Questo lo sapevo, ma chi è D???
Comunque:
Doriella l'ho conosciuta:
"Già il sole lambiva le colline all'orizzonte, quando in quella fredda sera d'inverno, arrivai in prossimità della mia zona preferita.
La tramontana soffiava impetuosa, gelida, e se non fosse stato per la mia testardaggine, forse avrei fatto un bel "dietrofront" e me ne sarei andato. Ma, ero stato famoso tutta la vita per il caratteraccio cocciuto e lunatico. Così mi strinsi nel cappotto e proseguii fino a raggiungere il punto del Parco che preferivo: un lembo di prato racchiuso da una siepe di piccoli pini. Al centro, scolorita, una panchina solitaria.
Il paesaggio era quello di sempre. La Fortezza, dalle mura color ocra, si ergeva ancora immutata, imponente, nel cielo cristallino e risplendeva nella debole luce rosata del tardo pomeriggio. La città, che si adagiava, allargandosi intorno al Parco, era tutta una successione di tetti e torrioni; bastioni, campanili e macchie di vegetazione.
Tutto era identico a come l'avevo visto il giorno prima. Non c'era niente di diverso in quel paesaggio che ormai conoscevo a memoria. Allora come mai, provavo uno strato senso d'inquietudine, una sottile angoscia? In fondo era solo un banalissimo giorno di un banalissimo mese.
Mi sedetti sulla vecchia panchina. Proprio dinanzi a me, all'orizzonte, il fenomeno che sempre mi commuoveva stata per avere il suo epilogo. Ancora una volta, il maestoso globo rosso era prossimo a svanire tra le morbide colline. Un altro giorno stava per compiersi, per concludersi. Di nuovo, un altro breve periodo di luce era alla fine. E presto il denso manto viola del crepuscolo avrebbe offuscato ogni cosa.
Totalmente immerso nei miei pensieri, non mi ero accorto della donna seduta accanto a me, sulla panchina. Che ci facesse, non lo so. In ogni caso la cosa non mi piacque affatto. Quello lo consideravo il "mio" territorio, il "mio" spazio privato, in cui amavo stare in solitudine e di intrusi non ne volevo. Su questo ero categorico.
Non so come si fosse trovata lì. Di certo non l'avevo vista arrivare. Forse, ripensandoci devo aver udito solo un leggero fruscio; quello si, ma null'altro.
Innervosito, le detti una sbirciatina di traverso: sembrava giovane, anche se non vedevo bene il suo viso, in parte celato da una maschera. Notai anche, che indossava un abito lungo, scuro; ed i capelli erano nascosti da una strana parrucca stile antico. Quel suo bizzarro abbigliamento però, non mi stupì; sapevo che quello doveva essere l'ultimo giorno del Carnevale. Difatti, dalla Piazza vicina arrivavano musica e un gran baccano.
Se ne stette per un bel po' lì, immobile. Seduta al mio fianco senza dire una parola. Mentre rimurginavo fra me e me, sempre più incollerito: "Io, questa non la conosco. Cosa sta a fare qui? Che se ne vada là in Piazza, con gli altri, a divertirsi; a far baldoria, a festeggiare la fine del Carnevale. Altrimenti a che le serve la maschera?"
Stavo ancora elaborando questo mio pensiero, quando inaspettatamente, sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia spalla.
"Ah!, allora ho capito, pensai. Questa vuole solo provocarmi, ormai è evidente.
Mi girai per mandarla a quel paese, ma la sua espressione mi ammutolì; perché ravvisai in quegli occhi, stretti a fessura, freddi e vacui. Infossati nelle palpebre grinzose, lo sguardo truce e beffardo di colei che a volte avevo invocato. Non so come lo capii. Fu un impulso penso, l'intuizione di un attimo... quella donna, o quell'essere, o quella cosa, per meglio dire, non si trovava lì per caso. Aspettava me!
- Come ti chiami, le chiesi,
- Doriella, ma gli amici mi chiamano CURTULIDDU!!!"