mentre giro, continuo a pensare che uno smorzatore di qualche tipo sulla forcella o sullo steam non sarebbe male, e che prima o poi i forcellini ammortizzati arriveranno anche per le gravel.

Intanto che disegno il futuro del mercato della bici, mia moglie fora in mezzo al nulla. Mi fissa disperata, ma io - assumendo un'aria navigata tipo "femmina, guarda e ammira" estraggo dalla falsa borraccia una bomboletta per la riparazione veloce.

Sparo alla gomma l'intero contenuto, poi con sguardo ieratico le comando "va, buona donna, fai girare 'ste ruote e non forare più". Lei parte di slancio, e 300 metri dopo la ruota è nuovamente a terra, col lattice che cola lungo il cerchione.
Il suo sguardo, prima ammirato, è diventato scettico.

Corro ai ripari, estraendo il magico portattrezzi ed esibendomi nello smontaggio di ruota, copertone e camera d'aria e spargendomi lattice semiliquido fin sopra le orecchie. Ha ceduto una vecchia toppa, il lattice che doveva tappare non ha tappato nulla.

Pulisco, scartavetro, poi appiccico una toppa autoadesiva. Massaggio per attivare la colla, gonfio e tiene. Sono toppe che ho già testato sulle ruote da strada, sono sicuro della loro tenuta. Sono mesi che giro su strada con una gomma riparata con quelle toppe.

Rimonto tutto, la guardo tutto fiero e l'attempata giovinetta rimonta in sella. 8 chilometri dopo, la gomma cede di nuovo. Lo sguardo scettico diventa critico.

Visto che stiamo facendo un lungomare, mi accampo in un'aiuola e rismonto tutto. Ci saranno spini ? Apparentemente no, la toppa ha semplicemente ri-ceduto. And now, che famo ? perchè io una camera di ricambio non ce l'ho, confidavo che tra bomboletta e toppe .....

Nel frattempo, le mie azioni di riparatore di bighe presso mia moglie sono in drastico calo. E' evidente che la pragmatica consorte mi ha assegnato il premio "idiota del giorno", e abbandonata l'idea del giro, inizia a sformare soluzioni alternative.
Prendiamo la corriera ? Torno a casa da solo e la ripasso a prendere in macchina, mentre lei si fa uno spriz in spiaggia ? Comperiamo una casa in questo posto di mare, e finiamo quive i nostri giorni, abbandonando i ragazzi al loro destino ?

Mentre lei ciancia, io cerco un bicimeccanico su internet, scoprendo che siamo nell'unico paesiello dove apparentemente non c'è. E mentre mi guardo in giro desolato, l'occhio mi cade su un comulo di imballi nel retro di un palazzo. Da quello in cima spunta una rastrelliera per bici ancora incellophanata.

Se c'è la rastrelliera, forse c'è anche il resto. Scopro così una ferramenta gestita da un signore grassissimo e all'apparenza muto. Gli chiedo una camera d'aria, e lui a gesti mi fa notare che si, ne ha, ma non sa quali, e comunque a lui gli accessori per bici gli fanno schifo e quindi me le devo cercare da solo tra martelli e scatole di viti.

Riemergo con due camere adatte, costate un rene e mezzo.
Convinco la mia pompetta con l'attacco presta a funzionare con la valvola italiana graziella-style, e in 10 minuti siamo di nuovo in sella.
Però, la poesia è finita, la mia signora reclama un rapido ritorno à la maison con ombrellone e tintarella incorporata. Rigorosamente su asfalto, per fare prima.
Durante la pedalata, poi, con la sua nota diplomazia, mia moglie mi spiega dove dovrei infilarmi la falsa borraccia con gli attrezzi e si interroga ad alta voce sui motivi che le impediscono di scappare all'estero con un figaccione biondo, ricco e palestrato.

Quindi: mi è piaciuto il gravel ? Ve lo dico la prossima volta, quando - dopo aver cambiato la moglie con un modello più recente, dotato di tasto "mute" - andrò DA SOLO a fare un giro vero.

Ma lo farò solo dopo aver buttato via lattice e toppe autoadesive. D'ora in poi solo camere d'aria di ricambio a tracolla.

Alla bersagliera.
 
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E finalmente il mio primo giro gravel.

Lo avevo desiderato tanto, ma per tutta una serie di motivi - giove sa essere cattivo quando ci si mette - luglio e agosto sono stati parchi di chilometri e di occasioni. Ma ieri, dribblando i vari impegni familiari, mi sono messo un completino bianco candido antisole alla nureiev, ho riempito due borracce enormi, e mi sono buttato.

Sono al mare, quindi dislivello zero. In compenso, c'e' un percorso che da casa mia, nei lidi ravennati, dovrebbe portarmi a cervia attraverso un guazzabuglio di pinete, tratturi, argini sterrati e via dicendo. Se kamoot non mente, almeno la meta' degli 85 km previsti dovrebbe essere fuori strada. Non sara' una prova risolutiva, ma e' un inizio.

Programmo la partenza per le 7, onde evitare il caldo. Quando la sveglia suona, pero', la de-fenestro con piglio da cestista, per cui parto effettivamente alle 9 e rotte. Fortuna che c'e' qualche nuvola, e la mia lycra da ballerino ha delle sorta di prese d'aria sui fianchi della maglia. Visto di lato, sembro una mortadella gaya nella sua retina.

Pedala che ti pedala, arrivo al traghetto che mi fa passare da porto corsini a marina di ravenna. Leggo il saggio cartello che mi raccomanda la mascherina, infilo la mano in tasca per prenderla e SORPRESA! L'ho dimenticata.
Fidando nella nota sportivita' dei romagnoli di fronte alle regole, improvviso un simulacro di mascherina con un fazzoletto di carta. Il cortese bigliettaio lo nota, sorride ma mi fa salire lo stesso. Del turista non si butta via niente.

Attraverso marina di ravenna, gia' popolata di giovinette discinte che mi distraggono dalle mie dotte elucubrazioni a due ruote, passo punta marina e lido adriano e finalmente sono a lido di dante, dove comincia la parte fuori strada.
Sono curioso e pieno di aspettative. Io di sentieri ne ho fatti diversi, ma con la mtb. Ora sono con una bici rigida, addolcita solo da un sottonastro in noene sul manubrio e dalle ruote maggiorate del 38. Chissa' come sara'.

All'inizio e' sia bello che brutto.

Bello, perche' dietro lido di dante si apre una grande zona dove il traffico non arriva e le strade sono sterrate. Giro su argini, sotto capanni da pesca ben tenuti, dentro la grande pineta di classe in cui merita fare un giro.

Brutto, perche' ad ogni radice, ad ogni buca sono scossoni da incubo, che ti viene da chiederti che senso abbia 'sta gravel, eccetto massacrarti braccia, cubo e schiena.
Coi chilometri, pero' imparo ad alzarmi sui pedali per passar le buche, e a spingere di addominali per non gravare sulle mani. Cosi va gia' meglio ma si puo' migliorare. Sperimentando e pedalando, arrivo a savio, dove finisce lo sterrato, e mi inserisco nel casino di milano marittima per poi toccare il porto di cervia.
Foto di preammatica, bevutona dalla borraccia ormai calda e polverosa, e si ritorna.

A meta' dello sterrato, nel bel mezzo della pineta di classe sbaglio strada, e finisco in una ciclabile che mi porta prima all' omonimo paese e poi a ravenna centro.

Gli ultimi chilometri sono bestiali. Il sole e' a picco, il caldo e' umido e ho il vento contro. Bestemmiando interiormente come un vero ciclista, arrivo vicino al passaggio pedonale sotto casa. Devo fermarmi per far passare una macchina. Sono talmente sfatto che sgancio la scarpetta destra, poi rallento e... cerco di appoggiare il piede sinistro, ancora agganciato. Segue capitombolo spaziale, con tanto di attempata silfide che, scendendo dalla graziella d'annata, mi aiuta a rimettermi in piedi.

Cmq, ci siamo. 85 dovevano essere e 85 sono stati, anche se degli ultimi 10 - come sempre, qualunque sia la distanza - avrei fatto volentieri a meno.

Tirando le somme, del gravel mi piacciono i percorsi. L'idea di essere disperso in una delle zone piu' turistiche del mondo, nel periodo piu' turistico dell'anno, e non sentire altro rumore che gli uccellini, mi ha emozionato.
E tuttavia, il mio parere iconoclasta e' che alla bici da strada, per essere gravel compatibile, manca una forcella ammortizzata e delle gomme piu' ciccie delle mie attuali 38. Insomma: ci vuole una specie di frontino con la piega, senza la quale non si puo' stare.
Lo so che le riviste non sono daccordo, e magari esistono veramente bici rigide ma auto-ammortizzate. Pero' sembra improbabile. Forse il cubo dei redattori, rispetto al mio, e' meno sensibile.

In attesa di scoprire se il mio destino si chiama monstercross, domani o posdomani mi faccio il giro della laguna di comacchio, che a quanto leggo e' un percorso carino. Se passate di li, e vedete un tizio equivoco con completino bianco traforato lap dance style, sono me.

Nb: e siccome sono un tecno-ciclista della madonna, ciapatevi du' foto che, come diciamo da queste parti, hanno sempre il suo perche'.
 

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Archiviata l'estate, si torna - ogni anno con maggior fatica - al tran tran ordinario.

Durante l'ozio d'agosto, ho pensato molto alla - e praticato poco la - bicicletta, se si eccettuano due o tre gravellate piuttosto carine, e la
decina di chilometri di commuting casa-spiaggia che mi sparavo con cadenza giornaliera.
Tra i miei bici-pensieri, c'era quello di dare un upgrate alle mie uscite, e per farlo dovevo chiudere il conto con Loiano.

Come ben sapete, affezionati lettori (cit.), Loiano è un simpatico paesiello nei dintorni di Bologna, uno di quei posti di mezza montagna che, qualche anno fa, erano meta di pellegrinaggio domenicale. Ora che la mezza montagna è scomparsa dai radar vacanzieri, Loiano è noto come meta dei biciclettari, che possono scegliere di arrivarci per quattro vie principali (tralasciando le variazioni).
La prima, la più facile, dalla valle del Savena. Segui la fondovalle e, sali che ti sali, a un certo punto trovi il bivio. La strada è erta ma fattibile, 5 km e passa la paura.
La seconda in ordine di difficoltà è dalla val di Zena. Sali sali sali, e a un certo punto trovi Quinzano. Dopo Quinzano trovi un muretto, noto come il muro di scanello, che tira abbastanza e da li in poi vai via liscio.
La terza via, che si prende sempre dalla val di Zena, a me è sembrata la più bastarda di tutte perchè è noiosa. A un certo bivio volti a destra, fai qualche tornante e poi trovi una lunga salita, barbosissima, che tira abbastanza ma non troppissimo e non arriva da nessuna parte, salvo nei paesaggi di tal Barbarolo. Le volte che l'ho fatta mi e' sembrata lunga sempre.
La quarta è dalla valle dell'Idice. Anche qui, sali sali sali e finalmente, a San Benedetto del Querceto, volti a destra verso Quinzano.

Prima dell'estate, mi mancavano la prima e la quarta. Nelle ultime due settimane le ho fatte entrambe. La prima è stata senza storia, se si eccettua la barcata d'acqua che abbiamo preso per almeno 10 km su per la valle del Savena. La quinta l'ho fatta ieri, e l'ho trovata un pochino acidella.

Appuntamento alle 9 e 30 al cimitero dei polacchi a San Lazzaro. Si presenta alla spicciolata una comitiva variegata, composta da diversamente giovani tra i 52 e i 61, tra i quali:
- F1, che è un ex ciclista agonista vero;
- A, che è un veterano delle eroiche, particolarmente ferrato nella degustazione di vini ed affettati;
- L., che ha 55 anni ma ne dimostra 35 e va a correre tutti i giorni;
- F2, che faceva agonismo nell'atletica leggera ed è un istruttore di roccia;
- il sottoscritto, che non e' mai stato agonista di nulla ma in compenso e' noto per un'inquietante somiglianza col duo Filini/Fantozzi.

Tutti tonici (loro) e ben disposti (io) partiamo lenti, poi l'andatura si scalda. Si passeggia e si chiacchera, ma con quel filino di tiro che ti tiene sulla corda.
F1, poi, ha la singolare abitudine di affiancarsi per parlare, in una strada che la mattina di sabato è percorsa da auto, moto, camion, bilici, calessi e compagnia bella. Ci suonano tutti, ma F1 è imperturbabile, quindi abbozzo e faccio finta di niente. Tra l'altro, è chiaro che io mi impegno, ma lui sta solo passeggiando, e sente il bisogno di raccontarmi la sua vita, momento per momento. Essendo molto simpatico, lo ascolto di buon grado. Se parla lui io risparmio il fiato, perchè come stiamo andando non ne ho tanto da sprecare.

Arriviamo al bivio di San Benedetto e vedo il cartello che indica la strada per Quinzano. Mi volto e sulla destra c'è un'inquietante strada verticale che si perde nel verde. Quinzano e' da qualche parte lassu' in cima. Niente ascensore, tocca farla in bici.

"Estiquaxzi", esclamo dentro di me. Ci raccogliamo ai piedi della strada e guardiamo in alto. Tempesta di cervelli. E' palese che tutti - tranne F1, il quale ci notizia giulivo del fatto che lui la fa spessissimo - vorremmo avere una buona scusa per evitarla senza perdere la faccia, ma nun ja famo. Io, poi, non posso sottrarmi, il giro l'ho organizzato io e ho pure fatto il figo dando al popolo notizie sull'altimentria imparate 3 secondi prima su kamoot. E quindi vamos.

Inizio a salire, raccomandando a me stesso il rispetto della regola del 30. La "regola del 30" è il mio personalissimo contributo al mondo del ciclismo, e suona così. "il 30, su questa bici è il penultimo rapporto più leggero. Dopo c'è il 34 e dopo il 34 l'abisso. Se non superi il 30, alle brutte c'è sempre il 34. Se metti il 34, ti ritrovi senza paracadute. Il che è male".
E dunque salgo. il rispetto della "regola del 30" dura circa 100 metri, poi infilo diretto il 34, mi raccomando a San Gimondi, patrono dei ciclisti anzianotti, e spingo a bestia sui pedali.
Non so se avete presente come si restringe il mondo, quando fai una salita impegnativa. Sei concentrato sul respiro, e il tuo orizzonte arriva solo fino alla tua ruota anteriore. Davanti dietro e di fianco, potrebbe svolgersi un intero sabba di brasiliane, e non lo vedresti nemmeno. Mentre io sono in qiesto mondo parallelo, F1 mi cinguetta intorno distraendomi. Sale tranquillo con una mano, poi senza mano , poi senza una gamba, poi senza l'altra, poi fa le capriole senza sforzo sulla sella. Intanto canta il Barbiere di Siviglia, e prende pure tutti gli acuti.

E intanto, zio billy, io fatico. Quanto mi fa invidia, con quei polpacci che sembrano pistoni. Vorrei dirgli di andare a cantare altrove, che così è troppo umiliante. Faccio per aprire la bocca e mi ritrovo in una nube di moscerini volanti. Non so come mai, ma la strada, ora che siamo lontani dalle case, si è riempita a perdita d'occhio di moschini che occupano l'intera carreggiata. Ce li ho addosso e dietro gli occhiali. Mi entrano in bocca col respiro. Un po' li sputo, ma ne mangio anche parecchi. Alla fine non e' un male. le proteine mi danno forza e grazie a loro supero il punto più duro della salita. Entro quindi in paese e mi ritrovo al bar dei ciclisti di Quinzano, dove mi aspetta F1 che è arrivato ore prima e ha avuto il tempo di bersi caffè, ammazzacaffè e farsi la pennica.

Dopo di me, arriva ... il vuoto. Poi ancora nulla, poi arriva L.. Poi di nuovo il nulla, poi ancora niente, e quando iniziamo a farci delle domande arriva A., seguito da F2. A .è scusato d'ufficio, essendo noto che la sua religione gli impedisce di montare un qualsiasi rapporto sopra il 26, cosa che per uno di 1,80 almeno x 90/95 kg non è il massimo della comodita'. L'arrivo in coda di F2, che invece è noto come "il camoscio degli appennini", è una strana sorpresa. Solo la settimana prima era arrivato a Loiano in scioltezza, mentre io faticavo come il solito. Forse non è la sua giornata.

Sosta tattica alla fontana, poi si va a Loiano. Mancano 4 chilometri. Ci alterniamo a tener compagnia a F2, che sale soffrendo abbastanza ma non molla niente. Facciamo quelle tipiche cose che non andrebbero fatte, tipo rassicurarlo che "ancora 100 metri e spiana" quando è notorio che non spiana affatto, oppure che spiana per 20 metri e poi ricomincia a tirare. Io sono bravissimo in questo genere di cose. Mi vergogno a dirlo, ma sono una ballista nato. E persuasivo, anche. Per certi versi, ne ho fatto una professione.

Per non dovercI ascoltare a lungo, F2 accellera assumendo un curioso colorito melanzana. Un ghigno contorto gli storpia la bocca, e stringe le labbra ogni volta che pompa il pedale. Io lo marco stretto, affiancandolo a mezza ruota, temendo l'arrivo di imminente infarto. E invece, prima dell'infarto, arriva Loiano. F2 si accascia sulla panchina, stanco ma felice. Ha sofferto, e' salito piano ma non ha messo i piedi a terra, e questo e' tutto cio' che conta. Si mangia una barretta e si riprende subito, 2 minuti dopo e' pronto alla pugna. Ci facciamo un caffe' 10 minuti di chiacchere, foto di rito, e si discende. Scendiamo per la provinciale, garantendoci almeno 10 km di discesa appena asfaltata. Sotto le ruote il bitume liscio e' meraviglioso, e la pendenza costante fa si che nemmeno io - che sono notoriamente pauroso - tocchi mai i freni. Se poi le moto non scambiassero la strada per la pista del Mugello sarebbe meglio, ma non si può avere tutto.

Finalmente si arriva a Pianoro, poi a Bologna, poi a casa. Ne sono venuti fuori una novantina di km, con circa 900 metri di dislivello, e non sono nemmeno troppo massacrato. Tutto gasato, annuncio a mia moglie che Il prossimo obiettivo è il percorso medio della 10 colli dell'anno scorso. 81 km con 1500 + di dislivello. lo scopo, come il solito, non è fare un tempo, ma arrivare, possibilmente senza mettere il piede a terra. Mia moglie mi guarda con scetticismo e affetto insieme. Se sopravvivo, ve la racconto.
 
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Ivo

Biker paradisiacus
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Dopo tutta la fatica fatta per la salita ci si poteva ricompensare con qualche bella discesa in fuoristrada che a Loiano non mancano.
 

patbici

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Domenica mattina sono solo. Gli amici eroici sono all'Eroica, io per motivi di lavoro non sono potuto andare. E poi, per dire il vero, non ci tenevo tanto. L'esperienza l'ho fatta, la festa è bellissima ma io non sono un patito delle vecchie bici. Ci sarei andato, più che altro, per fare casino e gozzovigliare il sabato sera.

Avevo programmato un giro (per me) lungo, ma la sveglia suona invano. Sabato sera siamo andati da amici, ho bevuto due bicchieri di troppo, l'idea di stare in bici 4 o 5 ore mi provoca un rigurgito mentale. A letto si sta da dio.
Verso le 10, però, mi vengono i sensi di colpa. Se non esco oggi non esco più, un giretto ci starebbe comunque. Mentre mi rivolto tra le lenzuola, diviso tra la voglia di ponzare all-day e quella di uscire nel sole che filtra dalle tapparelle, mi appare la visione della salita di Settefonti.

Ciascuno ha le sue bestie nere, Settefonti è una delle mie.
Non è niente di trascendentale, per un ciclista vero. Prendi la valle dell'idice, arrivi a Mercatale, volti a sinistra e sali in cima alla collina. Quando sei sopra, c'è un punto in cui vedi l'intera pianura bolognese, da entrambi i lati del colle. A quel punto puoi scollinare e andare a prendere il caffè ad Imola. Tutto qui. Mi portò a farla un amico, con la MTB, 2 anni fa. Io ero ancora più acerbo di adesso e nonostante i rapporti da rampichino ne camminai buona parte. "Ecco" - mi dico - "posso provare a rifarla. Giro breve, episodio sfidante, epilogo veloce. Il top per il biciclettaro non troppo ciclista che sono".

Mi alzo, faccio colazione con la banda dei pargoli mi vesto da stupido, salgo in bici e parto. Le gambe protestano e si rifiutano di girare.
"Girate!" intimo loro.
"Non abbiamo voglia" rispondono sbadigliando.
"Girate, bestie!".
"Hai portato una barretta da mangiare, che ci piace e fa molto ciclista ?"
"No. Ho il solito pacchetto di cracker che sta nel borsello da 6 mesi ed ormai è tutto sbriciolato, se serve lo mangiamo".
"Che schifo ..." dicono le gambe. Poi si rassegnano e iniziano a pompare.

E come sempre, quando sono solo, la testa parte e io entro in un mondo parallelo in cui c'è poco pensiero e molte sensazioni. Quella preponderante, oggi, è la paura. E se non riesco ? E se alcune migliaia di km dopo (ed ore ed ore passate a pensare alla bici) scopro che sono sempre pippa uguale, e metto il piede a terra ? Non so a voi, ma a me ste cose capitano di continuo, in tutti i campi. L'unica soluzione è buttarsi avanti e provare a fare. Magari ci riesco. Non si sa mai.

Arriva Mercatale. Svolto a sinistra e imbocco la fatidica strada che curva bruscamente dietro alle case. E' già ripidina, penso snocciolando i rapporti. Più che altro, 'ste case non le ricordo affatto. Chissà se è la strada giusta.
Salgo, e tutto sommato è una roba tranquilla, di salite così ne ho già fatte diverse. Ricordo che c'era una curvona, con una villa, e poi iniziava a tirare. Arrivo alla curva, ma la villa non c'è e la salita resta invariata. Tutto orgoglione, penso che sono diventato talmente fico che 'sta pendenza me la mangio a colazione.

Prendo il tornante successivo ed ops, ecco la curva. E dietro la curva, la villa. E dopo la villa la strada diventa un drittone, che sale lungo il fianco della collina. E' una giornata calda, e non c'è un briciolo d'ombra. Un paio di centro metri più avanti ci sono due ragazzi in mtb che stanno salendo. Quello dietro mulina le gambe a mille, segno che ha messo i rapporti cortissimi.

"Annamo bene", penso. Qui bisogna risparmiare forze, quindi passo dritto al 34 dietro. Ora il cervello si è acceso, e ricordo perfettamente il punto in cui scoppiai, e il mio amico, impietosito e dotato di bici elettrica, mi trainò per un pezzetto. Però qualcosa in questi anni ho imparato: In particolare, ho capito che devi seguire la frequenza, non la velocità. Se segui la tua frequenza di pedalata, il fiato regge, e se il fiato regge, ce la puoi fare. E infatti, piano piano, salgo, attento a regimentare il respiro, lo sguardo teso ad evitare qualunque ostacolo - crepe, dossi, qualsiasi cosa - che possa darmi il benchè minimo aggravio di fatica.

Il pezzo tosto finisce, e io tiro il fiato. Tuttavia, ho un vago ricordo di un altro strappone, che infatti arriva dopo la curva. Ecco, è questo il punto difficile. Qui la strada non segue la collina, ma la scala con decisione. Credo che sia almeno un 15%, che per i miei mezzi fisici è ai confini della realtà. Anche qui c'è caldo e sole, e il verde sfolgorante delle piante a bordo strada mi dà quasi fastidio. "Ma chi me lo fa fare", mi dico, "che sport da idioti". Magari mi fermo, e prendo questa stradina a sinistra che porta ad un noto agriturismo. Sarei anche curioso. Una volta gli ho fatto causa per conto di un cliente, e ho pure vinto. Mi solletica l'idea di andare sotto mentite spoglie sul luogo del delitto.

Ci sto pensando seriamente, quando ricompaiono i ciclisti di prima. Ora sono decisamente più vicini, però, e fanno fatica come me.
O meglio: quello dietro fa visibilmente fatica; quello davanti pedala lentissimo, con aria tranquilla. Lo guardo meglio, è un elettrico. E' tranquillo perchè sta usando il motore. Qualcosa scatta, e non voglio essere da meno di loro. Affronto il muretto con determinazione, e quando capisco che a salire dritto faccio una fatica porca, mi metto a zigzagare.
Ci sono pro e contro, a zigzagare. Fai meno fatica, ma devi attaccare il cervello per scegliere il percorso ed evitare eventuali macchine. E' più impegnativo, e ti costringe a pensare in momenti in cui la mente normalmente si perde. In momenti in cui pensare, girar le gambe e respirare, tutto insieme, sembra un'attività sopra le tue forze.

Zigzagando affianco il rider muscolare. Lui è il me di qualche tempo fa, con l'amico elettrico che gli fa da chioccia. Suda a rivoli, si è tolto il casco nel tentativo di avere meno caldo. Non sapendo che può zigzagare, fa il doppio della fatica perchè si ostina a mulinare da matti un rapporto troppo leggero. Faccio loro un cenno di saluto ottenendone un sorriso tirato, e piano piano li supero, schivando una macchina che vorrebbe piallarmi contro il bordo della strada stretta.

E finalmente, quando sono proprio stanco, eccomi in cima. La strada fa un dosso, poi comincia la discesa. Ansimando, a gambe ferme , mi guardo il panorama. Ce l'ho fatta, ed è un altro piccolo tassello nella costruzione della forma che mi manca. Magari, nei prossimi 20 anni, se mi applico .....

P.S.: a casa, cazzeggiando sul telefono, vado a vedere l'altimetria della salita.
"Settefonti, come no!" mi dice un noto sito. "Pendenza massima 7%. 'Na passeggiata di salute".
Ma come, 7% ! Quasi morivo di fatica, ed era solo un 7% ?
Mentre sono in lutto con me stesso per essermi cullato in false speranze di futuro radioso, mi cade l'occhio sul link successivo. Ci sono almeno due salite di Settefonti, in italia. Una è in toscana, dalle parti di Prato. La mia è l'altra, e la pendenza massima supera il 15%.
Faccio un sospiro di sollievo. Sono sempre una mezzasega, ma l'onore, almeno, è salvo.
 
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sirc57

molti mi stanno antipatici , alcuni molto di piu
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terra di mezzo libera del cavolo che mi pare
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graziella anno 2023
hai mai pensato di fare il Romanziere? ne avresti le qualita '. altro che i vari scrittorucoli che abbiamo
 

ammericano

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patbici

Biker serius
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Lo so, lo so, 3 post in 3 settimane sono troppi.
Ma non e' colpa mia. Io scrivo quando qualcosa mi colpisce e sento il bisogno di metabolizzarlo scrivendo. E non sai quando succede, non lo puoi prevedere. Magari, prima del prossimo messaggio passeranno due mesi, chissa'. Speriamo di no, pero'. A me la bici ad encefalo piatto piu' di tanto non piace.

C'e' un passo, tra Bologna e Firenze, che ogni motociclista conosce. Il passo della Raticosa e' uno standard per chi ama i tornanti. Sul passo, la domenica, ci sono decine di moto che si aspettano, chiaccherano, cazzeggiano.
A me, però, i motori non sono mai piaciuti. Non e' un fatto ecologico. I motori puzzano, fanno rumore, richiedono manutenzione costante. lo non sono bravo in queste cose. E' gia' tanto che pulisca sistematicamente la catena della bici.

La mia domenica in bici è cominciata con un pacco involontario.
Avevo dato appuntamento ad un amico alle 8 e mezza. Alle sette suona la sveglia. La spengo, mi dico "ancora 5 minuti", mi giro e ... vengo risvegliato un'ora dopo da un incacchiato P., che mi sta aspettando e me ne dice quattro. Mi scuso, ma ormai e' fatta, lui parte per il suo giro. Oggi andrò da solo.

Mi vesto assonnato. Fuori si annuncia il sole, ma ci sono 10 gradi scarsi. Maglia lunga o corta ? Finidco per scegliere la corta, ma metto la lunga nella tasca sulla schiena. Solo che a quel punto non ci sta l'antipioggia. E quindi ? Riguardo fuori: rischio di pioggia non ce n'e'. Fan**lo l'antipioggia.

Parto. Gambe rigide, mani congelate. Mentre mi dico che scaldera', stento a trovare il ritmo. Oggi non gira niente. Mamma che freddo. Che sport di me**a.
L'idea e' quella di fare la Raticosa dalla parte piu' facile, e quindi: su per la val di Zena, Quinzano, Loiano, poi Monghidoro e infine il Passo.
Appena imbocco la valle, ho un colpo di fortuna. Davanti a me pedala un tizio, targato Castelli-Wear che va proprio costante, al mio ritmo. Mi infilo dietro, non proprio attaccato che alcuni si seccano, e mi faccio trainare. Copio cadenza, rapporto, tutto. Sono ufficialmente un ciuccia ruote, una piattola, uno sfruttatore di cadenze altrui. Grazie al cielo il tipo manco mi vede, la mia catena pulita di fresco e' supersilenziosa.
Dalle mie spalle, invece, arriva un gran casino. C'e' un tipo in mtb, visibilmente in forma, il cui cambio sferraglia da matti. E' un signore di mezza eta' con una giacchetta pinarello che probabilmente costa come la mia Bdc Bianchi. Con tutto il suo sferragliare, tiene un buon ritmo, anche se sta troppo vicino.

Pinarello mi studia. Lui e' magro, io sembro fantozzi. E' chiaro che il mio punto debole sono le salite. Non appena Castelli-Wear ci molla per svoltare a destra, verso pianoro, Pinarello attacca e mi supera nella curva in salita, e inizia ad allungare. Gli guardo i polpacci, sono abbronzati e definitissimi, segno che non è un ciclista estemporaneo. Allungo anche io, chiudendo la distanza e superandolo al primo rettilineo. Proseguiamo così per un poco. Lui mi tromba in salita, io lo ripasso sul piano. Questo gioco stupido mi fa passare qualche chilometro senza sentire il freddo, anzi: ora le gambe sono calde, forse posso provare ad allungare. Approfittando di una discesina lo passo, poi mi volto e lui è magicamente scomparso. Forse ha svoltato, forse si è fermato, forse gli è suonato il telefono, chi può dirlo. proseguo da solo.

Al bivio per Quinzano, incontro un altro tizio targato Castelli. Mentre saliamo, mi metto ad osservare l'abbigliamento degli altri. Sono di gran lunga il meno trendy, Mi attacco a Castelli, oggi - evidentemente - ho bisogno di affetto. Lui non gradisce, allora lo passo. Ma non gradisce nemmeno questo, e mi ripassa lui. Il punto è che siamo pippe pari, nessuno dei due vuole mollare e nessuno dei due è in grado di lasciare dietro l'altro.

E intanto si sale, e io ho freddo. Mentre pedalo mi infilo i guanti, e per fortuna che stamattina, non trovando quelli leggeri, ho preso i pesanti. Le mie mani sono un'isola di tepore in un mondo gelido. Vorrei fermarmi a mettere la maglia lunga, ma rimarrei indietro a Castelli, e non mi va. Lo so, è stupido e me lo dico da solo, ma oggi va così.

A Quinzano ci fermiamo entrambi la bar dei cliclisti, per un caffè. Fortuna che nel piazzale c'è sole. Mamma che freddo che ho. Mi infilo la maglia lunga. Sembra un poco meglio. Prendo per Loiano, che è la parte dura del giro. Finisco il muretto di Scanello, e finalmente sono in alto, in cresta. Il sole splende ma non scalda, il vento invece è gelido e mi fa rabbrividire. mamma che freddo. Anche i piedi sono congelati. Fortuna che ho i guanti.

Mentre un'unico bestemmione interiore accompagna i chilometri tra Scanello e Loiano, ho un'epifania mentale. E' domenica. A Loiano è il giorno di mercato. Vado, compero una felpa cinese "due eulo", e sono a posto. Ci saranno felpe cinesi a Loiano, spero.

Arrivo, e mi infilo tra le bancherelle. le felpe "2 eulo" non le trovo, in compenso per 11 (undici) sanguinosissimi euro trovo un k-way per montanari. Tessuto spesso antistrappo, bello largo per infilarci sotto lo zaino, tessuto grosso. Chiudo la zip e inizio subito a sudare. Ma ah, che goduria, niente più vento gelido. Lo tolgo, lo infilo in tasca, e metto la maglia corta sopra quella lunga. Ho ancora da salire un poco, tuttavia è buffo. Prima, senza k-way, il freddo era insopportabile. Ora che ho il k-way in tasca, ho freddo ma ne posso fare a meno.

Sarà anche la strada. Da Loiano a Monghidoro la salita è dolce e il panorama meraviglioso. C'è poco traffico. Salgo tranquillo, regimentato dal ritmo del respiro. Il sole non scalda, ma riempie le valli di una definizione da cartolina. Vedo lontano, e mentre pedalo studio i paesi. Quello, forse è Monzuno. mi pare di vedere i tornanti su cui sono salito a settembre, al ritorno delle vacanze.

Arriva il cartello Monghidoro. Negli ultimi chilometri il vento è cambiato. Quello che mi intirizzisce, ora, non è la tipica brezza montana, ma il vento di risucchio di una brutta perturba tutta nera che continua ad avvicinarsi. Sono indeciso se proseguire o tornare. Ha paura che se si mette a piovere, si abbasserà la temperatura. Già così ho molto freddo, e siamo a 900 metri di altitudine. Inoltre, la strada per scendere non la conosco. Se dovessi trovarmi a fare dei tornanti congelato, finirei per farmi male.

Decido di rinunciare alla Raticosa e di tornare per la fondovalle Savena. Da qui alla fondovalle ci sono 12 chilometri che non ho mai fatto. La strada dovrebbe essere abbastanza dolce. Farò quella. Mentre mi intabarro infilandomi pure la bandana sotto il casco, si ferma una vecchietta, con la borsa della spesa. Ha il giaccone invernale, e l'aria sana di chi vive in mezza montagna e la salita a piedi se la magna a colazione. La saluto, mi saluta. Mi chiede da dove vengo. Bologna, dico. lei ci pensa su, e poi mi dice qualcosa tipo "ad Bulagna 'n biziclatta ? T'ai voglia, ragazzu. S'le fredd, oggi ...". Sono daccordo con lei e mi piacerebbe trainarla in un cespuglio, ucciderla e rubarle il giaccone trapuntato. Pregusto l'ondata di caldo che ne seguirebbe. Peccato che sia piccolo. E poi dovrei pugnalarla con la pompa da due lire di decathlon. Mi mancano gli attrezzi. Rinuncio.

Prendo la discesa, che si rivela bellissima. E' dolce, asfaltata bene e incredibilmente deserta. Sono una dozzina di chilomentri di pura goduria per quelli che - come me - sono dei ca**sotto e tendono a tirare troppo i freni. Mentre la faccio, sono sempre sul chi vive, sai mai che la prossima curva sia bastarda. Ma curve bastarde non ce ne sono, e prima che me ne renda conto sono sulla fondovalle, che conosco bene.

Qui è più caldo, se non fosse per il vento si starebbe benino. Ho ancora fiato per pestare sui pedali, e conto all'indietro. Ecco, da qui mancano 30 chilometri. Da qui 20. E qui dai, sono quasi a casa. 10, 5. Ci sono. il GPS dice 105 km con 970 metri di dislivello. Se lo sapevo prima, facevo 10 volte la rampa dei garage per fare cifra tonda.

Scendo dalla bici congelato, a gambe rigide. Come sempre, per me, gli ultimi 20 chilometri vanno in modalità "sopravvivenza". Suono e salgo in casa (con l'ascensore). Appena entro, profumo di carbonara. Sono stato in bici quasi 5 ore e sono le due di pomeriggio, ma mi hanno aspettato per mangiare. Mi strappo i vestiti di dosso e nudo come un verme infilo un vestaglione di pile modello "polo nord". Mi gusto l'uovo ed il guanciale fumante.

Ciascuno ha la sua idea di paradiso. La mia, oggi, è questa.
 
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