Tutto si paga.
Quando un mercoledì lavorativo decidi di fare sega ed andare in bici a zonzo per le montagne, nel tuo intimo lo sai che ci sarà, per forza, una prezzo da pagare.
E così quando il mio socio Tottero mi ha chiamato, la settimana scorsa, proponendomi unuscita infrasettimanale, una vocetta in lontananza mi è parso di sentirla vedraiiiiiiii ....
Nel frattempo, gli altri usuali compagni, chi con una scusa chi con laltra si sono defilati. Siamo rimasti in due.
Sarà per il fatto dellinfrasettimanali
Sarà per il rischi intrinseco legato ai giri creativi del mio socio.
Fattostà che, ieri, sulla Laga, è stata una vera lotta per la sopravvivenza.
Il luogo della tragedia sono stati i monti della Laga, al confine tra il Lazio e le Marche, montagne strepitose che arrivano fino ai 2.400, piazzate a metà tra il gran Sasso ed i Sibillini. Solo roccia, grandi prati scoscesi, cascate, torrenti e pastori macedoni. Il deserto assoluto.
Cercando di contenere lesuberanza esplorativa del mio socio, avevo scelto quello che, sulla carta, mi era parso il giro più fattibile dei quattro proposti. Una 50ina di KM per un 1.900 mt di dislivello. In gran parte su strade sterrate e sentieri segnati.
Partenza ore 9.00 da Umito, frazione sopra Acquasanta Terme.
Subito si affronta una decisa salita su per una bella strada forestale sempre pedalabile, in 12 km siamo in cima con 1000 mt di dislivello in meno da fare. Bella vista del Vettore, a nord, del Grande Sercio a sud, e tutta la catena della Laga a nostra disposizione.
Prati verdissimi, ruscelli e cascate gonfi dacqua ci invogliano a continuare il nostro giro esplorativo. E così si parte, tagliando il pendio sotto Macera della Morte: E tutto un susseguirsi di guadi, cascate e prati e sentieri da pecore. Pizzo di Sevo e Cima Lepri incombono severe alla nostra destra. Primo guado, secondo guado, terzo guado ... mmm ma quanti cazzo di canali dobbiamo ancora attraversare????
La prima avvisaglia del fatto che sarebbe stata una giornata particolare la percepisco al primo attraversamento del roveto ardente. Le piogge, questanno, sono state prodigiose e la natura è esplosa in tutto il suo fulgore. Fattostà che ad un certo punto linesistente sentiero che seguiamo da unora passa esattamente al centro di uno sterminato campo di cardi in fiore e di ... rigogliosissime ortiche!!! Non cè niente da fare, non si può aggirarlo. Tocca attraversare!!!
Allattraversamento del terzo campo di ortiche il povero passolento, ricoperto di pustole come un lebbroso medioevale, inizia a tirare giù una serie di moccoli dinenarrabile volgarità. Nel cielo sereno sode un rombo di tuono.
Lo spettacolo magnifico del lato est delle montagne non distrae il poveretto dai terribili propositi di vendetta nei confronti dellormai odiato compagno.
E solo linizio, abbiamo fatto a malapena i primi 16 km ...
Arrivati alle pendici del Pizzo di Moscio, guadato, lennesimo cazzo di torrente, individuiamo un sentiero di capre che sinoltra nel bosco. Qui lunico momento di svago della giornata quando, terminata la traccia dedicata agli orrendi animali barbuti (ma quanto cacano!) troviamo la forestale che scende verso valle.
10 minuti di discesa a palla, ma è piena di fango, mi lordo come un maiale e buco perdipiù (era più di un anno che non mi capitava).
Ora siamo in fondo ad una ripida ed ubertosa gola, mi guardo attorno e chiedo lumi Tottero linventore del giro. e mo ndo annamo??? lui mi indica la solita strada forestale, poche centiania di metri di dislivello, gimo di quà, svoltiamo dillà e siamo di nuovo in cima. No problems è tutto sotto controllo tempo mezzora e siamo in cima. Due ore dopo arranco per lorrida salita, il maledetto traffica con le sue ferraglie tecnologiche alla ricerca della traccia perduta. Fa un caldo africano, siamo in bici da 7 ore e non ho più da tempo una goccia di liquido con cui dissetarmi. A valle odo beffardi scrosci dacqua delle numerose cascate. Ho le allucinazioni. Mi immagino immerso in chiare e fresche acque, contornato da giovani ninfe ignude. Ed invece mi ritrovo a pedalare su questo maledetto stradello, sporco, sudato e pieno di bolle. Il mio culo canta tutto Sanremo anni 70!
Infine si ritrova la traccia, siamo in cima, finalmente. Ora, assicura il totteraccio maledetto, il Sentiero Italia ci riporterà, per una larga e piacevole discesa, allagognata meta. Vedrai che sballo.
Appunto!
E qui la giornata prende la piega della tragedia. Altre interminabili ore si snodano una appresso allaltra, passate a districarsi in unimpenetrabile boscaglia alla ricerca del famoso sentiero cancellato dal tempo, la bici, odiato pezzo di schifoso e pesante metallo, portata in spalla, scaraventata al dilà dei numerosi ostacoli od usata, come ariete, per sfondare le impenetrabili barriere di rovi che, decenni dincuria, han fatto crescere sul famoso sentiero. Oramai è una lotta per la sopravvivenza. Inizio a fare linventario del materiale: due barrette, un mezzo panino, un litro dacqua, il telo termico e laccendino. Posso passare la notte nel bosco anche se adesso, con lapprossimarsi del tramonto, nuguli di orrendi insetti banchettano con il mio sangue. Mi sinsinua nella mente la possibilità di rimanere sperduto per più giorni ... progetto di mangiarmi il mio paffuto compagno di gite.
E quasi notte quando, oramai naufraghi nella giungla, sfondiamo lultimo muro di rovi e, magia, sotto i piedi ci troviamo lasfalto. Una breve e muta discesa ci riporta alla civiltà di un bar dove mi scolo una birra mondiale dopo aver spedito a pedate il totteraccio maledetto, lui e tutta la sua progenie, a pietire un passaggio per coprire gli ultimi 10 chilometri di bitume che, in salita, ci separano dal posto dove abbiamo lasciato la macchina.
Ho pustole ed escoriazioni nel 70% del mio corpo, spine che ci metteranno settimane ad uscire, un taglio lacerocontuso sullo stinco destro che meriterebbe un paio di punti, sono sporco e sfinito. Il mio culo assomiglia a quello di un eunuco di un bordello di Tangeri.
Alla fine, seppur accorciando il giro originariamente partorito dalla mente malata del mio compagno, ne son venuti fuori 60 km per 2.200 mt di dislivello, 11 ore in sella.
Nel viaggio dio ritorno ho già perdonato il totteraccio maledetto. Sarà anche merito delle numerose birre!
Menomale che domani torno a lavorà!
PS adesso, il laido tottero, posterà foto fantastiche, panorami mozzafiato, passaggi spettacolari ... nella mia memoria, però, questa rimarrà indelebilmente impressa come L'IMPERATRICE DELLE MINKIAGGGITE!!!!
Quando un mercoledì lavorativo decidi di fare sega ed andare in bici a zonzo per le montagne, nel tuo intimo lo sai che ci sarà, per forza, una prezzo da pagare.
E così quando il mio socio Tottero mi ha chiamato, la settimana scorsa, proponendomi unuscita infrasettimanale, una vocetta in lontananza mi è parso di sentirla vedraiiiiiiii ....
Nel frattempo, gli altri usuali compagni, chi con una scusa chi con laltra si sono defilati. Siamo rimasti in due.
Sarà per il fatto dellinfrasettimanali
Sarà per il rischi intrinseco legato ai giri creativi del mio socio.
Fattostà che, ieri, sulla Laga, è stata una vera lotta per la sopravvivenza.
Il luogo della tragedia sono stati i monti della Laga, al confine tra il Lazio e le Marche, montagne strepitose che arrivano fino ai 2.400, piazzate a metà tra il gran Sasso ed i Sibillini. Solo roccia, grandi prati scoscesi, cascate, torrenti e pastori macedoni. Il deserto assoluto.
Cercando di contenere lesuberanza esplorativa del mio socio, avevo scelto quello che, sulla carta, mi era parso il giro più fattibile dei quattro proposti. Una 50ina di KM per un 1.900 mt di dislivello. In gran parte su strade sterrate e sentieri segnati.
Partenza ore 9.00 da Umito, frazione sopra Acquasanta Terme.
Subito si affronta una decisa salita su per una bella strada forestale sempre pedalabile, in 12 km siamo in cima con 1000 mt di dislivello in meno da fare. Bella vista del Vettore, a nord, del Grande Sercio a sud, e tutta la catena della Laga a nostra disposizione.
Prati verdissimi, ruscelli e cascate gonfi dacqua ci invogliano a continuare il nostro giro esplorativo. E così si parte, tagliando il pendio sotto Macera della Morte: E tutto un susseguirsi di guadi, cascate e prati e sentieri da pecore. Pizzo di Sevo e Cima Lepri incombono severe alla nostra destra. Primo guado, secondo guado, terzo guado ... mmm ma quanti cazzo di canali dobbiamo ancora attraversare????
La prima avvisaglia del fatto che sarebbe stata una giornata particolare la percepisco al primo attraversamento del roveto ardente. Le piogge, questanno, sono state prodigiose e la natura è esplosa in tutto il suo fulgore. Fattostà che ad un certo punto linesistente sentiero che seguiamo da unora passa esattamente al centro di uno sterminato campo di cardi in fiore e di ... rigogliosissime ortiche!!! Non cè niente da fare, non si può aggirarlo. Tocca attraversare!!!
Allattraversamento del terzo campo di ortiche il povero passolento, ricoperto di pustole come un lebbroso medioevale, inizia a tirare giù una serie di moccoli dinenarrabile volgarità. Nel cielo sereno sode un rombo di tuono.
Lo spettacolo magnifico del lato est delle montagne non distrae il poveretto dai terribili propositi di vendetta nei confronti dellormai odiato compagno.
E solo linizio, abbiamo fatto a malapena i primi 16 km ...
Arrivati alle pendici del Pizzo di Moscio, guadato, lennesimo cazzo di torrente, individuiamo un sentiero di capre che sinoltra nel bosco. Qui lunico momento di svago della giornata quando, terminata la traccia dedicata agli orrendi animali barbuti (ma quanto cacano!) troviamo la forestale che scende verso valle.
10 minuti di discesa a palla, ma è piena di fango, mi lordo come un maiale e buco perdipiù (era più di un anno che non mi capitava).
Ora siamo in fondo ad una ripida ed ubertosa gola, mi guardo attorno e chiedo lumi Tottero linventore del giro. e mo ndo annamo??? lui mi indica la solita strada forestale, poche centiania di metri di dislivello, gimo di quà, svoltiamo dillà e siamo di nuovo in cima. No problems è tutto sotto controllo tempo mezzora e siamo in cima. Due ore dopo arranco per lorrida salita, il maledetto traffica con le sue ferraglie tecnologiche alla ricerca della traccia perduta. Fa un caldo africano, siamo in bici da 7 ore e non ho più da tempo una goccia di liquido con cui dissetarmi. A valle odo beffardi scrosci dacqua delle numerose cascate. Ho le allucinazioni. Mi immagino immerso in chiare e fresche acque, contornato da giovani ninfe ignude. Ed invece mi ritrovo a pedalare su questo maledetto stradello, sporco, sudato e pieno di bolle. Il mio culo canta tutto Sanremo anni 70!
Infine si ritrova la traccia, siamo in cima, finalmente. Ora, assicura il totteraccio maledetto, il Sentiero Italia ci riporterà, per una larga e piacevole discesa, allagognata meta. Vedrai che sballo.
Appunto!
E qui la giornata prende la piega della tragedia. Altre interminabili ore si snodano una appresso allaltra, passate a districarsi in unimpenetrabile boscaglia alla ricerca del famoso sentiero cancellato dal tempo, la bici, odiato pezzo di schifoso e pesante metallo, portata in spalla, scaraventata al dilà dei numerosi ostacoli od usata, come ariete, per sfondare le impenetrabili barriere di rovi che, decenni dincuria, han fatto crescere sul famoso sentiero. Oramai è una lotta per la sopravvivenza. Inizio a fare linventario del materiale: due barrette, un mezzo panino, un litro dacqua, il telo termico e laccendino. Posso passare la notte nel bosco anche se adesso, con lapprossimarsi del tramonto, nuguli di orrendi insetti banchettano con il mio sangue. Mi sinsinua nella mente la possibilità di rimanere sperduto per più giorni ... progetto di mangiarmi il mio paffuto compagno di gite.
E quasi notte quando, oramai naufraghi nella giungla, sfondiamo lultimo muro di rovi e, magia, sotto i piedi ci troviamo lasfalto. Una breve e muta discesa ci riporta alla civiltà di un bar dove mi scolo una birra mondiale dopo aver spedito a pedate il totteraccio maledetto, lui e tutta la sua progenie, a pietire un passaggio per coprire gli ultimi 10 chilometri di bitume che, in salita, ci separano dal posto dove abbiamo lasciato la macchina.
Ho pustole ed escoriazioni nel 70% del mio corpo, spine che ci metteranno settimane ad uscire, un taglio lacerocontuso sullo stinco destro che meriterebbe un paio di punti, sono sporco e sfinito. Il mio culo assomiglia a quello di un eunuco di un bordello di Tangeri.
Alla fine, seppur accorciando il giro originariamente partorito dalla mente malata del mio compagno, ne son venuti fuori 60 km per 2.200 mt di dislivello, 11 ore in sella.
Nel viaggio dio ritorno ho già perdonato il totteraccio maledetto. Sarà anche merito delle numerose birre!
Menomale che domani torno a lavorà!
PS adesso, il laido tottero, posterà foto fantastiche, panorami mozzafiato, passaggi spettacolari ... nella mia memoria, però, questa rimarrà indelebilmente impressa come L'IMPERATRICE DELLE MINKIAGGGITE!!!!