ciao. abbiamo dissertato sulle esondazioni. niente di che [cit.]
La lingua italiana moderna è come un organismo vivente.
Ogni giorno cresce, sviluppa nuove cellule, si alimenta di nuove parole e ne elimina altre.
Esiste un processo continuo, endogeno ed esogeno, di evoluzione.
A questo partecipano gli influssi delle lingue straniere, delle nuove tecnologie della comunicazione (oggi molto differenziata rispetto ai tempi di De Amicis), mentre (purtroppo, ma ineluttabile a mio parere) si perdono progressivamente gli apporti del passato, che provenivano (ad esempio) dai dialetti regionali.
Il progressivo impoverimento della comunicazione scritta, di cui forse i forum rimangono uno dei pochi baluardi, e della disponibilità alla lettura degli italiani (ancora più se giovani) sta portando a un cambiamento della dinamica di sviluppo della lingua, che comunque continua a restare viva. Da una parte l'eccessiva velocità con cui si è abituati oggi, impone che i termini vengano abbreviati, compressi, magari storpiati. Alcune di queste modifiche possono essere accettabili altre meno.
Da un altro lato l'introduzione di termini tecnici, magari derivati da un gergo di una ristretta categoria di lavoratori, oppure da una comunità ben definita, potrebbe limitare la comprensione. E sappiamo che questo per alcune categorie professionali è stato per decenni un metodo per limitare l'accesso di altri a una cerchia che si voleva ristretta.
Evidentemente in una società dominata dalla comunicazione attraverso media talvolta invasivi, un ruolo pesante nell'apparizione (o ripescaggio) di termini "innovativi" o "resuscitati" è dovuto proprio all'azione di questi media. Che ci piaccia oppure no!
Se anche potrei tentare di capire chi si lamenta della invasività dei comunicatori mediali (giornalisti, personaggi tv, scrittori, saggisti e chi altro ci volete mettere), va però riconosciuto che, volenti o nolenti, il loro contributo (gradito o meno, ripeto) è importante, consistente e funzionale allo sviluppo della lingua. Pensare di contrastare questa naturale evoluzione è anacronistico e a mio parere "donchisciottesco".
In sintesi: se per trent'anni ho lavorato nel mondo della gestione delle risorse idriche, sentendo talvolta utilizzare i termini esondazione oppure tracimazione, li prendo entrambi per buoni. Senza interrogarmi se tanti anni fa uno di questi sia stato riportato in auge dai giornalisti per voler fare titoli sensazionalistici, volendo dare l'impressione che la sappiano più lunga.
Non investigo tanto meno sul fatto che il termine non fosse in uso dai tempi di Boccaccio, Petrarca, oppure di Dante.
Del resto, dai tempi di Boccaccio a trent'anni fa nessuno di noi si era preoccupato di questi problemi. E di tutto ciò che può essere successo nell'intervallo dalla fine del 1300 ad oggi non è che ce ne fossimo tutti noi interessati tanto in dettaglio, scommetto.
Guardando invece a parole proprie del dialetto e di utilizzo esclusivo di alcune limitate aree geografiche, entriamo certamente in un territorio diverso.
Sia chiaro che non voglio dire qui di seguito che qualcosa esiste soltanto se appare in TV o sui media. Ma certamente se negli ultimi trent'anni fossero apparsi spesso titoli come "L'Italia strinta nella morsa del ghiaccio", oppure "Crisi di governo, il premier affronta la strinta finale" magari avremmo potuto pensare che termini come questo fossero di uso comune, facessero parte di una lingua condivisa dalla popolazione italiana. Non di una piccola, ristretta comunità locale.
Nel nostro paese esistono anche minoranze linguistiche. Comunità parlanti lingue che vanno dall'albanese al catalano, il croato, il francese, il francoprovenzale, il friulano, il tedesco, il greco, il ladino, l'occitano, il sardo e lo sloveno. Si tratta di circa 2.5 milioni di persone a cui si aggiunge il rom e il sinto. Questi ultimi idiomi sono parlati da popolazioni stabilitesi in modo stanziale, da decenni, sulla nostra penisola.
Se volessimo rappresentare (e valorizzare, come del resto auspico) il contributo di queste lingue a quella parlata (male) dagli altri 57 milioni di abitanti si rischierebbe un certo guazzabuglio, in mancanza di un approccio correttamente strutturato.
Nello stesso tempo ritengo che non serva essere troppo rigidi, e che come siamo stati un popolo di analfabeti dialettofoni, ora siamo un popolo di rompiscatole che litigano sotto i video di YouTube se scrivi
camice anziché
camicie. Trovare una via di mezzo potrebbe essere giusto, accogliendo
cum grano salis i termini ormai entrati stabilmente nell'uso comune e magari evitare termini che suonano (proprio così, "musicalmente") molto male alle orecchie dei 57 milioni citati in precedenza.
Giusto e necessario rispettare le minoranze, ma opportuno il rispetto anche per le maggioranze.
In fondo a me basterebbe ogni tanto leggere qualcuno che sa scrivere usando il congiuntivo per essere contento