Ieri esco per fare un giro, era una di quelle giornate in cui ti trascini un po' fuori dal letto, non hai dormito molto bene, non ti senti particolarmente in forma, una parte di te ha voglia di uscire per sfruttare quello che potrebbe essere uno degli ultimi buoni weekend autunnali, l'altra vorrebbe rimanere a casa a poltrire, il piumone ti guarda con occhi languidi e le braccia aperte.
a Milano alle sette di mattina sollevate le tapparelle mi sorprende il primo nebbione di stagione, un nebbione fittissimo che quasi non si vede la casa di fronte, penso che forse allora è il destino. Per scrupolo cerco su internet le webcam di Como, la zona designata per l'escursione, e vedo che lì c'è il sole e il cielo azzurro: dai su allora si parte. Preparo lo zaino, faccio colazione con qualche biscotto e mi dirigo alla stazione. Salgo sul treno, la nebbia insiste fin verso Saronno poi si dirada e come previsto appare il sole. Arrivo a Como, sono circa le dieci, non fa caldissimo, sono tutti in maniche lunghe, qualcuno per strada ha già tirato fuori il piumino. A pochi metri dalla stazione mi dirigo alla funicolare che avevo in programma di prendere, mi colpisce che non ci sia nessuno in coda, mi avvicino e vedo dei fogli appesi alle vetrate: è chiusa per manutenzione.
Il piano era di sfruttare la funicolare fino a Brunate per saltare circa 6 km di strada asfaltata al 10% di pendenza media, angusta, ripida e trafficata che non ha niente da offrire se non la fatica di percorrerla e gli insulti degli automobilisti, per poi fare il percorso della dorsale che molti della zona probabilmente conoscono.
Penso un attimo sul da farsi, guardo sul telefono se da lì posso puntare qualche altra meta, dopo un breve conciliabolo con me stesso decido di rimanere sul mio obiettivo, anche perché era già abbastanza tardi.
Non avevo mai fatto la strada di Brunate ma la conoscevo di fama come abbastanza tosta, Infilo la salita che dal vialone principale di Como subito si presenta come un nastro d'asfalto diritto e verticale. La strada continua cattiva, imbocco i primi tornanti maledicendo i lavori alla funicolare. vengo continuamente schivato dalle automobili, la carreggiata è stretta, fa il filo a muri e cancellate e il traffico abbastanza sostenuto, qualche cane mi abbaia da dentro i cortili, non c'è nulla che contribuisca a migliorare l'umore. Tornante dopo tornante sento subito la fatica, mi monta addosso un certo scoramento e nella testa inizio a accampare ogni sorta di scusa per fermarmi "fa freddo, ho mangiato poco, dormito male, non sento le gambe girare": conto i tornanti come le tappe della via crucis.
Dopo qualche chilometro mi fermo per davvero su un tornante perché due auto, due di quei suv larghi quanto una corriera, si incrociano davanti a me e non ci passano: inizia la danza tra i due mezzi per riuscire a svincolarsi dalla situazione. Sono fermo, rifiato respirando affannosamente e ingurgitando i gas di scarico della coda di macchine al mio fianco che non spengono il motore, vorrei fare due chiacchiere con quelli che sostengono che sono i ciclisti a rompere le balle agli automobilisti la domenica sulle salite.
Ne approfitto per smangiucchiare qualcosa dato che avevo fatto una colazione leggera non avendo in previsione la lunga salita. le auto si sbloccano, il traffico riparte, io no, finisco di fare ciò che sto facendo. Inizio a pensare che quasi quasi meglio se giro la bici, vado a farmi un giro in centro a Como e sul lungo lago che è sempre bello ed è un po' che non ci passo e poi torno a casa presto a fare qualcos'altro.
Mentre mi sono quasi deciso a mollare il colpo e sono lì lì per girare la bicicletta mi supera all'interno del tornante un ragazzo in bici, giovane, faccia pulita, facendomi un sorriso a mezza bocca spezzato dal ghigno della fatica. Lo seguo con lo sguardo mentre si allontana, c'è qualcosa di strano ma non riesco subito a mettere a fuoco cosa.
lo guardo meglio: Ha una gamba sola.
Primo pensiero "vorrei che lo vedesse chi denigra le bici a pedalata assistita e dice che servono solo ai ciclisti da divano". Guardo il movimento centrale e il tubo obliquo, non c'è niente, batteria, motore, cavi, niente, è una bicicletta normalissima. La pedalata è si assistita, ma dal cuore e dalla volontà di quel ragazzo. Lui continua, diritto, deciso, su una delle salite tra le più dure della zona, guardarlo è onestamente uno spettacolo.
Reset mentale. Le scuse non sono più contemplate, si è detto che si va su e si va su.
Riprendo a pedalare, magari riesco anche a ribeccarlo e lo saluto, ci scambio due chiacchiere, gli manifesto la mia ammirazione, una cosa tra l'altro che probabilmente avrebbe fatto sentire meglio me che lui.
Tengo lo sguardo su di lui che adesso sarà 50 metri avanti a me ma invece che avvicinarsi lo vedo allungare e sparire nel giro di un paio di tornanti, salendo come uno stambecco. sono stato sganciato in salita come un sacco di patate da un ragazzo con una gamba sola. Sorrido.
Un tempo li chiamavano handycappati. Poi qualcuno ha pensato che era meglio disabili. Ora diversamente abili. Chissà quante volte qualcuno, magari di quelli che vanno in macchina pure a prendere il pane e il giornale, che non lo ha visto su una bici lo ha chiamato diversamente abile con quel tono un po' pietoso o condiscendente senza rendersi conto del vero significato che quelle parole hanno nel suo caso, un po' come dire che Cancellara o Froome sono dei diversamente abili rispetto al ciclista medio.
Morale: non l'ho più visto, ne ridiscendere e nemmeno in cima, perché poi, 5 km di rampe e tornanti dopo, in cima proprio spinto da quel fugace intreccio di storie ci sono arrivato e in fin dei conti non è stata nemmeno così dura. Mi sono fatto tutto il giro che mi ero prefissato e nonostante il freddo, l'umido e i tratti a spinta me lo sono goduto tutto, sicuramente più che un altro giro a guardar vetrine nel centro di Como.
L'ennesima riprova, se ce ne fosse bisogno, che davanti a una salita, qualsiasi tipo di salita, metà della pendenza ce la mette la strada ma l'altra metà ce la mettono la testa e il cuore.
a Milano alle sette di mattina sollevate le tapparelle mi sorprende il primo nebbione di stagione, un nebbione fittissimo che quasi non si vede la casa di fronte, penso che forse allora è il destino. Per scrupolo cerco su internet le webcam di Como, la zona designata per l'escursione, e vedo che lì c'è il sole e il cielo azzurro: dai su allora si parte. Preparo lo zaino, faccio colazione con qualche biscotto e mi dirigo alla stazione. Salgo sul treno, la nebbia insiste fin verso Saronno poi si dirada e come previsto appare il sole. Arrivo a Como, sono circa le dieci, non fa caldissimo, sono tutti in maniche lunghe, qualcuno per strada ha già tirato fuori il piumino. A pochi metri dalla stazione mi dirigo alla funicolare che avevo in programma di prendere, mi colpisce che non ci sia nessuno in coda, mi avvicino e vedo dei fogli appesi alle vetrate: è chiusa per manutenzione.
Il piano era di sfruttare la funicolare fino a Brunate per saltare circa 6 km di strada asfaltata al 10% di pendenza media, angusta, ripida e trafficata che non ha niente da offrire se non la fatica di percorrerla e gli insulti degli automobilisti, per poi fare il percorso della dorsale che molti della zona probabilmente conoscono.
Penso un attimo sul da farsi, guardo sul telefono se da lì posso puntare qualche altra meta, dopo un breve conciliabolo con me stesso decido di rimanere sul mio obiettivo, anche perché era già abbastanza tardi.
Non avevo mai fatto la strada di Brunate ma la conoscevo di fama come abbastanza tosta, Infilo la salita che dal vialone principale di Como subito si presenta come un nastro d'asfalto diritto e verticale. La strada continua cattiva, imbocco i primi tornanti maledicendo i lavori alla funicolare. vengo continuamente schivato dalle automobili, la carreggiata è stretta, fa il filo a muri e cancellate e il traffico abbastanza sostenuto, qualche cane mi abbaia da dentro i cortili, non c'è nulla che contribuisca a migliorare l'umore. Tornante dopo tornante sento subito la fatica, mi monta addosso un certo scoramento e nella testa inizio a accampare ogni sorta di scusa per fermarmi "fa freddo, ho mangiato poco, dormito male, non sento le gambe girare": conto i tornanti come le tappe della via crucis.
Dopo qualche chilometro mi fermo per davvero su un tornante perché due auto, due di quei suv larghi quanto una corriera, si incrociano davanti a me e non ci passano: inizia la danza tra i due mezzi per riuscire a svincolarsi dalla situazione. Sono fermo, rifiato respirando affannosamente e ingurgitando i gas di scarico della coda di macchine al mio fianco che non spengono il motore, vorrei fare due chiacchiere con quelli che sostengono che sono i ciclisti a rompere le balle agli automobilisti la domenica sulle salite.
Ne approfitto per smangiucchiare qualcosa dato che avevo fatto una colazione leggera non avendo in previsione la lunga salita. le auto si sbloccano, il traffico riparte, io no, finisco di fare ciò che sto facendo. Inizio a pensare che quasi quasi meglio se giro la bici, vado a farmi un giro in centro a Como e sul lungo lago che è sempre bello ed è un po' che non ci passo e poi torno a casa presto a fare qualcos'altro.
Mentre mi sono quasi deciso a mollare il colpo e sono lì lì per girare la bicicletta mi supera all'interno del tornante un ragazzo in bici, giovane, faccia pulita, facendomi un sorriso a mezza bocca spezzato dal ghigno della fatica. Lo seguo con lo sguardo mentre si allontana, c'è qualcosa di strano ma non riesco subito a mettere a fuoco cosa.
lo guardo meglio: Ha una gamba sola.
Primo pensiero "vorrei che lo vedesse chi denigra le bici a pedalata assistita e dice che servono solo ai ciclisti da divano". Guardo il movimento centrale e il tubo obliquo, non c'è niente, batteria, motore, cavi, niente, è una bicicletta normalissima. La pedalata è si assistita, ma dal cuore e dalla volontà di quel ragazzo. Lui continua, diritto, deciso, su una delle salite tra le più dure della zona, guardarlo è onestamente uno spettacolo.
Reset mentale. Le scuse non sono più contemplate, si è detto che si va su e si va su.
Riprendo a pedalare, magari riesco anche a ribeccarlo e lo saluto, ci scambio due chiacchiere, gli manifesto la mia ammirazione, una cosa tra l'altro che probabilmente avrebbe fatto sentire meglio me che lui.
Tengo lo sguardo su di lui che adesso sarà 50 metri avanti a me ma invece che avvicinarsi lo vedo allungare e sparire nel giro di un paio di tornanti, salendo come uno stambecco. sono stato sganciato in salita come un sacco di patate da un ragazzo con una gamba sola. Sorrido.
Un tempo li chiamavano handycappati. Poi qualcuno ha pensato che era meglio disabili. Ora diversamente abili. Chissà quante volte qualcuno, magari di quelli che vanno in macchina pure a prendere il pane e il giornale, che non lo ha visto su una bici lo ha chiamato diversamente abile con quel tono un po' pietoso o condiscendente senza rendersi conto del vero significato che quelle parole hanno nel suo caso, un po' come dire che Cancellara o Froome sono dei diversamente abili rispetto al ciclista medio.
Morale: non l'ho più visto, ne ridiscendere e nemmeno in cima, perché poi, 5 km di rampe e tornanti dopo, in cima proprio spinto da quel fugace intreccio di storie ci sono arrivato e in fin dei conti non è stata nemmeno così dura. Mi sono fatto tutto il giro che mi ero prefissato e nonostante il freddo, l'umido e i tratti a spinta me lo sono goduto tutto, sicuramente più che un altro giro a guardar vetrine nel centro di Como.
L'ennesima riprova, se ce ne fosse bisogno, che davanti a una salita, qualsiasi tipo di salita, metà della pendenza ce la mette la strada ma l'altra metà ce la mettono la testa e il cuore.
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