Perché i mercati scommettono contro il sistema Italia?
La domanda vera è: perché i mercati dovrebbero scommettere sul sistema Italia?
Certo non per i tassi di crescita dell’economia e le misure sino ad oggi messe in campo per stimolarla.
“Adesso pensiamo alla crescita” è un mantra che si sente ripetere da quasi due anni: qualche dubbio che non vi sia la più pallida idea di come fare viene per forza.
Allora dovrebbero scommettere sul sistema Italia per la tenuta dei conti pubblici, con l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2014 a portata di mano, dopo l’ultima manovra correttiva approvata a tempo di record?
Improbabile anche quello: gli analisti le manovre le leggono nel dettaglio, relazioni tecniche comprese, nonostante vengano redatte con criteri di chiarezza e comprensibilità che, se fossero utilizzati da un qualunque commercialista per la nota integrativa del bilancio di una società, farebbero finire “dentro” sia il commercialista che l’imprenditore.
Chi legge può magari passare sopra a tante delle cose che ci vede, ma non può fingere di non vedere che circa metà della manovra correttiva è costruita su un ultra-generico aumento di tasse per 20 miliardi di euro, sotto forma di tagli lineari a detrazioni, deduzioni e agevolazioni fiscali, che, quando arriverà il momento (2013 e soprattutto 2014), renderà definitivamente insostenibile la pressione fiscale su redditi e consumi.
Detto questo, cosa rimane?
Scommettere sul sistema Italia come atto di fede sulla credibilità del suo ceto politico al governo oggi e di quello che rappresenta, oggi, la sua alternativa?
Non lo farebbero neppure i più stretti congiunti dei politici medesimi, dell’uno e dell’altro schieramento.
Figuriamoci i mercati, notoriamente senza cuore.
Si potrebbe allora scommettere sull’inesauribile capacità degli italiani di rimboccarsi le maniche e risollevarsi, quando tutto sembra perduto.
Questo sì, ma servirebbe uno straccio di segnale che gli italiani abbiano capito che uno di quei momenti è adesso.
Un segnale che, però, è a dir poco antitetico alla calma piatta con cui l’opinione pubblica ha incassato una manovra senza tagli draconiani ai costi della politica e delle alte burocrazie della Pubblica Amministrazione, per non parlare della sempre più sfacciata assenza di etica nella gestione dei rapporti interpersonali da parte di chi dovrebbe dare l’esempio e, dulcis in fundo, dei quaranta giorni di chiusura del Parlamento per ferie, poi “accorciati” a 34 (ma non ci sono le riforme da approvare il più in fretta possibile?).