Eccovi l'analisi che fa FIAB (Federazione italiana amici della bicicletta) della sicurezza stradale in Italia.
Milano, 3 settembre 2005
comunicato stampa
INCIDENTI MORTALI IN BICICLETTA
NEANCHE LA CORAZZA PUO' PROTEGGERE UN CICLISTA
DAL TRAFFICO VELOCE E DALLE STRADE A RISCHIO
L'INTERVENTO DEL RESPONSABILE SICUREZZA STRADALE
FIAB.
In Italia ci sono più ciclisti vittime della strada che in Europa.
E' il risultato di una elaborazione dei dati ISTAT del 2003
sugli incidenti stradali effettuata da Centauro-Asaps (Associazione
sostenitori amici polizia stradale). Nei giorni scorsi, per un
attimo, giornali e televisioni hanno acceso i riflettori sull'argomento
dando voce anche ad "esperti" che forse in bici non vanno abitualmente.
Sull'argomento la Fiab chiede spazio e attenzione da parte di giornali e
Tv.
Cosa fare? Vietare a bambini ed adulti di andare in bicicletta, obbligare
i ciclisti ad indossare una corazza (perchè un casco servirebbe a ben
poco in una collisione con un'auto) o interrogarsi su come sono
costruite le strade italiane e su come organizzare un sistema di sicurezza
stradale che garantisca indistintamente a tutti gli utenti della strada,
a partire da quelli lenti e non motorizzati (bambini, pedoni, ciclisti,
anziani e disabili), il diritto individuale a muoversi senza correre il
rischio di essere investiti?
Sull'argomento interviene il responsabile nazionale Fiab per la sicurezza
stradale, ing. Edoardo Galatola.
"La recente indagine statistica, che ha evidenziato la preponderanza di
ciclisti tra i morti sulla strada - con la percentuale più alta in Europa -
rilancia un interrogativo: è sicuro andare in bicicletta?
In realtà la domanda corretta è un'altra: sono sicure le strade italiane?
La risposta è NO, perché la sicurezza stradale in Italia è oggetto di
saltuarie campagne di informazione, ma continua a non essere affrontata
strutturalmente.
Gli oltre 7.000 morti (di cui oltre 300 ciclisti, ma anche 800 pedoni e
1.200 motociclisti) e i 300.000 feriti (di cui 10.000 ciclisti, 16.000
pedoni e 70.000 motociclisti) che restano sulle strade ogni anno
rappresentano quasi il 30% dell'intera mortalità per cause accidentali e la
prima causa di morte insieme agli incidenti domestici. Si tratta di un
numero 7 volte maggiore delle morti sul lavoro e la prima causa di morte
dei giovani fino a 34 anni.
Così rilevante è il problema della sicurezza stradale che la Comunità
Europea ne ha fatto oggetto di sue Direttive, imponendo agli Stati membri
di dimezzare il numero di vittime e incidenti entro il 2010.
In Italia è stato istituito dalla L. 144/99 il Piano Nazionale della
Sicurezza Stradale, i cui già scarsi finanziamenti che ammontavano a 1
miliardo di euro/anno - è interessante notare - sono stati annullati
nell'ultimo anno e dirottati su altre iniziative del Governo (riduzione
delle tasse?).
Per dare un'idea dei costi indotti dalla mancanza di sicurezza stradale,
ricorderemo che l'onere sociale stimato - derivante dai 7.000 morti e
300.000 feriti annui - ammonta ad oltre 34 miliardi di euro (l'equivalente
di una finanziaria da brivido), pari a 600 euro per ogni italiano. Eppure
mediamente l'Italia dedica al miglioramento della sicurezza stradale
circa 5 euro pro-capite, contro i 30-40 investiti in Francia, Regno Unito,
Svezia e Finlandia (dati 2002 elaborati dalla Consulta Nazionale della
Sicurezza Stradale).
In realtà sarebbero necessari interventi strutturali sulla viabilità
cittadina ed extra-urbana: una macchina a 50 km/h in una zona residenziale
è un'arma impropria (basta verificare lo sviluppo delle "zone 30" in
Svizzera e nella più vicina Cattolica), così come un veicolo a 80 km/h, su
strada che collega piccoli centri abitati, costituisce un rischio per tutti gli
utenti della strada (in Gran Bretagna rotonde ben progettate impediscono in
tutto il paese di superare anche in rettilineo le velocità stabilite).
A fronte di questi dati, risulta evidente che la soluzione per la sicurezza
dei ciclisti non sia smettere di andare in bicicletta e nemmeno utilizzare
seggiolini per i bimbi o caschi omologati, sicuramente utili in una
passeggiata su pista ciclabile, ma non di particolare aiuto per resistere
all'urto con un veicolo veloce, se si pensa che lo stesso casco è omologato
per un impatto fino a 23 km/h.
È interessante notare che i Paesi che registrano le maggiori quote di
spostamenti su bicicletta (Olanda, Danimarca, Germania) sono anche quelli
dove, tendenzialmente, si determinano più elevati livelli di sicurezza per i
ciclisti. Si manifesta cioè una correlazione diretta tra il livello di
diffusione (spostamenti su popolazione) e il livello di sicurezza (numero di
vittime per volume di spostamento).
Questa correlazione può essere interpretata in due modi, non alternativi tra
loro:
a) si usa di più la bicicletta laddove le infrastrutture e la
regolamentazione del traffico assicurano elevati livelli di sicurezza a
questa modalità di spostamento;
b) nei Paesi dove un'ampia quota di popolazione usa la bicicletta per
gli spostamenti abituali, i responsabili della sicurezza stradale dedicano
maggiore attenzione alla sicurezza dei ciclisti.
E' proprio per queste considerazioni che la Federazione Italiana Amici
della Bicicletta (riconosciuta con decreto del Ministro LL.PP. quale organismo
di comprovata esperienza nel settore della prevenzione e della sicurezza
stradale) propugna un uso capillare della bicicletta, come mezzo di
trasporto e di svago, e ritiene che educare i bambini a utilizzarla per
piccoli spostamenti in città, ovviamente su percorsi sicuri, contribuisca a
formare futuri utenti della strada più responsabili".
Lello Sforza
Ufficio Stampa FIAB onlus
(Federazione Italiana Amici della Bicicletta)
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