Piccola premessa per chi mi legge ma non è delle nostre parti: la ciclabile del Conca non è una di quelle ciclabili del nord Italia, asfaltate, larghe, delle mezze strade insomma. Si tratta di un percorso largo non più di tre metri, dove nei punti più larghi ci passano comodamente due MTB, non di più; in alcuni tratti si riduce a poco più di un singletrail; il fondo è brecciato ma non particolarmente liscio, si sviluppa sulle sponde del fiume Conca, a tratti si interrompe, per poi riprendere poco dopo.
Detto questo, tutti hanno capito di cosa si tratta, anche chi non conosce la nostra vallata.
Ieri mattina, come già raccontato, affrontiamo la ciclabile sulla sponda destra, nella parte più vicina al mare, poi l'abbandoniamo per riprenderla in zona Frantoio, dove ci aspettiamo che ci sia meno fango (è qui che finiva il capitolo precedente).
Io chiudo il gruppo e so che all'imbocco di quel tratto c'è una pozzanghera di un paio di metri, visto che ci ero passato almeno un paio di volte negli ultimi giorni.
La pozzanghera c'è e come ci si può aspettare, vista la pioggia sempre più battente che ormai dura da oltre una decina di ore, è più grande di quello che era nei giorni precedenti. Nessuno però si poteva immaginare che la pozzanghera fosse di oltre tre chilometri!
A dire il vero non si tratta di una pozzanghera ma di un torrente che scorre, con altezza dall'acqua dai dieci ai venti centimetri, contrario al nostro incedere.
Raffaele, in testa, mantiene alto il ritmo e nei tratti rettilinei io posso vedere il lungo serpentone dei 17 bikers (ormai non c'è più differenza tra Svizzeri e Locals) che incedono in precisa fila indiana, con distanze ridotte e costanti l'uno dall'altro.
Ogni MTB alza due ampi raggi di acqua, nessuno molla, io pedalo con il 44, gli altri con rapporti forse di poco più agili.
Schiviamo le ginestre come paletti dello slalom, continuiamo a non vedere il fondo del sentiero ma solo acqua, acqua, acqua, sopra, sotto, da tutte le parti.
E' a questo punto che incomincio a non sentire più la pioggia, non vedo più le gocce d'acqua che mi si depositano sugli
occhiali, non sento più gli schizzi sollevati dalle mie gomme da 2.20, pedalo e vedo che davanti a me fanno altrettanto, il freddo non lo sento più da un pezzo: il ritmo tenuto dalla testa del gruppo mi scalda a sufficienza, il mio giubbetto ha perso la sua impermeabilità ormai molti chilometri a valle, ora serve solo da antivento, ma è sufficiente, in questo momento incomincio veramente a divertirmi.
Continuiamo a pedalare, tutti insieme, ancora in fila indiana, le MTB davanti a me sollevano l'acuqa e mi permettono, per un istante, di vedere le tracce sul fondo del percorso lasciate dai primi, immediatamente dopo, l'acqua torna ad occupare tutta l'ampiezza del sentiero e a nascondermi quello che c'è sotto.
In lontananza, dietro una curva, vedo due gambe più in alto di un corpo ed un corpo più in alto di una MTB, un istante dopo
nuotando a dorso, il biker raggiunge la riva e la sua MTB galleggiando si spiaggia sulla riva opposta, mi sincero delle condizioni dello Svizzero: "OK", mi dice; la MTB sembra a posto, si rialzano entrami e riprendono lì da dove avevano interrotto.
Mi sto divertendo come un pazzo ma, come tutte le cose belle, anche questa deve finire.
Arriviamo al parco di Morciano e lo attraversiamo per raggiungere l'asfalto; nei vialetti brecciati, nuotano tranquillamente diverse paperette; mi era già capitato di pedalare evitando gatti, cani e pure cinghiali, lepri e caprioli, una volta addirittura una coppia di cerbiatti, ma le paperette NO, non me le ero mai trovate sui miei percorsi. Non preoccupatevi: anche loro, come noi, erano nel loro ambiente ideale e anche loro, come noi, hanno continuato a divertirsi sguazzando nell'acqua.
Usciamo dal parco, c'è l'ammiraglia con Marco al volante, ne' io ne' Raffaele ce ne accorgiamo, io me ne rendo conto solo cento metri dopo averlo incrociato e lo faccio presente anche a Raffaele.
Ci risvegliamo assieme dall'estasi pedalatoria-canoistica e proseguiamo.