A cinquanta sotto zero sull'Himalaya l'impresa di Moro in diretta sul blog
Simone Moro, 43 anni, è partito per il Karakorum il
L'ultima frontiera dell'alpinismo: assalto al Gasherbrum II gelato
L'alpinista racconta su Internet la vita tra sacco a pelo e slavine: "Paura? Non ci penso nemmeno"
TORINO
E’ l’ultima frontiera dell’alpinismo estremo: l’assalto alle vette dell’Himalaya, in pieno inverno, a piedi nella tempesta. Una scalata a cinquanta sotto zero resa ancora più difficile dal pericolo valanghe e dal vento sferzante. A riportare le cime asiatiche sotto i riflettori, quindici anni dopo le imprese dei polacchi negli Anni Ottanta, è Simone Moro, alpinista bergamasco partito il 27 dicembre per il Karakorum pachistano con il kazako Denis Urubko e l’americano Cory Richards. L’obiettivo è la scalata al Gasherbrum II, 8.035 metri. La prima in inverno. La prima, tra l’altro, ad essere raccontata in diretta Web.
Moro, 43 anni, ha firmato l'impresa più clamorosa nel 2005 sullo Shisha Pangma (8027 metri), e tre anni dopo ha bissato l’exploit sul Makalu (8.463 metri). «Ho contribuito – ha raccontato prima della partenza - a far tornare la voglia di scalare d’inverno, quando tutto è più difficile ma anche più appagante. È un merito che mi prendo e che divido con i miei compagni di cordata. L’alpinismo invernale - continua Moro - mi ha sempre interessato per il suo forte spirito esplorativo, ha tutto un altro sapore. Anche la sconfitta ha il gusto della vittoria. Considero affascinante, quasi un privilegio, trovare campi base e trekking deserti, senza anima viva. Sembra di tornare all’Himalaya selvaggio e inospitale di 100 anni fa».
Medaglia d’oro al valor civile per aver salvato uno scalatore inglese sul Lhotse, Simone ha scalato sette Ottomila, tra cui quattro volte l’Everest. «Ho alle spalle 44 spedizioni - dice - di cui 10 in invernale. So di avere una grande ambizione, che generalmente può costituire un problema se è cieca e sorda. Io ho saputo rinunciare ad una manciata di metri dalla vetta sia sul Broad Peak sia sull’Annapurna, non sono un folle».
L’operazione K4 è raccontata in tempo reale sul sito Mountainblog.it, con collegamenti audio quotidiani e foto. Un modo, spiega Moro, per condividere l’impresa. «Vivere tre mesi in queste condizioni- dice - con il sacco a pelo come unico riscaldamento, ti mette a durissima prova anche nelle esigenze più banali. La costanza del freddo, l’isolamento, il vento mostruoso sono i principali problemi da affrontare, 24 ore su 24. È un ambiente inumano». Paura? «Non prendo in considerazione minimamente l’ipotesi di lasciarci la pelle. La passione per la montagna è come l’amore, non ha convenienze. E io voglio una vita piena, intensa, ma non conveniente».
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Simone Moro, 43 anni, è partito per il Karakorum il
L'ultima frontiera dell'alpinismo: assalto al Gasherbrum II gelato
L'alpinista racconta su Internet la vita tra sacco a pelo e slavine: "Paura? Non ci penso nemmeno"
TORINO
E’ l’ultima frontiera dell’alpinismo estremo: l’assalto alle vette dell’Himalaya, in pieno inverno, a piedi nella tempesta. Una scalata a cinquanta sotto zero resa ancora più difficile dal pericolo valanghe e dal vento sferzante. A riportare le cime asiatiche sotto i riflettori, quindici anni dopo le imprese dei polacchi negli Anni Ottanta, è Simone Moro, alpinista bergamasco partito il 27 dicembre per il Karakorum pachistano con il kazako Denis Urubko e l’americano Cory Richards. L’obiettivo è la scalata al Gasherbrum II, 8.035 metri. La prima in inverno. La prima, tra l’altro, ad essere raccontata in diretta Web.
Moro, 43 anni, ha firmato l'impresa più clamorosa nel 2005 sullo Shisha Pangma (8027 metri), e tre anni dopo ha bissato l’exploit sul Makalu (8.463 metri). «Ho contribuito – ha raccontato prima della partenza - a far tornare la voglia di scalare d’inverno, quando tutto è più difficile ma anche più appagante. È un merito che mi prendo e che divido con i miei compagni di cordata. L’alpinismo invernale - continua Moro - mi ha sempre interessato per il suo forte spirito esplorativo, ha tutto un altro sapore. Anche la sconfitta ha il gusto della vittoria. Considero affascinante, quasi un privilegio, trovare campi base e trekking deserti, senza anima viva. Sembra di tornare all’Himalaya selvaggio e inospitale di 100 anni fa».
Medaglia d’oro al valor civile per aver salvato uno scalatore inglese sul Lhotse, Simone ha scalato sette Ottomila, tra cui quattro volte l’Everest. «Ho alle spalle 44 spedizioni - dice - di cui 10 in invernale. So di avere una grande ambizione, che generalmente può costituire un problema se è cieca e sorda. Io ho saputo rinunciare ad una manciata di metri dalla vetta sia sul Broad Peak sia sull’Annapurna, non sono un folle».
L’operazione K4 è raccontata in tempo reale sul sito Mountainblog.it, con collegamenti audio quotidiani e foto. Un modo, spiega Moro, per condividere l’impresa. «Vivere tre mesi in queste condizioni- dice - con il sacco a pelo come unico riscaldamento, ti mette a durissima prova anche nelle esigenze più banali. La costanza del freddo, l’isolamento, il vento mostruoso sono i principali problemi da affrontare, 24 ore su 24. È un ambiente inumano». Paura? «Non prendo in considerazione minimamente l’ipotesi di lasciarci la pelle. La passione per la montagna è come l’amore, non ha convenienze. E io voglio una vita piena, intensa, ma non conveniente».
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