Mi piaceva pensare che la vecchietta aspettasse me. Era spesso sulla grande terrazza dellultima casa prima del sentiero. Stava seduta su di una sedia con i braccioli, con i pizzi sul cuscino. E mi salutava allegra con la mano, quando mi vedeva passare veloce sulla bike, prima di scomparire risucchiato dal bosco. Mi piaceva pensare che aspettasse me, ed ogni volta, un attimo prima di impegnare il sentiero, la cercavo con lo sguardo e se cera mi salutava contenta ed io rispondevo subito, più volte, contento. E se non cera un po mi dispiaceva, un po mi mancava. La vidi ancora, ma sempre meno, e i suoi saluti erano più lenti, meno gioiosi e le sue spalle erano coperte dallo scialle e lei un po più vecchia un po più stanca. E poi non la vidi più. Ma la sedia con i braccioli restava sulla terrazza, come un presagio, e lentamente marciva sotto la pioggia ed i pizzi svolazzavano con il vento impietoso che in inverno scende dal sentiero e si infila tra le case e in quella casa silenziosa, vuota, angosciante. Che tristezza, piegato sui pedali spingevo in salita, quasi a voler cancellare con la fatica il pensiero della vecchietta giunta al suo ultimo inverno. E tutto intorno a me a ricordarmi le stagioni della vita e sperare inconsciamente di poter tutto esorcizzare correndo veloce sui sentieri silenziosi, nel fitto di un bosco stillante in un inverno malinconico. E lungamente quella sedia triste abbandonata, dimenticata, in un oblio doloroso, ed ogni volta un pensiero, una fitta di tristezza. Poi la casa riprese vita e colore e chiasso, lavori, operai e bambini, ma la sedia non cera più, né i pizzi né lo scialle, in una nuova stagione della vita, sempre, inevitabile
.
Mi piace ancora pensare che la vecchietta aspettasse me.
Mi piace ancora pensare che la vecchietta aspettasse me.