L'obiettivo era quello di fare il percorso lungo (111km.): il tempo massimo
era di 10 ore per cui, sebbene il mio allenamento non fosse all'altezza,
avrei avuto tutto il tempo per arrivare al traguardo con calma, gustandomi i
paesaggi e, soprattutto, i ristori. Ma l'ansia di fare la mia prima
"marathon" mi ha portato a sperare nella pioggia, unico alibi a mia
disposizione per fare il percorso medio, molto più abbordabile e conosciuto
quasi tutto a memoria. Visto come è andata a finire, mi sa tanto che ho
portato sfiga...
Il tempo da quelle parti non era dei migliori i giorni precedenti la gara,
quindi le probabilità di fare il percorso medio aumentavano, ma al sabato
pomeriggio a Villabassa splendeva un caldo sole che mi ha riportato la
voglia di fare i 111km., distanza a me sconosciuta in mountain bike.
La domenica però si presenta in modo diverso: cupi nuvoloni e pioggia
incombono su Villabassa alle partenza con la temperatura a 12°. Mi tocca
fare il percorso medio.
La partenza è ad andatura blanda, ma ci sono sempre quelli che vogliono
superare a tutti i costi: uno di questi, tentando di recuperare posizioni,
mi urta e i nostri manubri si agganciano: lui cade, io fortunatamente no, ma
nel tentativo di non perdere l'equilibrio mi ferisco leggermene la mano con
la leva del cambio; la ferita si richiuderà comunque in breve tempo. Riparto
e poco dopo altra sosta per togliere la mantellina: inizio a scaldarmi e il
tessuto impermeabile mi fa sentire in una sauna.
La salita, inizialmente su asfalto, prosegue su una strada boschiva ben
oltre i 5km. previsti dall'altimetria, e intanto inizia a piovere.
Finalmente la salita lascia il posto a qualche tratto in falsopiano, ma
l'aumentare della velocità fa sì che gli schizzi delle ruote contribuiscano
a sporcare gli occhiali, attraverso i quali vedo ben poco a causa della
pioggia e dell'appannamento, dato che oltre quota 1600 ci sono solo 5°.
Decido di rimettermi la mantellina all'inizio di un tratto con radici reso
particolarmente insidioso da fango e pioggia. Ma gli occhiali, anche se
puliti, non mi danno sicurezza a fronte del mio handicap visivo: decido
allora di scendere per alcuni tratti a piedi, mentre sempre più bikers
continuano a sfilarmi. Numerosissimi sono i tedeschi, che con i loro
"achtung!" e "bitte!" mi invitano a lasciare strada. Inizia poi un tratto in
discesa, e inizio ad amare i freni a disco: i miei v-brake sono
completamente inadatti alla situazione e il freno posteriore diventa ben
presto inutilizzabile, costringendomi a scendere con cautela usando solo
quello anteriore. Per fortuna davanti a me un altro biker ha i miei stessi
problemi, e allora decido di seguire le traiettorie della macchia gialla che
ho davanti; macchia gialla perché è la sola cosa che riesco a vedere, in
quanto gli occhiali si sono appannati nuovamente. Si alternano ora ripide
salite e veloci discese, ma io sono intento a dosare le forze e a
salvaguardare il mezzo per evitare problemi meccanici, sempre più probabili
visto che la pioggia non accenna a diminuire. Arriva il bivio 111-59km. e
giro a sinistra come la maggior parte dei concorrenti, ma alcuni coraggiosi
optano per il lungo.
Inizia la discesa verso Dobbiaco, e avverto il primo freddo: si susseguono
tratti facili a passaggi tecnici. Ma uscendo dal bosco, all'inizio della
discesa "vera" mi rendo conto di cosa sta succedendo: tutto attorno il cielo
è scuro, la pioggia è diventata diluvio, e la competizione si sta
trasformando in una gara di sopravvivenza: strade e sentieri sono ormai
torrenti in piena, bikers che cadono uno dopo l'altro, alcuni si rifugiano
sotto le tettoie delle case per ripararsi dalla pioggia, altri cercano come
possono di scaldarsi le mani e le gambe agitandole e strofinandole. Anch'io
sento che le dita delle mani si stanno congelando, e mi è sempre più
difficile gestire la bici in discesa.
Fortunatamente la discesa termina, ma la temperatura è sempre sui 5°, e le
mie mani sono sempre più gelate. Lungo le vie di Dobbiaco pochissima gente
osserva gli eroi nella bufera, alcuni concorrenti si rifugiano nei bar e nei
negozi alla ricerca di qualcosa di caldo, e al rilevamento elettronico non
c'è neanche l'addetto al cronometraggio, forse rifugiato anche lui in
qualche locale.
Finalmente arriva il primo ristoro, ben fornito, ma incredibilmente
sprovvisto di bevande cade; prendo allora solo un integratore e un bicchiere
di Coca Cola. Subito dopo c'è il gazebo dell'assistenza meccanica: ne
approfitto non solo per farmi stringere il freno posteriore e mettere
dell'olio sulle parti meccaniche, ma anche per pulirmi gli occhiali e
ripararmi per qualche minuto dalla pioggia.
Riparto sotto la pioggia scrosciante e il Lago di Dobbiaco mi dà il
benvenuto con un bel tratto fangoso dove le ruote affondano fino al mozzo,
ma dopo il ponte della pista da fondo ritorna finalmente uno sterrato
perdorribile.
Il lungo falsopiano risalendo la Valle di Landro fa sentire meno il freddo,
ma le mie mani sono sempre fredde e senza sensibilità: per cambiare sono
costretto a spingere le leve col palmo della mano visto che le dita sono
attaccate al manubrio. Quando il percorso fiancheggia la strada statale noto
molti bikers tornare indietro, evidentemente stremati dalle condizioni
meteo. Dopo la zona delle Sorgenti inizia la parte "mangia e bevi" nel fango
che già conoscevo come dura, ma in queste condizioni non oso immaginare come
sia.
Fortunatamente le tracce di chi mi ha preceduto si inoltrano tra gli alberi
evitando così il sentiero principale completamente sommerso dall'acqua.
Terminato il tratto fangoso riecco la strada forestale, resa un torrente in
piena dalla pioggia. Faccio due guadi, di cui uno molto profondo, poi vedo
in fondo a un rettilineo due Carabinieri e una decina di bikers fermi: si
deve attraversare la strada statale, quindi stanno attendendo che le auto
terminino di transitare.
Però, giunto all'intersezione con la strada, mi viene detto di tornare
indietro.
La gara è sospesa. Per neve.
Controllo nel ciclocomputer: a 1400m. ci sono solo 3°! Il percorso sale fino
ai 2000m. di Prato Piazza, e se qui piove a dirotto, in quota nevica di
sicuro. Ecco perché i bikers tornavano indietro!
Costretto a tornare a Villabassa, mi dirigo in discesa lungo l'asfalto con
altri sfortunati ciclisti. Siamo decine e decine di anime in pena, fantasmi
nella nebbia e nella pioggia. La lunga discesa non veloce, ma dalla pendenza
tale da raggiungere i 40km/h, fa congelare ancora di più gli arti e le parti
esposte. Ognuno si arrangia come può: chi si mette le mani in bocca, chi fa
l'autostop. I bar lungo la discesa sono colmi di biciclette all'ingresso, e
gli automobilisti ci osservano increduli. Facciamo pena, tutti infreddoliti
e tremanti in processione verso la meta. Ormai la corsa è allo sbando. A
Dobbiaco incrocio altri bikers provenienti dal percorso lungo da San Candido
e Sesto: la situazione è identica anche su quel versante.
Manca poco a Villabassa, e le gambe e i piedi rispondono sempre meno: i
pantaloni lunghi e i copriscarpe invernali, inzuppati d'acqua, hanno fatto
diventare i miei arti inferiori due pezzi di ghiaccio. Non sento più le
orecchie e il naso. Con le dita congelate non riesco a frenare. E'
un'odissea.
Lungo la strada bikers tremanti si riscaldano nelle auto, le loro auto. Io
però sono in compagnia dell'amico Marco, e spero che lui sia già arrivato in
macchina, dove posso finalmente riscaldarmi. Non è così, quindi provo a
chiamarlo sul cellulare, ma è spento (scoprirò in seguito che era acceso, ma
dove era lui non c'era campo).
Mi rifugio allora sotto il portico di una casa, senza sapere che fare. Avrei
potuto andare nella piazza del paese al centro di soccorso, ma la mia
condizione fisica e psicologica mi fa fare altro: busso alla porta della
casa.
Mi apre una signora sui cinquant'anni: le dico che ho freddo e le chiedo un
asciugamano. Lei, vedendomi tremante e infreddolito mi fa entrare, corre a
prendere un asciugamano e chiede che mi è successo. Le racconto tutto, e
incredula chiama il marito affinché mi aiuti anche lui. Mi danno una felpa e
mi invitano a cambiarmi nel bagno. Apro l'acqua calda del rubinetto per
scaldarmi, ma non sento niente. Torno dalla signora che mi offre un tè e una
coperta. Mi siedo sul divano a bere la bevanda calda: non mi sembra vero.
Continuo a tremare e la signora mi dà un'altra tazza di tè bollente. Inizio
a riprendermi e chiamo i miei genitori: stanno arrivando a Villabassa e
spiego la mia situazione. Intanto smette di piovere.
Dopo pochi minuti arrivano e ringraziano subito i padroni di casa. poi mio
papà, con l'esperienza accumulata nei Vigili del Fuoco, riesce
incredibilmente ad aprire la Panda di Marco, recuperando così i miei vestiti
puliti ed asciutti. In pochi minuti mi sento come nuovo. Ringrazio ancora i
coniugi che mi hanno "salvato", loro dicono che questa è l'ospitalità della
Val Pusteria. Che bella gente, non la si trova dappertutto.
Vado nella zona d'arrivo a chiedere notizie del mio amico, ma mi dicono di
non preoccuparmi: la situazione è sotto controllo. Confortato, vado a
gustarmi il meritatissimo pasta party.
Squilla il telefono: è Marco. Lui è bloccato a Prato Piazza, ma sta bene e
lo porteranno giù le forza dell'ordine.
Intanto esce improvvisamente un caldo sole: meglio tardi che mai...
Alla zona d'arrivo capisco cosa è successo: sopra i 1500m. la neve cadeva
copiosa ("C'erano cinque centimetri di neve e gli alberi bianchi che
sembrava Natale" il commento di Marco), e l'organizzazione ha deciso di
sospendere tutto, a parte il percorso corto di 28km.. Chi aveva cominciato
la salita arrivava in cima e veniva accolto nei rifugi, chi era a fondo
valle veniva fatto tornare indietro. Le biciclette venivano trasportare
all'arrivo con camion, i bikers con mezzi militari. Imponente lo
spiegamento di forze: Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco, Guardia di
Finanza, Guardia Forestale; le ambulanze sfrecciavano a sirene spiegate per
la valle.
Nei rifugi e nelle caserme scene di panico: atleti tremanti e in stato di
semi-assideramento, coperte e sacchi a pelo in quantità industriali, tè
caldi a volontà. Alcuni incoscienti erano vestiti solo di pantaloncini e
maglietta estiva, in una giornata iniziata fin dal mattino con il freddo e
la pioggia.
Non sono stati risparmiati neanche i "big": anche Mauro Bettin, Paola Pezzo,
Roel Paulissen e Marco Bui, allo stremo delle forze,sono stati soccorsi dai
militari.
All'improvviso squilla il telefono: Marco è finalmente arrivato, e si è già
lavato e cambiato. Arriva al ristoro affamato, e mi racconta le scene
drammatiche di Prato Piazza.
La competizione era valida per il Prestigio MTB, e spero che l'annullamento
della prova non venga considerata come scarto, cosa che mi farebbe perdere
la possibilità di conseguirlo.
Alla fine, comunque, è stata una giornata epica da ricordare. Il recupero di
centinaia di persone gestito in modo incredibilmente efficiente ha
dimostrato l'affiatamento dell'organizzazione e della popolazione
dell'intera valle. Cosa sicuramente da evidenziare, oltre ad alcune curiose
immagini impresse nella mia mente, tra cui un biker tedesco con dei curiosi
cerchi a razze, uno scoiattolo che mi osserva incuriosito lungo la Val di
Landro e, naturalmente, le tirolesi, la cosa più bella che ho visto oggi.
Marco Bui, scendendo da Prato Piazza in jeep con due ciclisti amatori, ha
detto: "Ci è andata bene, questa possiamo raccontarla: noi c'eravamo."
Sì, io c'ero. Ho fatto una Dolomiti Superbike da tregenda.
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Cordialmente