LE CIABATTE DI GINO
Laccordo è questo: io parto presto, verso le 8 da casa, Perugia, così massimo per le 13,30 sono a Firenze, dove Adriana mi aspetta per ridarmi le chiavi della macchina che è parcheggiata sotto casa sua. Centoquaranta chilometri, anche centocinquanta perché ho in mente di allungare un po per fare salita, scalare il Pratomagno, sin quota mille sulle sorgenti dellArno, in cinque ore dovrei farcela. Non voglio arrivare tardi perché Adriana dopo pranzo magari si concede un po di riposo e poi fuori è molto caldo, se salgo di quota, se parto presto, se mi sbrigo non mi sciolgo sotto il sole.
Alle 8 laria è frizzantina, la bici scorre via che è un piacere, lungo la strada ad Arezzo mi viene incontro il Benna (Daniele Bennati) con il tendine dolorante: «tu sei un matto a tornare di nuovo su a Firenze in bici dopo i duecento chilometri già fatti ieri» mi fa. «O magari sei un grande
e Bartali ti merita».
Mi lascia, lui deve tornare indietro, non ce la fa a pedalare per il dolore, ma mi accompagna lungo il viaggio con due-tre chiamate al telefono per sapere a che punto sono arrivato.
Superato Arezzo svolto sulla sinistra verso il Valdarno e poi su a destra dalla Sette Ponti sul valico della Crocina. Salgo bene, 23 orari su una pendenza del 6 per cento, alcuni tratti da seduto altri in piedi quando zic(!), si schianta uno dei pochi raggi della ruota anteriore.
La bici frena, si ferma. Non passa una macchina da almeno mezzora, il primo centro abitato è giù in basso ad almeno 20 chilometri, la bici con una ruota così non si sposta di un metro.
E ora come si fa?
Si fa come facevano quelli di una volta: si piega il raggio girandolo intorno a quello accanto, si aprono i pattini dei
freni, si sgonfia un po la ruota e pian piano si prova a ripartire.
Ma intanto chiamo casa Bartali per avvertire dellinavvertito ritardo, mi aspetto la risposta allaltro capo del telefono della giovane governante. «Pronto casa Bartali» la risposta è squillante, ma la voce è quella di Adriana.
«Ma sei caduto, ti sei fatto male?»
No Adriana non si preoccupi, nulla di questo, è che però la disturberò un po più tardi.
«Non ti preoccupare, fai piano, non cascare, io ti aspetto a qualsiasi ora arrivi».
Lungo la strada trovo la solidarietà del mio meccanico Alessio che abita a Pontassieve e mi raggiunge con una «ròta bona», ottima per proseguire il mio viaggio che prosegue scendendo sul Valdarno per poi scalare il San Donato in Poggio come ultima asperità, prima di planare su Bagno a Ripoli e finalmente Firenze, piazza Elia dalla Costa, casa Bartali insomma, che raggiungo alle 15,15 di giovedì 19 giugno.
E un caldo impressionante, 35 gradi allombra, quando suono al campanello del civico 7 di piazza Card. Elia dalla Costa quasi mi vergogno di entrare nellandrone così sudato, sporco di sali, capelli scomposti.
E sempre Adriana che mi risponde, squillante e sorridente: «sali Paolino, ti aspettavo».
Lascio la bici appoggiata al muro del cortile, sotto un quadro bellissimo con un Gino grintoso in maglia gialla.
Mi sembra già un sacrilegio aver fatto entrare una bici dei nostri giorni, per quanto bella, leggera e in carbonio, in quella casa, ove bici ben più forti erano solite entrare.
Sì, quella di Piazza Elia dalla Costa è la casa dove Gino Bartali ha passato le ultime ore della sua vita, ma non solo. Quando Gino si allenava per vincere al Tour del 1948 rientrava a casa proprio lì. Il trofeo di quella vittoria lha fatto passare per quella porta, la sua Legnano lappoggiava su quel cortile. E così era successo, rientrando da ogni allenamento, dal 1940 in poi.
Insomma la casa di due Sanremo vinte, del Giro 1946, di qualche Giro di Lombardia, dei Giri di Svizzera, dei Campionati Italiani.
E poi la casa della serena e attivissima anzianità.
Ma non è finita lì.
Salgo le scale dei due piani che mi separano dal portone di Gino col passo incerto e rumoroso a cui le scarpette da ciclista, oggi così rigide e leggere, ti costringono.
Adriana ha già aperto il portone, ha gli occhi illuminati, non mi lascia entrare che mi abbraccia, tutto sudato e puzzoso come sono.
«Ma Adriana, sono sudato
»
«E per questo che ti bacio» la sua risposta semplice ma allo stesso tempo potente.
«Senti continua lei vuoi fare un bagno caldo che così ti ristori un po? A Gino lo preparavo sempre. Poi mentre tu ti lavi io ti apparecchio e mangi un po. Va bene?».
Nulla di questo era previsto, rimango silenzioso un secondo, non riesco a ricordare quante cose mi stiano passando per la testa, ricordo solo il brivido profondo che mi scuote.
«Sì Adriana, non ti dico di no perché ne avrei proprio bisogno»
Lei è già operativa, con asciugamano, un bicchiere dacqua fresca da bere e poi facendomi sedere mi dice: «prendi, queste sono ciabattine da camera che ti fanno comodo, Gino le usava sempre».
Ho timore reverenziale, ho fretta di togliermi gli scarpini da ciclista che ho i piedi in bollore, ma ho quasi paura ad infilare i miei piedi su quelle ciabatte. Fuori moda, scure, usate, con la forma di un piede diverso dal mio, molto più piccolo. Ma fantastiche
Entro in bagno che lacqua già scorre dentro la vasca con il tappo chiuso, lasciugamano per me è già stato messo al suo posto, trovo in bagno anche lo zainetto che avevo lasciato da Adriana con abiti civili, le chiavi dellauto e le
scarpe per far ritorno a casa, svestito dei panni del ciclista.
Così mi spoglio, mi adagio piano piano dentro quella vasca ampia, smaltata di bianco, con rubinetteria stile anni cinquanta, e quando mi distendo dentro vedo anche quanto sia alto il soffitto in quelle case di un certo tempo.
Mi rimane impresso tutto: le mattonelle verdine e piccolissime, come quelle delle piscine di venti e passa anni fa, che tappezzano le pareti del bagno.
Gli accessori della toilette sono quelli di allora, ma tutti rimessi a nuovo, curati, con dignità e pulizia, con signorilità.
Lacqua calda che man mano sale rilassa le mie membra totalmente, ci sono a bordo vasca dei Sali da bagno già usati, ne verso un pugno nella vasca che ora schiuma e profuma, socchiudo gli occhi e penso.
Mi sembra di sognare, faccio fatica a capacitarmi di essere dentro la vasca da bagno del vincitore del Tour del 48, a distanza di sessantanni precisi sto facendo il bagno nella sua stessa vasca. Ho indossato le sue ciabatte, e lo rifarò di nuovo, la sua donna mi ha passato i suoi asciugamani, mi ha prestato le stesse attenzioni amorevoli di un dopo-allenamento faticoso, con lo stesso rispetto per la fatica, per la passione, con silenzio e partecipazione.
Mi sento in uno stato di pace confusa, dentro lacqua tiepida che mi abbraccia riapro gli occhi e li sollevo verso lalto, vedo Gino Bartali che mi sorride, sembra mi ringrazi, non so di cosa, comunque non brontola stavolta, semmai mi accarezza.
Posso dire che mi commuovo
Adriana mi ha indicato prima di entrare in bagno il mobiletto dove posso trovare i cotton-fiock per le orecchie e appena finito di asciugarmi con il morbido accappatoio lo apro. Contiene le medicine di casa Bartali: una confezione di Magnesia, una scatola di Aspirine, una di cerotti, del cotone e unampolla di alcool. Tutto qui.
E passata circa mezzora da quando sono entrato in bagno, nel frattempo nessuno mi ha disturbato e torno in sala da pranzo dove sento arrivare rumori di unAdriana indaffarata.
Sono le quattro del pomeriggio, fuori dalle finestre socchiuse di casa Bartali è un caldo bestiale, dentro si sta bene in penombra e col fresco. E poi soprattutto ora sono io che mi sento rinato e rinfrescato dopo un bagno così speciale. La tavola rotonda è apparecchiata con un solo piatto, ci sono due bottiglie dacqua, entrambe a temperatura ambiente, una di vetro con vino rosso colorito, che ridà sul nero: Chianti Classico riporta letichetta. «Gino ne beveva sempre un gocciolino a pranzo e a cena». Adriana interrompe la mia osservazione trasecolata.
«Ti ho preparato quello che facevo a lui: io me ne intendo di corridori affamati, che credi
»
Una tonda di macedonia di banane, pesche e acqua zuccherata. Poi un piattino di prugne cotte, due fette di pane «e ci sarebbe, ti ho preparato stamani anche un bel minestrone di verdure, ma so che i corridori di oggi ne fanno spesso a meno, poi magari con questo caldo non ti fa nemmeno tanto gola».
Io mangio in silenzio, non ci sono parole da aggiungere, Adriana non fa domande e come per non disturbarmi torna di là ad armeggiare in cucina.
Così mi ritrovo di nuovo solo, sorseggio del buon Chianti robusto e rifletto.
Rifletto prima di tutto sulla fortuna che stavolta mè toccata: tutto mi sembra incredibile.
Ripenso poi agli occhi con cui Adriana mi ha seguita da quando sono entrato in casa sua: forse anche per lei oggi, ricevere di nuovo un corridore affaticato in casa sua, è stata una giornata speciale.
Rifletto su quanto è stato tutto perfetto perché semplice, essenziale, amorevole.
Essere accolto con un sorriso dolce. Ricevere il benvenuto con linvito ad un bagno caldo, quando nella vasca già scorreva acqua tiepida. Silenzio e quiete tutto intorno, poi il pasto leggero ma da corridore. Un goccio di vino rosso «che dà forza e mette sangue», poche domande, molta partecipazione.
Rifletto su quellarmadietto di medicinali così vuoto, perché così dovrebbessere in casa di persone sane.
Rifletto e forse immagino la semplicità di quel ciclismo, quello di Bartali che litigava con Coppi, ma solo sulla strada, «perché nella realtà Fausto da noi passava per pranzo fermandosi con lauto quando era in giro per commissioni dalle nostre parti».
Devo ripartire, dentro mi duole ma debbo farlo, mi sembra di aver arrecato anche troppo disturbo, anche se Adriana continua a seguirmi con quel suo sguardo gentile e amoroso che tanto mi mette a mio agio.
Unultima cortesia chiedo ad Adriana, di potermi trattenere un minuto nella cappellina di casa Bartali, per parlare con Gino e la sua Madonnina del Carmelo, ringraziarlo dellinvito e del trattamento.
Ora posso ripartire in auto alla volta di Perugia. Più fresco, più carico di energie, più fortunato.
Più innamorato di quel ciclismo, cotto di Gino Bartali.
Paolo Alberati
L'ho letto dal Blog dell'ex prof Stefano Boggia ora passato alla mtb , nonchè quotato crossista Italiano.