Io l'ho sentito.
Ho sempre la maglia del principiante, per carità, eppure un bel giorno in me scattò qualcosa.
Fu il passaggio da un certo tipo di ciclista ad un altro tipo di ciclista.
Niente di fantascientifico, non diventai un iron man né fino a quel momento ero un ciclista della domenica (che brutta definizione, come se ci fosse qualcosa di male ad andare in bici la domenica che magari è l'unico giorno libero).
Però qualcosa scattò e fece clic.
Mi successe su una salita che oggi, dopo quasi tre anni giudico facile, che porta a Tivoli da Roma.
Non saranno neanche 250 metri di dislivello, ed è lunga 5 km., quindi con pendenze modeste.
Eppure era il mio muro.
Una volta arrivai fin dove iniziava e tornai indietro senza neanche pensarci un attimo, pensando che non era cosa.
Un'altra volta misi il piede a terra, arrivai su contento, non contentissimo ma fiducioso.
La volta dopo il piede lo misi giù due volte, e mi depressi, non fosse altro perché era il giorno in cui arrivava una tappa del Giro d'Italia, e mi superavano persone in moto senza motore.
Poi un giorno ci riprovai.
Le gambe erano più o meno quelle, il fiato pure, credo nella media di un trentottenne che non si è sfasciato sotto i colpi del lavoro, della famiglia e della vita.
Però avevo un'altra testa.
Fino ad allora prendevo le difficoltà, una salita ma qualunque altra cosa, in apnea.
Un imprevisto da superare di corsa.
Era sempre stato così, anche nella vita, ho sempre cercato di superare come un treno i problemi, ma li ho sempre vissuti con sofferenza e preoccupazione, come se la vita dovesse essere sempre in discesa.
Questa fretta però alle volte si strutturava, diventava ansia da prestazione, e il mio senso di responsabilità faceva il resto.
Così mi ritrovavo spesso mentalmente in attesa, come se aspettassi sempre qualche rogna da saltare, preoccupandomi anche quando da preoccuparsi non c'era.
Niente di grave, un tipo sanamente apprensivo.
E con la bici era uguale: pensavo alla prossima salita, e non alla prossima discesa, o semplicemente a pedalare.
Ma quel giorno capii, fu veramente come sentire un clic, perché mi si svuotò la mente, presi a fregarmene di tutto e a pensare solo ad andare, e arrivai in cima felice.
Da quel giorno non mi sono più fermato, i dislivelli sono aumentati e ogni tanto mi ritrovo a fare quella che io chiamo l'impresa, cioé qualcosa di più, che per molti sarà poco ma non per me.
Nella vita di tutti i giorni mi capita ancora di preoccuparmi un pò troppo (chi nasce tondo....), ma ci sto lavorando e devo dire che funziona, penso che l'importante sia andare, proprio come in bici, e che la destinazione non conti poi così tanto.
E poi che ci saranno sempre le salite, magari sempre di più, ma che è inutile starci su a pensare mentre voli in discesa, o semplicemente te la godi in un bel single-track spinto in pianura.
Ammazza che pilotto!
Claudio
Dimenticavo: ma voi avete mai sentito un clic?
--- EDIT: Argh! pensavo di essere su Emozioni, non su Principianti! Spostatemi, prima che quei pochi che mi credono esperto rimangano sconvolti dal mio outing!!
complimenti! bella!
ciao