No, non sto parlando dello Stelvio. Ho finalmente pedalato il tratto finale della Via Vandelli, una delle tante strade costruite nel '700 attraverso le montagne tra l'Emilia e la Toscana e che in particolare collegava Modena a Massa. Il tratto emiliano già lo conoscevo, con lo splendido scollinamento nei pressi di San Pellegrino in Alpe, in un luogo noto come il Passo del Giro del Diavolo per un'antica leggenda riguardante appunto San Pellegrino. Ma le Apuane no, quelle mi mancavano. Oltre le cave della Valle di Arnetola si esce dal XXI secolo e si rientra nel passato, in un' ambiente dalla severità assoluta, in cui non ti spieghi come fosse possibile arrampicarsi con carri o carrozze.
Mentre spingo la bici sulla mulattiera ghiaiosa inizio a chiedermi il perchè. Perchè un strada quassù? Ce n'era un bisogno così impellente, da progettare un valico impossibile, tanto impossibile che la strada venne quasi subito abbandonata? oppure è un' esempio della superbia umana, che periodicamente pretende di vincere la natura ? Una serie di tornanti più ravvicinati ai limiti delle faggete danno un po' di respiro, ma perchè così vicini? poi capisco, la strada si inerpica tra due canaloni che ancora oggi, primi giorni di giugno, custodiscono una grossa quantità di neve: il selciato sfiora la neve poi gira verso l'altro nevaio, e via così. L'ultimo tratto è talmente ripido che le frane e le valanghe hanno portato via ogni traccia della strada, qua e là il terreno si illumina dell' azzurro intenso delle genziane (mai viste prima così in basso), poi sono in cima, il mare è 1634 metri più in basso ma a pochi km.
La discesa inizia con un km ghiaioso e difficile, stretto ed a tratti esposto. Sotto la "finestra Vandelli" la strada torna ad assomigliare al proprio nome, molti tratti sono stati restaurati e si capisce l'immane lavoro che è costata quest'opera, in un periodo in cui non c'erano le ruspe nè i camion, tutto a forza di braccia e di asino. Veramente incredibile, in 5 km se ne vanno 900 metri di dislivello, poi la strada diventa sterrata e come per incanto le lancette dell'orologio tornano a segnare il 2006 mentre entro in Resceto.
Non so più se la costruzione della strada sia stata una necessità o un atto di superbia; la birra che mi bevo a fine avventura è comunque alla salute dell' abate Vandelli e della sua sfida impossibile alle Apuane.
Mentre spingo la bici sulla mulattiera ghiaiosa inizio a chiedermi il perchè. Perchè un strada quassù? Ce n'era un bisogno così impellente, da progettare un valico impossibile, tanto impossibile che la strada venne quasi subito abbandonata? oppure è un' esempio della superbia umana, che periodicamente pretende di vincere la natura ? Una serie di tornanti più ravvicinati ai limiti delle faggete danno un po' di respiro, ma perchè così vicini? poi capisco, la strada si inerpica tra due canaloni che ancora oggi, primi giorni di giugno, custodiscono una grossa quantità di neve: il selciato sfiora la neve poi gira verso l'altro nevaio, e via così. L'ultimo tratto è talmente ripido che le frane e le valanghe hanno portato via ogni traccia della strada, qua e là il terreno si illumina dell' azzurro intenso delle genziane (mai viste prima così in basso), poi sono in cima, il mare è 1634 metri più in basso ma a pochi km.
La discesa inizia con un km ghiaioso e difficile, stretto ed a tratti esposto. Sotto la "finestra Vandelli" la strada torna ad assomigliare al proprio nome, molti tratti sono stati restaurati e si capisce l'immane lavoro che è costata quest'opera, in un periodo in cui non c'erano le ruspe nè i camion, tutto a forza di braccia e di asino. Veramente incredibile, in 5 km se ne vanno 900 metri di dislivello, poi la strada diventa sterrata e come per incanto le lancette dell'orologio tornano a segnare il 2006 mentre entro in Resceto.
Non so più se la costruzione della strada sia stata una necessità o un atto di superbia; la birra che mi bevo a fine avventura è comunque alla salute dell' abate Vandelli e della sua sfida impossibile alle Apuane.