La lascio là!
In quello stretto passaggio che la conduce, smontata e delicatamente adagiata nella sua custodia, al nastro trasportatore.
È la mia MTB che mi precede nella stiva dun aereo che mi porterà prima a Mosca e, poi, con un altro trasbordo fino ad Ulan Bator, capitale della Mongolia.
Salire sullaereo è una novità per me, mi reggo forte ai braccioli del mio sedile e sento, per la prima volta, la corrente ascensionale che porta il mio stomaco a pulsarmi in gola.
Dopo un po riesco quasi a sorridere allhostess che, premurosa, distribuisce viveri a noi passeggeri.
Mi addormento e, al risveglio, stiamo già sorvolando Mosca.
Grande, maestosa, duna luminosità stupenda sulle cupole doro del Cremlino. La città sapre in un panorama da fiaba mentre scendiamo nel suo aeroporto (Cheremetievo).
Da lì, dopo essermi assicurato che la MTB stesse bene e venisse accudita alla perfezione, veniamo portati allaltro aeroporto (Domododovo) e finalmente voliamo fino in Mongolia.
È lalba e sotto di noi scorgo un mare derba che sembra salutarci sotto lo sferzare del vento.
Latterraggio è veloce e stranissimo; planiamo su una pista di terra battuta e, dimprovviso, siamo già in Mongolia.
La nostra meta è la valle dello Yol, splendida, ricca di verde, con cascate, fiumi e rigagnoli che descrivono curve, creano salite, scolpiscono stretti passaggi campestri che sembrano progettati per poterci esprimere al meglio con le nostre bici.
E lei è lì, affidabile e splendida in tutta la sua bellezza cromata.
Inforcarla e pedalare nel vento è stupendo.
Lungo sentieri scoscesi, guadando fiumi e oscillando su ponti tibetani mi immergo in un mondo verde e oro dove stelle alpine e genziane punteggiano distese derba aromatiche che sembrano indicarti lorizzonte, con i primi contrafforti dei monti Altai che sorridono con scroscianti cascate che ricadono in pozze smeraldine ove si posano germani reali e piccole anatre grigie.
Variando i rapporti e studiando le asperità del terreno mi ritrovo circondato da leprotti e marmotte che, curiosi, mi studiano seri e mansueti in mezzo ai cespugli che ravvivano la prateria.
Sopra di me si librano maestosi falchi, guardiani degli alti cieli di Mongolia.
Pedalare su un terreno che trascolora dal ruggine al viola inebriandosi dellodore di prati fioriti è stupendo; quanto ammirare gli ampi orizzonti che brillano di fiammeggianti tramonti e che regalano sere stellate che si smarriscono in vivide albe.
Correre a ruota libera tra mandrie di cavalli piccoli, ma eleganti, che ti fissano con interesse, mentre tu guadi a scatti il piccolo rivo che per loro è un abbeveratoio e, per me, un bagno non voluto.
Faccio slalom, con un po dapprensione, tra yak che ruminano, pazienti e paciosi, tra le discese che affronto con serena velocità ed allegra incoscienza.
Dimprovviso, ad uno svolta più ripida, mi si para davanti un cervo che mi supera sul fianco destro e prosegue maestoso e solenne verso le cime da cui sono disceso.
Ancora pochi metri e mi ritrovo sullautostrada che ci riporterà a Ulan Bator.
Fumo di un falò che mi attende; risate di mongoli che mi offrono ospitalità e mi rifocillano con formaggio e liquori; tentativi di capirci in due o più lingue diverse, con frequenti scrosci di risa quando non riusciamo a comprenderci.
Lei è lì, la mia MTB, è tranquilla e riposa in attesa di nuove avventure!
In quello stretto passaggio che la conduce, smontata e delicatamente adagiata nella sua custodia, al nastro trasportatore.
È la mia MTB che mi precede nella stiva dun aereo che mi porterà prima a Mosca e, poi, con un altro trasbordo fino ad Ulan Bator, capitale della Mongolia.
Salire sullaereo è una novità per me, mi reggo forte ai braccioli del mio sedile e sento, per la prima volta, la corrente ascensionale che porta il mio stomaco a pulsarmi in gola.
Dopo un po riesco quasi a sorridere allhostess che, premurosa, distribuisce viveri a noi passeggeri.
Mi addormento e, al risveglio, stiamo già sorvolando Mosca.
Grande, maestosa, duna luminosità stupenda sulle cupole doro del Cremlino. La città sapre in un panorama da fiaba mentre scendiamo nel suo aeroporto (Cheremetievo).
Da lì, dopo essermi assicurato che la MTB stesse bene e venisse accudita alla perfezione, veniamo portati allaltro aeroporto (Domododovo) e finalmente voliamo fino in Mongolia.
È lalba e sotto di noi scorgo un mare derba che sembra salutarci sotto lo sferzare del vento.
Latterraggio è veloce e stranissimo; planiamo su una pista di terra battuta e, dimprovviso, siamo già in Mongolia.
La nostra meta è la valle dello Yol, splendida, ricca di verde, con cascate, fiumi e rigagnoli che descrivono curve, creano salite, scolpiscono stretti passaggi campestri che sembrano progettati per poterci esprimere al meglio con le nostre bici.
E lei è lì, affidabile e splendida in tutta la sua bellezza cromata.
Inforcarla e pedalare nel vento è stupendo.
Lungo sentieri scoscesi, guadando fiumi e oscillando su ponti tibetani mi immergo in un mondo verde e oro dove stelle alpine e genziane punteggiano distese derba aromatiche che sembrano indicarti lorizzonte, con i primi contrafforti dei monti Altai che sorridono con scroscianti cascate che ricadono in pozze smeraldine ove si posano germani reali e piccole anatre grigie.
Variando i rapporti e studiando le asperità del terreno mi ritrovo circondato da leprotti e marmotte che, curiosi, mi studiano seri e mansueti in mezzo ai cespugli che ravvivano la prateria.
Sopra di me si librano maestosi falchi, guardiani degli alti cieli di Mongolia.
Pedalare su un terreno che trascolora dal ruggine al viola inebriandosi dellodore di prati fioriti è stupendo; quanto ammirare gli ampi orizzonti che brillano di fiammeggianti tramonti e che regalano sere stellate che si smarriscono in vivide albe.
Correre a ruota libera tra mandrie di cavalli piccoli, ma eleganti, che ti fissano con interesse, mentre tu guadi a scatti il piccolo rivo che per loro è un abbeveratoio e, per me, un bagno non voluto.
Faccio slalom, con un po dapprensione, tra yak che ruminano, pazienti e paciosi, tra le discese che affronto con serena velocità ed allegra incoscienza.
Dimprovviso, ad uno svolta più ripida, mi si para davanti un cervo che mi supera sul fianco destro e prosegue maestoso e solenne verso le cime da cui sono disceso.
Ancora pochi metri e mi ritrovo sullautostrada che ci riporterà a Ulan Bator.
Fumo di un falò che mi attende; risate di mongoli che mi offrono ospitalità e mi rifocillano con formaggio e liquori; tentativi di capirci in due o più lingue diverse, con frequenti scrosci di risa quando non riusciamo a comprenderci.
Lei è lì, la mia MTB, è tranquilla e riposa in attesa di nuove avventure!