Valle del Vajont

  • Cannondale presenta la nuova Scalpel, la sua bici biammortizzata da cross country che adesso ha 120 millimetri di escursione anteriore e posteriore in tutte le sue versioni. Sembra che sia cambiato poco, a prima vista, ma sono i dettagli che fanno la differenza e che rendono questa Scalpel 2024 nettamente più performante del modello precedente.
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the.mtb.biker

Biker assatanatus
30/10/05
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9 Ottobre 1963, ore 22.39: all'improvviso un'enorme massa franosa si stacca dalle pendici del Monte Toc, precipitando nel sottostante bacino del Vajont; l'onda anomala che si solleva spazza via numerose frazioni di Erto e Casso, prima di superare la diga e piombare sulla Valle del Piave, radendo al suolo Longarone, Castellavazzo e tutti i paesi limitrofi. Quasi duemila le vittime, per una tragedia annunciata prodotta dalla piccolezza umana che sottovaluta l’imprevedibilità della natura.

E proprio dalla Diga del Vajont, che incredibilmente resistette alla forza d'urto dell'onda, parte questo itinerario, che ci porterà alla scoperta dei luoghi della più grande tragedia italiana dal dopoguerra a oggi. Volendo può essere allungato partendo da Longarone, salendo alla diga lungo i circa sei chilometri asfaltati che nell’ultimo tratto offrono spettacolari scorci sulla diga.

Dal piazzale della diga percorriamo per poche centinaia di metri l'asfalto in direzione di Erto, per poi svoltare a destra verso Pineda, attraversando la frana del Monte Toc. Ci addentriamo in un ambiente brullo e desolato: laddove oltre quarant'anni fa c'era acqua, ora solo terra e massi; con dolci saliscendi superiamo la frana e, ammirando sotto di noi le acque cristalline di quel che resta del Lago del Vajont, attraversiamo la frazione di Pineda.

Superate alcune buie gallerie raggiungiamo la piana erbosa delle Casere Prada, e da qui entriamo nel bosco arrivando alle case di Manzana; deviamo ora sullo sterrato che scende sulla sinistra, e con una veloce picchiata siamo sul greto del torrente Vajont.

Ora c’è da mettere i piedi a mollo: bici in spalla, guadiamo con prudenza il corso d’acqua raggiungendo l'altra sponda. Continuando sul greto, costeggiamo il bosco verso sinistra lungo una traccia poco evidente fino a raggiungere il Rio Zemola, che superiamo bagnandoci ancora i piedi: la traccia che ora risale nel bosco si fa più evidente e, continuando bici in spalla per una decina di minuti, giungiamo su una sterrata che imbocchiamo verso sinistra.

In vista dell'abitato di Erto il fondo peggiora e le pendenze aumentano, e mentre ci addentriamo tra le case in pietra del vecchio borgo (miracolosamente non distrutto dall’onda anomala) teniamo sempre la destra ritrovando l'asfalto; svoltiamo a destra e dopo cinquecento metri attraversiamo l'incrocio con la strada per Longarone, continuando in salita verso la Val Zemola.

Affrontati circa tre chilometri di salita asfaltata, poco prima di un capitello, imbocchiamo a sinistra il Trui dal Sciarbon (segnavia 374), usato secoli fa per trasportare il carbone dalla Val Zemola a Casso e alla Valle del Piave. Il sentiero è costantemente esposto sul lato sinistro, presentando diversi tratti non ciclabili tra il Col de Sciaston e il successivo pericoloso ghiaione che sovrasta la frazione Le Spesse.

Percorrendo lo spettacolare single track possiamo continuamente ammirare sotto di noi la conca di Erto con il lago e, successivamente, il Monte Toc e la sua frana dalla caratteristica forma a “M”; nella seconda parte il sentiero torna agevole toccando alcune vecchie costruzioni in pietra, scendendo successivamente sulla strada verso Casso, che raggiungiamo agevolmente salendo a destra.

Dalla piazza seguiamo le indicazioni per “Diga del Vajont”, addentrandoci tra i vicoli sterrati di quello che sembra essere un paese fantasma in cui il tempo si è fermato; una volta saliti fino al cimitero il sentiero, detto “Troi de Sant’Antoni”, scende con decisione offrendo vertiginosi scorci sulla sottostante diga e sulla forra adiacente; continuando lungo la traccia la vista si sposta poi su Longarone e sulla Valle del Piave.

Quando il sentiero inizia a farsi più ripido e tecnico, giriamo a sinistra seguendo le indicazioni per la diga, affrontando il “Troi de la Moliesa” in velocissima discesa nel sottobosco fino a giungere nella zona del dormitorio del cantiere della diga, anch’esso spazzato via dalla furia delle acque insieme alla cinquantina di operai che vi alloggiavano; continuando in discesa giungiamo in breve al punto di partenza.

Mappa, foto, altimetrie e traccia GPS: http://www.webalice.it/stefano.demarchi/page/itinerari/friuli/vajont/vajont.htm
 

yxj900

Biker tremendus
11/10/05
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Piombino
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Lo farei, il giro, se stessi più vicino, sono toscano di Piombino, solo per rivedere la frana... la prima volta che ci sono stato ero con la moto e piovigginava ed il grigio del tempo faceva da sfondo a quel luogo con quella storia che ... mi vengono ancora i brividi se ci penso, ma comunque col sole... sono posti bellissimi, anche la vicina val Cellina... comunque anche da noi non è male. Saluti!!:prost: :prost: :prost:
 

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