foto stupende!! in qualcuna ci sono pure io, in un gruppetto nella pianura iniziale...
questo comunque il mio report...
Cercando bene nellaffollato calendario granfondistico nazionale ci si può ancora imbattere in alcune gare dal sapore antico, di quelle che si differenziano dalla massa, di quelle che sanno ancora regalare emozioni uniche e irripetibili attraverso unesperienza epica e indimenticabile. La Tiliment Marathon è una di queste.
A Spilimbergo, cittadina pordenonese famosa per larte del mosaico, domenica scorsa è andata in scena la seconda edizione della manifestazione che coinvolgeva tre eventi: la Marathon di 100km., la Granfondo di 50km. e la Pedalata Ecologica valida per il Trofeo Friulbike di 25km.. A coordinare il tutto unorganizzazione di discreto livello impegnata a gestire i circa 700 iscritti complessivi tra cui un nutrito numero di stranieri, austriaci su tutti. Il discreto è dettato da alcuni aspetti sicuramente migliorabili, anche se nel complesso il comitato organizzatore ha svolto bene il suo lavoro, soprattutto con il personale di sicurezza presente in abbondanza nei tratti più pericolosi del percorso.
Lobiettivo adesso non è però parlare della gara, delle classifiche, dellorganizzazione e di tutti quegli aspetti convenzionali, bensì di porre lattenzione su alcuni elementi che troppo spesso viene trascurati: il piacere di partecipare a un evento per il solo gusto di divertirsi, per la sola soddisfazione di dire io cero, per vivere unesperienza che difficilmente potrà essere ritrovata in qualche altra granfondo. La Tiliment Marathon, con il suo percorso vario, tecnico e complicato ha sicuramente le carte in regola per renderci felici.
La partenza dal centro di Spilimbergo, poco dopo le nove, avviene sotto un cielo grigio di quelli che non capisci se stia per aprirsi o rovesciarti in testa litri dacqua: dopo i primi dieci chilometri sul greto sassoso e sconnesso del Tagliamento, il fiume che si comporta come un torrente di montagna ridisegnando a ogni piena il suo corso, inizia a piovere. Se il terreno ghiaioso bene aveva drenato la pioggia caduta nottetempo, lacqua adesso inizia a ristagnare con estrema rapidità sulle pietraie e le piste improvvisate che tagliano il Magredi, un ambiente semiarido che si rivela ostile ma di una spettacolarità unica.
Al ventesimo chilometro, ora sul letto del fiume Meduna, il mix di pioggia e vento che flagella i vari gruppetti di bikers rende la corsa una specie di Parigi-Roubaix delle
ruote grasse: lacqua arriva sia dal cielo che dalle ruote di chi ci precede, il vento fa sbandare in continuazione e il supplizio delle migliaia di pietre levigate dallacqua fa dolere braccia e schiena, alla faccia delle forcelle ammortizzate.
Quando finalmente la tortura del vento e dei sassi finisce, inizia quella del fango: le colline attorno a Sequals rappresentano le prime due ridicole salite di giornata, poche centinaia di metri per un dislivello irrisorio. Tuttavia, a dispetto della morfologia ghiaiosa e drenante che ci circonda, queste colline fanno eccezione: sono come unisola di argilla in mezzo a un mare di pietre; è facile intuire il seguito: tutti fermi a togliere i blocchi di fango accumulatisi sui passaruote. Non solo, ma la prima di queste salite ridicole si rivela essere una micidiale rampa dalle pendenze proibitive dove la scalata (circa dieci minuti a piedi) si trasforma in una scivolosa sessione di arrampicata libera tra gli alberi alla ricerca di qualche appiglio per non cadere, visto che anche le tacchette degli scarpini, su queste pendenze, nulla possono contro il fango. In discesa non si contano poi le cadute sugli stretti e ripidi sentieri trasformati in pericolose saponette.
Il 35° chilometro, in corrispondenza del bivio con il percorso medio, è il punto chiave della corsa: in tanti alzano bandiera bianca avendone già abbastanza dopo unora e mezza di pioggia e fango. I più temerari, invece, proseguono optando per la scelta più ardita ma azzeccata: pochi minuti dopo la pioggia cesserà e il terreno tornerà rapidamente in buone condizioni. A fare paura, ora, cè però dellaltro.
Alcuni tratti veloci conducono rapidamente ai piedi del panoramico Col della Siera: unascesa semplice seguita da una difficile discesa in single track tra fango e rocce bagnate; a metà discesa un gruppo di escursionisti raccolti attorno a un falò improvvisato accoglie calorosamente il passaggio dei bikers infangati e infreddoliti offrendo pane, salame, acqua
e pure un po di vino. Per il vino non cè tempo, ma per il resto ci si ferma ben volentieri prima di tornare ancora allinsù per la scalata principale della gara attraverso un inerpicarsi continuo per oltre dieci chilometri su pendenze, terreni e ambientazioni sempre diversi: il clou si ha quasi subito quando un umido ciottolato nega il grip alle gomme obbligando tutti a procedere a piedi. Stessa scena quando il terreno si fa più compatto ma incredibilmente ripido addentrandosi nella vegetazione.
Tra le case di Vito dAsio la pendenza cala drasticamente concedendo un po di respiro ai bikers: è il momento giusto per fare la conta dei danni, di mangiare qualcosa e - finalmente - di distogliere lo sguardo da terra. In questo frangente interlocutorio un ragazzo del posto rappresenta la salvezza di molti: armato di canna dellacqua ripulisce uomini e mezzi dalla melma della pianura aiutandoli nel migliore dei modi affinché possano raggiungere lobiettivo di giornata: tagliare il traguardo.
I quindici chilometri seguenti, nonostante la presenza di qualche tratto sterrato più impegnativo, si dimostrano filanti e scorrevoli attraversando luoghi fuori dal mondo ma dallincredibile fascino: ambienti idilliaci fatti di boschi incontaminati, borghi isolati e strade rovinate dal tempo ci accompagnano fino alle pendici dei monti Ciaurlec e Pala dove la straordinaria veduta sulla pianura fa per un attimo dimenticare la fatica e la stanchezza. Subito però si torna con i piedi per terra nella picchiata che segue: ripida, difficile, pericolosa, faticosa, tecnica. Un vecchio percorso pedonale creato oltre un secolo fa, tutto ciottoli e pietre, scende a pendenze vertiginose da quota ottocento metri fin quasi alla pianura in meno di cinque chilometri. Una discesa tremenda anche per le full, durissima al punto che in fondo alla picchiata le facce dei bikers sono segnate da una smorfia di sofferenza. Smorfia ancora più accentuata dalla successiva scalata, teoricamente lultima, non impossibile ma decisamente logorante dopo 75 chilometri di corsa in queste condizioni. Raggiunta la vetta del Monte Santo, però, la certezza che da qui è tutta discesa viene però smentita.
Dopo la pioggia e il vento, il fango e le pietraie, i ciottolati e le ripide salite, allottantesimo chilometro arriva la ciliegina sulla torta: sotto le ruote iniziano a sfilare uninfinità di single track, uno meglio dellaltro, ognuno diverso dal precedente. Veloci e lenti, da guidare e da pedalare, in salita e in discesa, tecnici e più facili: un lungo dedalo di sentieri nella boscaglia che ci fa perdere lorientamento in preda come siamo a un mix di stanchezza, euforia ed entusiasmo. Ogni tanto compare pure qualche muro asfaltato al 20%, ma non ci facciamo troppo caso visto che come ci dicono ogni volta questo è lultimo!. Poi ancora discesa, ancora single track, ancora adrenalina fino al ponte della ferrovia, al guado e alla larga sterrata degli ultimi dieci chilometri.
Siamo di nuovo sullalveo del Tagliamento, il fiume che cambia faccia a ogni piena, sulla stessa terra che ancora ci sporca il volto trasformato ora in una maschera di fango secco. Il cerchio si chiude e torniamo a pedalare ad alta velocità tra rocce e sabbia, ghiaia e pietraie, vibrazioni e sollecitazioni: giunti fin qui non ci facciamo più caso, in fondo dopo tutto quello che abbiamo passato oggi, questo è il male minore. Non facciamo caso nemmeno ai crampi che ci arrivano puntuali al novantanovesimo chilometro, lultimo, proprio mentre entriamo nel pavè di Spilimbergo varcando la porta est.
Dopo due ore dallarrivo del vincitore non ci aspettiamo una grande accoglienza e invece, inaspettatamente, lo speaker ci annuncia e più duno spettatore ci incita e ci applaude: sembrerà strano, ma lapplauso di quei pochi rappresenta comunque il meritato premio e soddisfazione per limpresa portata a termine.
Unimpresa che solo in pochi hanno osato intraprendere, e che in meno di cento hanno saputo portare a termine. Unimpresa resa ancor più epica dalle condizioni meteo della prima parte di gara, dagli ambienti ostili attraversati e dallelevata tecnicità di ampie porzioni di percorso. Un percorso che ha condotto i biker alla scoperta di un territorio poco noto e ancora incontaminato, dal fascino misterioso e primordiale: la pianura semidesertica del Magredi e i terreni carsici del Ciaurlec, la natura selvaggia delle Prealpi Carniche e lo scorrere impetuoso dei torrenti di montagna, le antiche borgate isolate e le valli nascoste.
Un territorio tutto da scoprire, e soprattutto
da pedalare!