• Clicca qui per iscriverti al canale Whatsapp di MTB Mag per rimanere aggiornato a tutto quello che succede nel mondo della mountain bike!

Gino Bartali - mille diavoli in corpo – di Paolo Alberati

babolat

Biker ciceronis
29/7/06
1.424
0
0
CORCIANO
Visita sito



Leggo soltanto in questo momento il tuo invito. Mi dispiace davvero molto perchè pare che non sia proprio destinato a prendere parte ad almeno una di queste iniziative..........ribadisco che sono dispiaciuto per aver letto solo ora il tuo messaggio ma, negli ultimi mesi, ho avuto qualche piccolo problemino di salute (per grazia di Dio risolto) ed ho dovuto sottopormi ad un intervento chirurgico. Spero che in futuro ci possano essere ulteriori incontri e che tu abbia ancora voglia e pazienza di farmelo sapere, ciao!!!
 

laveladileo

Biker dantescus
12/4/06
4.735
3
0
58
Roma
Visita sito
Quest’estate sono passato per Briançon e sulla porta d’ingresso della città (storica) c’era una bellissima targa commemorativa in onore del grande Gino Bartali. Ricordava il mitico ciclista italiano che aveva vinto diverse tappe che arrivavano a Briançon.

Devo dire la verità che la cosa mi ha colpito, all’entrata della città una targa in onore di un atleta straniero, che aveva onorato tantissimi anni prima la città con le sue vittorie (magari a discapito di atleti transalpini).

Bartali, un eroe Soprannazionale.

P.s. Paolo perchè non fai tradurre il tuo bellissimo libro in francese??
 

alberati.paz

Biker serius

Me l'hanno chiesto Leo, dal giornale sportivo l'Equipe di Parigi.
Sicuramente lo faremo, non so quando perché ultimamente ho avuto un sacco di impegni e ho perso un po' di vista la cosa, ma anche come Fondazione Bartali mi è stato chiesto di spingere in tal senso.
GRAZIE del suggerimento, lo faremo soprattutto perché in Francia "BARTALI' " riscuote ancora tanto rispetto.
La targa che tu hai notato a Briançon l'avevo vista anch'io e mi ha dato il tuo stesso brivido vederla...
Recentemente ci siamo dati da fare per metterne una anche nella stazione di Terontola. Tu che hai letto il libro sai perché proprio lì.
Leggi un po' qui: http://www.gazzetta.it/Ciclismo/Primo_Piano/2008/06_Giugno/18/fondriest_1806.shtml


Un abbraccio
 

laveladileo

Biker dantescus
12/4/06
4.735
3
0
58
Roma
Visita sito



Adesso ho capito cosa aveva di importante da fare, doveva scrivere il libro di un altro atleta, un altra pietra miliare di questo sport....... vediamo se indovinate chi è quest' altro atleta!!!!!!!!
 

chicco82

Biker extra
LE CIABATTE DI GINO

L’accordo è questo: io parto presto, verso le 8 da casa, Perugia, così massimo per le 13,30 sono a Firenze, dove Adriana mi aspetta per ridarmi le chiavi della macchina che è parcheggiata sotto casa sua. Centoquaranta chilometri, anche centocinquanta perché ho in mente di allungare un po’ per fare salita, scalare il Pratomagno, sin quota mille sulle sorgenti dell’Arno, in cinque ore dovrei farcela. Non voglio arrivare tardi perché Adriana dopo pranzo magari si concede un po’ di riposo e poi fuori è molto caldo, se salgo di quota, se parto presto, se mi sbrigo non mi sciolgo sotto il sole.
Alle 8 l’aria è frizzantina, la bici scorre via che è un piacere, lungo la strada ad Arezzo mi viene incontro il Benna (Daniele Bennati) con il tendine dolorante: «tu sei un matto a tornare di nuovo su a Firenze in bici dopo i duecento chilometri già fatti ieri» mi fa. «O magari sei un grande… e Bartali ti merita».
Mi lascia, lui deve tornare indietro, non ce la fa a pedalare per il dolore, ma mi accompagna lungo il viaggio con due-tre chiamate al telefono per sapere a che punto sono arrivato.

Superato Arezzo svolto sulla sinistra verso il Valdarno e poi su a destra dalla Sette Ponti sul valico della Crocina. Salgo bene, 23 orari su una pendenza del 6 per cento, alcuni tratti da seduto altri in piedi quando zic(!), si schianta uno dei pochi raggi della ruota anteriore.
La bici frena, si ferma. Non passa una macchina da almeno mezz’ora, il primo centro abitato è giù in basso ad almeno 20 chilometri, la bici con una ruota così non si sposta di un metro.
E ora come si fa?
Si fa come facevano quelli di una volta: si piega il raggio girandolo intorno a quello accanto, si aprono i pattini dei freni, si sgonfia un po’ la ruota e pian piano si prova a ripartire.
Ma intanto chiamo casa Bartali per avvertire dell’inavvertito ritardo, mi aspetto la risposta all’altro capo del telefono della giovane governante. «Pronto casa Bartali» la risposta è squillante, ma la voce è quella di Adriana.
«Ma sei caduto, ti sei fatto male?»
No Adriana non si preoccupi, nulla di questo, è che però la disturberò un po’ più tardi.
«Non ti preoccupare, fai piano, non cascare, io ti aspetto a qualsiasi ora arrivi».

Lungo la strada trovo la solidarietà del mio meccanico Alessio che abita a Pontassieve e mi raggiunge con una «ròta bona», ottima per proseguire il mio viaggio che prosegue scendendo sul Valdarno per poi scalare il San Donato in Poggio come ultima asperità, prima di planare su Bagno a Ripoli e finalmente Firenze, piazza Elia dalla Costa, casa Bartali insomma, che raggiungo alle 15,15 di giovedì 19 giugno.

E’ un caldo impressionante, 35 gradi all’ombra, quando suono al campanello del civico 7 di piazza Card. Elia dalla Costa quasi mi vergogno di entrare nell’androne così sudato, sporco di sali, capelli scomposti.
E’ sempre Adriana che mi risponde, squillante e sorridente: «sali Paolino, ti aspettavo».
Lascio la bici appoggiata al muro del cortile, sotto un quadro bellissimo con un Gino grintoso in maglia gialla.
Mi sembra già un sacrilegio aver fatto entrare una bici dei nostri giorni, per quanto bella, leggera e in carbonio, in quella casa, ove bici ben più “forti” erano solite entrare.
Sì, quella di Piazza Elia dalla Costa è la casa dove Gino Bartali ha passato le ultime ore della sua vita, ma non solo. Quando Gino si allenava per vincere al Tour del 1948 rientrava a casa proprio lì. Il trofeo di quella vittoria l’ha fatto passare per quella porta, la sua Legnano l’appoggiava su quel cortile. E così era successo, rientrando da ogni allenamento, dal 1940 in poi.
Insomma la casa di due Sanremo vinte, del Giro 1946, di qualche Giro di Lombardia, dei Giri di Svizzera, dei Campionati Italiani.
E poi la casa della serena e attivissima anzianità.
Ma non è finita lì.

Salgo le scale dei due piani che mi separano dal portone di Gino col passo incerto e rumoroso a cui le scarpette da ciclista, oggi così rigide e leggere, ti costringono.
Adriana ha già aperto il portone, ha gli occhi illuminati, non mi lascia entrare che mi abbraccia, tutto sudato e puzzoso come sono.
«Ma Adriana, sono sudato…»
«E’ per questo che ti bacio» la sua risposta semplice ma allo stesso tempo potente.
«Senti – continua lei – vuoi fare un bagno caldo che così ti ristori un po’? A Gino lo preparavo sempre. Poi mentre tu ti lavi io ti apparecchio e mangi un po’. Va bene?».

Nulla di questo era previsto, rimango silenzioso un secondo, non riesco a ricordare quante cose mi stiano passando per la testa, ricordo solo il brivido profondo che mi scuote.
«Sì Adriana, non ti dico di no perché ne avrei proprio bisogno»
Lei è già operativa, con asciugamano, un bicchiere d’acqua fresca da bere e poi facendomi sedere mi dice: «prendi, queste sono ciabattine da camera che ti fanno comodo, Gino le usava sempre».

Ho timore reverenziale, ho fretta di togliermi gli scarpini da ciclista che ho i piedi in bollore, ma ho quasi paura ad infilare i miei piedi su quelle ciabatte. Fuori moda, scure, usate, con la forma di un piede diverso dal mio, molto più piccolo. Ma fantastiche…

Entro in bagno che l’acqua già scorre dentro la vasca con il tappo chiuso, l’asciugamano per me è già stato messo al suo posto, trovo in bagno anche lo zainetto che avevo lasciato da Adriana con abiti civili, le chiavi dell’auto e le scarpe per far ritorno a casa, svestito dei panni del ciclista.
Così mi spoglio, mi adagio piano piano dentro quella vasca ampia, smaltata di bianco, con rubinetteria stile anni cinquanta, e quando mi distendo dentro vedo anche quanto sia alto il soffitto in quelle case di un certo tempo.
Mi rimane impresso tutto: le mattonelle verdine e piccolissime, come quelle delle piscine di venti e passa anni fa, che tappezzano le pareti del bagno.
Gli accessori della toilette sono quelli di allora, ma tutti rimessi a nuovo, curati, con dignità e pulizia, con signorilità.
L’acqua calda che man mano sale rilassa le mie membra totalmente, ci sono a bordo vasca dei Sali da bagno già usati, ne verso un pugno nella vasca che ora schiuma e profuma, socchiudo gli occhi e penso.
Mi sembra di sognare, faccio fatica a capacitarmi di essere dentro la vasca da bagno del vincitore del Tour del ’48, a distanza di sessant’anni precisi sto facendo il bagno nella sua stessa vasca. Ho indossato le sue ciabatte, e lo rifarò di nuovo, la sua donna mi ha passato i suoi asciugamani, mi ha prestato le stesse attenzioni amorevoli di un dopo-allenamento faticoso, con lo stesso rispetto per la fatica, per la passione, con silenzio e partecipazione.
Mi sento in uno stato di pace confusa, dentro l’acqua tiepida che mi abbraccia riapro gli occhi e li sollevo verso l’alto, “vedo” Gino Bartali che mi sorride, sembra mi ringrazi, non so di cosa, comunque non brontola stavolta, semmai mi accarezza.
Posso dire che mi commuovo…

Adriana mi ha indicato prima di entrare in bagno il mobiletto dove posso trovare i cotton-fiock per le orecchie e appena finito di asciugarmi con il morbido accappatoio lo apro. Contiene le medicine di casa Bartali: una confezione di Magnesia, una scatola di Aspirine, una di cerotti, del cotone e un’ampolla di alcool. Tutto qui.

E’ passata circa mezz’ora da quando sono entrato in bagno, nel frattempo nessuno mi ha disturbato e torno in sala da pranzo dove sento arrivare rumori di un’Adriana indaffarata.
Sono le quattro del pomeriggio, fuori dalle finestre socchiuse di casa Bartali è un caldo bestiale, dentro si sta bene in penombra e col fresco. E poi soprattutto ora sono io che mi sento rinato e rinfrescato dopo un bagno così speciale. La tavola rotonda è apparecchiata con un solo piatto, ci sono due bottiglie d’acqua, entrambe a temperatura ambiente, una di vetro con vino rosso colorito, che ridà sul nero: “Chianti Classico” riporta l’etichetta. «Gino ne beveva sempre un gocciolino a pranzo e a cena». Adriana interrompe la mia osservazione trasecolata.
«Ti ho preparato quello che facevo a lui: io me ne intendo di corridori affamati, che credi…»
Una tonda di macedonia di banane, pesche e acqua zuccherata. Poi un piattino di prugne cotte, due fette di pane «e ci sarebbe, ti ho preparato stamani anche un bel minestrone di verdure, ma so che i corridori di oggi ne fanno spesso a meno, poi magari con questo caldo non ti fa nemmeno tanto gola».
Io mangio in silenzio, non ci sono parole da aggiungere, Adriana non fa domande e come per non disturbarmi torna di là ad armeggiare in cucina.
Così mi ritrovo di nuovo solo, sorseggio del buon Chianti robusto e rifletto.

Rifletto prima di tutto sulla fortuna che stavolta m’è toccata: tutto mi sembra incredibile.
Ripenso poi agli occhi con cui Adriana mi ha seguita da quando sono entrato in casa sua: forse anche per lei oggi, ricevere di nuovo un corridore affaticato in casa sua, è stata una giornata speciale.
Rifletto su quanto è stato tutto perfetto perché semplice, essenziale, amorevole.
Essere accolto con un sorriso dolce. Ricevere il benvenuto con l’invito ad un bagno caldo, quando nella vasca già scorreva acqua tiepida. Silenzio e quiete tutto intorno, poi il pasto leggero ma da corridore. Un goccio di vino rosso «che dà forza e mette sangue», poche domande, molta partecipazione.
Rifletto su quell’armadietto di medicinali così vuoto, perché così dovrebb’essere in casa di persone sane.
Rifletto e forse immagino la semplicità di quel ciclismo, quello di Bartali che “litigava” con Coppi, ma solo sulla strada, «perché nella realtà Fausto da noi passava per pranzo fermandosi con l’auto quando era in giro per commissioni dalle nostre parti».

Devo ripartire, dentro mi duole ma debbo farlo, mi sembra di aver arrecato anche troppo disturbo, anche se Adriana continua a seguirmi con quel suo sguardo gentile e amoroso che tanto mi mette a mio agio.
Un’ultima cortesia chiedo ad Adriana, di potermi trattenere un minuto nella cappellina di casa Bartali, per parlare con Gino e la sua Madonnina del Carmelo, ringraziarlo dell’invito e del trattamento.
Ora posso ripartire in auto alla volta di Perugia. Più fresco, più carico di energie, più fortunato.
Più innamorato di quel ciclismo, cotto di Gino Bartali.

Paolo Alberati

L'ho letto dal Blog dell'ex prof Stefano Boggia ora passato alla mtb , nonchè quotato crossista Italiano.
 
Reactions: laveladileo

chicco82

Biker extra
Dovrebbe venir fuori una bella giornata. Quasi sicuramente sarò a firenze quei giorni.
Peccato che non avrò la bici, sennò potevamo andare a fare un giro.

Caro Paolo ce un ciclista Abruzzese che ha corso con Bartali , e chissà quanti anedoti avrà da insegnarti in un epoca oramai passata.
Ha rappresentato molto, per molti, questo nome nel mondo del ciclismo….soprattutto abruzzese..!!

Franco franchi è semplicemente uno dei grandi personaggi che fatto la storia del ciclismo eroico del dopo guerra…attualmente abita a Poggio Morello, un fiabesco borgo abruzzese in provincia di Teramo.
Per capirci meglio Franco Franchi è nato a Poggio Morello l’1 settembre del 1923, svolse attività professionistica dal 1949 al 1955.
Anche il fratello maggiore, Bertino Franchi, era stato professionista tra il 1945 e il 1948.
Alto 167 cm e pesante 62 kg, era considerato un passista veloce. Per i suoi piazzamenti si poteva considerare un gregario “di lusso”, capace di portare a termine dignitosamente le lunghe corse a tappe (partecipò a 6 Giri d’Italia e a 2 Tour de France), e in qualche caso di puntare a vittorie o a buoni piazzamenti.La sua vittoria più importante fu forse la 5° tappa (Genova - Torino) del Giro d’Italia del 1950.
 

alberati.paz

Biker serius

Proprio in questi giorni ho visto il suo nome nel palmarés di un Giro d'Italia di quegli anni, ha vinto più di una tappa, e mi è venuto da ridere pensando al suo nome-cognome e a quello del comico siciliano suo omonimo. Insomma non è un nome che mi era passato inosservato.
In effetti ti dico che per il nuovo libro che ho scritto su Coppi, perché così mi ha chiesto la Casa Editrice Giunti, (il cui direttore editoriale è tifoso coppiano...) ho intervistato diversi ex corridori ed ongi loro racconto è stato emozionante.
Sotto, in una mail seguente, te ne metto uno...
E' un estratto da libro.

(ps: ti ringrazio per le belle parole che mi hai mandato per mail)
 

alberati.paz

Biker serius
COPPI E IL DOPING



Tutto ebbe inizio quella volta che Fausto entrando per sbaglio nella camera d’albergo di quel massaggiatore belga si era accorto di quale “santabarbara” di medicine portasse con sé quel diavolo. I corridori belgi in effetti gli erano sembrati sempre un po’ più spiritati del normale, ma mai si sarebbe aspettato di trovarsi di fronte ad uno scenario del genere…[/i]

Quando parli oggi di doping con i corridori dell’epoca, loro prima di tutto, con il gesto della mano messo a difesa, ti chiariscono cubito una cosa: «innanzitutto diciamo che per quei tempi non si può parlare di doping. Mica perché gli stimolanti non aiutassero la prestazione, o cosa ancora più falsa, perché non li usavamo. Non si può però parlare di doping, semplicemente perché alla nostra epoca non esisteva l’antidoping e usare medicinali, quei pochi che si conoscevano, era consentito.
«Per di più – stimoliamo Renzo Sodani, con Giovanni Corrieri al fianco che annuisce – l’uso degli stimolanti in corsa non era una pratica continua, ma vi si ricorreva solo al bisogno: solo se ad un certo punto della gara, verso i chilometri finali, ci si trovava in posizioni di favore, magari ci si stava giocando la vittoria. Altrimenti “la bomba” che si portava nel borraccino in tasca, la si lasciava lì e la si portava dietro magari per la corsa successiva».

Già questa intanto è una prima sostanziale differenza rispetto al doping che oggi sconquassa il ciclismo: quello degli anni duemila è un doping sistematico, che viene utilizzato soprattutto in allenamento, quindi ogni giorno, a prescindere dalla posizione finale della gara della domenica successiva. In poche parole: oggi gli stupidi non si dopano per vincere, ma lo fanno per partire alle corse…

«Già, noi chiamavano gli stimolanti che portavamo in tasca i nostri” gregari”: se servivano, vi si ricorreva. Sennò si lasciavano “riposare” per le tappe successive. Anche perché utilizzare stimolanti quando non serviva, era un grandissimo errore: poi la notte si rimaneva agitati, senza prendere sonno e quindi non si riusciva a recuperare le forze per il giorno successivo. Quindi: li si usava solamente se erano davvero decisivi. Altrimenti facevano più male che bene»

Gli chiediamo così di spiegarci cosa conteneva la misteriosa boccetta.
«il borraccino – è sempre Soldani che parla – conteneva alcuni caffè ristretti molto zuccherati, “addizionati”con pastiglie di stimolanti: il più usato era la Simpamina, ma il migliore era la Metredina (era però più costosa), che aveva minori effetti collaterali: poi insomma la smaltivi prima.
Poi vogliamo sapere fino a quante compresse si era in grado di consumare.
« I corridori sostenevano mai più di due o tre. Ma chi diceva di usarne appena una, mentiva spudoratamente: sicuramente si trattava di soggetti che ne consumavano anche cinque o sei per gara»

Altra fondamentale differenza tra il doping di allora e quello di oggi.
Negli anni duemila anche solo ammettere di aver fatto uso di una sostanza dopante è causa di pesante squalifica. In sostanza l’ammissione pubblica dell’utilizzo o dello spaccio, equivale alla positività riscontrata nei test antidoping.
Allora invece, negli anni quaranta e cinquanta, l’argomento non viene nascosto dietro alcun tabù.

«Coppi nel finale di un Giro della Campania stava già benissimo, ad un certo punto lo vedo estrarre dalla tasca una bottiglietta di plastica e comincia ad agitarla sorridendo ed indirizzandola in nostra direzione: era la bomba.
Coppi incomincia a fare: «La prendo o non la prendo…?»
Noi implorammo Fausto di non prenderla, chiedendogli di risparmiarci l’ulteriore fatica di inseguire un campione fortissimo già così, al naturale. Figurarsi se stimolato a fare fatica. Ma lui invece quel borraccino se la bevve tutta d’un sorso e poi ci salutò.
Ci rivedemmo dopo diversi chilometri e dopo tanti minuti di distacco sul traguardo della corsa. Che ovviamente stravinse.

Ci sorge in interrogativo spontaneo: ma quale effetto strano sortivano gli stimolanti sulla prestazione atletica?
«Toglievano il senso della fatica. Che allora era tanta quella che si faceva. E quindi andavi più forte, non sentendo mal di gambe. E poi ti tenevano più attento, sveglio, concentrato.
Quelle che acquistavamo noi in farmacia, erano le stesse pastiglie che per esempio usavano i piloti di aerei durante la seconda guerra mondiale prima di una lunga incursione magari notturna, i chirurghi costretti ad operazioni continue ed alla massima attenzione, o i camionisti quando dovevano affrontare molte ore di guida consecutive».

Indirettamente è proprio Fausto Coppi a risponderci a tante di queste domande, perché per primo è lui che risponde alle stesse domandi rivoltegli da un giornalista radiofonico dell’epoca. Ecco a seguire un estratto di quell’impressionante intervista.
Incredibile sia per il contenuto, quanto per il fatto che certe cose venivano dette alla radio, pubblicamente e con candore assoluto. Anzi, in diversi passaggi i due scherzano proprio sull’argomento.
-Fausto Coppi tutti i corridori hanno nella tasca posteriore della maglietta una misteriosa borraccetta? Se vi domandano cosa contiene come gli rispondete?
-Caffè, solo caffè.
-Oppure?
-Peptocola, ricostituente
-E invece che cosa contiene?
-La bomba
-Che cos’è signor Coppi “la bomba”?
-La bomba è una sorta di gambe di ricambio. E’ composta da ingredienti segreti, fra i quali i più importanti sono la Simpamina e la fiducia che la bomba funzioni.
-Tutti i corridori prendono le bombe?
-Si tutti, e a quelli che dicono di non prenderla, è bene non avvicinarsi con fiammiferi accesi.
-Tu prendi bombe, Fausto Coppi?
-Sì, quando serve.
-E quand’è che serve?
-Quasi sempre…

Al Musichiere di Mario Riva poi anche Bartali interviene in un duetto con Coppi, “spericolato” per i nostri tempi, normalissimo e comico negli anni cinquanta.
Canticchiando sulla parafrasi della canzone “Come pioveva” di A. Gill e Testa, Gino e Fausto così cantavano:
Fausto: … «Giri d’Italia ne ho vinti tanti, senza far uso di droghe eccitanti…»
Bartali: «Giri d’Italia sì lui ne vinceva, ma ne prendeva, oh se ne prendeva!»

Chiediamo ancora a Corrieri e Soldani se anche Bartali perndeva la bomba.
«No Gino non ne voleva, perché l’aveva provata e l’ aveva mandato fuori-giri. Lui che era già nervoso di suo, dalle droghe eccitanti riceveva più un disturbo simile all’iperattività, che un vero vantaggio. E da un certo punto in poi Gino cominciò a dubitare di Aldo Bini, suo guascone compagno di squadra, che siccome era gregario di Gino e siccome dalle vittorie del capitano, come tutti noi altri gregari, ricavava soldini, lui di nascosto provava a mettere stimolanti nelle borracce di Bartali. Ma Gino un giorno se ne accorse ed allora si portava le sue borracce sempre accanto, così da evitare sabotaggi. Anche se a fin di bene.
Pensate quanto era matto Bini: una volta di ritorno da una corsa, ove non usò la bomba perché era rimasto nelle ultime posizioni, la versò nell’acqua del pollaio di sua nonna, per vedere che effetto faceva alle galline: al mattino erano tutte stecchite! In casa sua pensarono ad un avvelenamento cattivo, lui non rivelò mai come stavano le cose…»

«Basta sapersi curare» diceva a quei tempi il mefistofelico massaggiatore Biagio Cavanna. «E sapersi curare significa saper trovare le dosi giuste, e utilizzarle quando si è prima perfettamente allenati. Perché uno stimolante da solo non può certo trasformare un asino in un cavallo... »
«E poi – aggiungeva Coppi – uno deve aver il coraggio di fare quello che io ho fatto per anni: niente vino, niente champagne, niente caffè, poca birra e magari allungata con acqua minerale. L’errore che quasi tutti commettono è trascurare il fatto, ad esempio, che quando uno si è abituato al caffè o al vino, ha bisogno di dosi che sono degne di un mulo per ottenere un certo effetto.
Se provi, come ho fatto io, a bere acqua minerale per mesi e poi a prendere due caffè ristretti: non si riesce più a stare fermi neanche se ti legano».

Ma perché Coppi si drogava allora?
«E’ un ragionamento che mi sono fatto più volte – ha risposto una volta Fausto al giornalista amico Rino Negri – sono Coppi se vinco molto, specialmente se vinco quando uno non se l’aspetta. Ma se non vinco chi si ricorda più di me? Per questo dico che se fosse possibile trovare una medicina che non sia dannosa al cuore ed al sistema nervoso, non esiterei a prenderla pur di vincere molto, sempre. Ecco, mi piacerebbe da matti esser un chimico per poter fare la grande scoperta.

Infine il racconto di un aneddoto simpatico, che fa capire appunto l’ingenuità, rispetto ad ora, in cui si muovevano i ciclisti e tutto il mondo che ruotava attorno a loro.
Si stava svolgendo un’edizione del Gran Premio Ciclomotoristico (Roma-Napoli-Roma) e circolò la voce secondo la quale la Federazione Italiana Medici Sportivi avrebbe effettuato un controllo antidoping.
Erano anni in cui il controllo non era obbligatorio.
Tutto quello che però si stava facendo era approssimativo. Quali recipienti usare per conservare il liquido organico? Chi avrebbe esaminato i campioni delle urine? C’era nel regolamento della Federciclo una norma che impediva l’uso di sostanze considerate nocive. Ma quali erano veramente queste sostanze? Tutti discorsi che a quel tempo facevano tra loro Bartali, Coppi e Magni.
Così un bel giorno come detto, la F.m.s.i. si decisa a fare un esperimento: avrebbe messo recipienti sterilizzati nelle camere dei corridori all’arrivo della penultima tappa del G.P. Ciclomotoristico e i corridori erano liberi di partecipare a quello che venne definito un antidoping sperimentale.
Rino Negri si trovava nella camera di Coppi, quando Fausto accortosi del recipiente chiese al massaggiatore Aspes ci avesse portato quel «coso».
E così Aspes gli rispose che lo aveva portato un dottore e che era per la pipì. Allora Coppi scherzando gli disse: «falla tu».
Aspes lo prese in parola e quando il recipiente venne ritirato, la voce che anche Coppi si fosse volontariamente sottoposto al controllo, volò dappertutto.
Il liquido organico venne esaminato e lo stupore dei medici, dopo alcuni esami, fu grande perché si disse che quello che era attribuito a Coppi, era il liquido organico di un uomo che amava alzare il gomito!

Paolo Alberati
 
Reactions: laveladileo
ho comprato anche io il libro grazie a questa discussione. ho finito oggi di leggerlo e ne sono rimasto molto colpito, di bartali non sapevo quasi niente e ora so molte cose. le interviste ai rivali e compagni sono sempre molto belle in questi libri e rendono ancora più l'idea di chi era una persona. il libro ha un costo molto irrisorio data la grandissima presenza di immagini che lo rendono un libro completo in tutto. grande lavoro!!!!
fai sapere quando uscirà il prossimo libro che lo acquisterò sicuramente
 
Reactions: laveladileo

alberati.paz

Biker serius

Cavoli.... grazie!

P
 

FRWalter

Biker urlandum
17/6/08
505
1
0
Sulle nuvole
Visita sito
+

Hai capito TUTTO della vita, si stava meglio quando si stava peggio. A me viene il magone vedendo le foto degli anni 70, non voglio pensare cosa possa essere stato vivere a quei tempi.

Altro che 20 miliardari che corrono dietro a un pallone e altri 2 che cercano di non farlo entrare in una rete, e un sacco di fenomeni da baraccone attorno che fanno della gran letteratura che, a chi timbra il cartellino alle 8 per ritimbrarlo alle 5 di sera, passatemi il termine, non frega un cazzo.

Comprerò quanto prima sto libro, e me lo leggerò. Ho rivisto di recente il film fatto dalla RAI su Bartali (pelle d'oca), poi non contento mi sono rivisto quello di Coppi con Castellitto (pelle d'oca peggio), non posso rimanerne deluso.
 

laveladileo

Biker dantescus
12/4/06
4.735
3
0
58
Roma
Visita sito
Sì, finalmente, c'è stato da faticare tanto per conoscere, intervistare, viaggiare, capire. Ma ne è valsa la pena.

Lo presentiano il 19 maggio al Giro d'Italia, durante la tappa Cuneo-Pinerolo dentro gli stand Gazzetta.

Non potrò venire alla presentazione, perchè, in quel giorno sarò festeggiato (il mio compleanno) ma se non me lo regaleranno, me lo regalerò io nei giorni a venire, Grazie Paolo!!!!!!!!!!!!
 

Classifica giornaliera dislivello positivo

Classifica mensile dislivello positivo