Un monte particolare

  • Siete di quelli che, quando comincia a fare freddo, mettono la bici in garage e vanno in letargo, sdivanandosi fino alla primavera? Quest’anno avrete un motivo in più per tenervi in forma, e cioè la nostra prima Winter Cup, che prende il via il 15 novembre 2024 e si conclude il 15 marzo 2025.
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Lanerossi

Biker superis
18/8/04
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Recoaro Terme (Vicenza)
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C’è un monte fra le province di Vicenza e di Trento che sembra non avere nulla in particolare, non è altissimo, va di poco oltre i 2000 metri, quasi una collina se paragonato ai grandi colossi delle Alpi, sminuisce con quelli dell’Himalaya o delle Ande. Forse si può dire imponente, con la sua sagoma che spicca di netto, massiccia, fra le altre montagne della zona, magari non bello, ma ha una storia che lo circonda e lo impregna di un fascino quasi misterioso.
La sua storia era quella di una montagna prealpina come tante altre, almeno fino ad un secolo fa. Sebbene i suoi versanti abbiano caratteristiche tipicamente dolomitiche (e infatti di dolomia è costituito), siano cioè impervie e disegnati artisticamente da pioggia, neve, gelo e vento, con ghirigori di guglie e spuntoni, la sua sommità è un altopiano ondeggiato che da tempo immemore fu usato come pascolo. Così quei prati di montagna durante l’estate si popolavano di pastori, greggi e armenti: sorsero presto alcune malghe per il riparo di uomini e animali, tipiche costruzioni di sasso come ancor oggi se ne possono trovare nelle montagne della provincia vicentina. Diventò così pastore e mandriano, custode di usanze ormai perdute: l’alpeggio estivo, la mungitura a mano, l’arte di produrre il formaggio…
Poi vennero i primi anni del Novento e il monte conobbe alcune novità sconvolgenti, che turbarono la sua pace che durava da millenni. Una nuova via di comunicazione, una strada percorribile dai primi automezzi, fu costruita alle sue falde tanto che Rovereto e Vicenza furono messe in comunicazione diretta. Presto spuntarono le prime fortificazioni e parimenti, dall’una e dall’altra parte, i primi soldati.
Arrivò la mattina del 24 maggio 1915 e salirono sulla cima del monte i primi battaglioni italiani che presero possesso della sommità. I combattimenti cominciarono a infuriare nelle valli circostanti, seppure con il carattere quasi di scaramucce anche se stava delineandosi il carattere della Grande Guerra: una terribile guerra di posizione, trincea su trincea. Anche fin qui nulla di strano o di particolare, il fronte vicentino era simile a tanti altri fronti nella guerra fra l’Impero Austro-ungarico e il Regno d’Italia. Gli strateghi delle Corte d’Asburgo però scelsero la zona proprio fra le province di Vicenza e Trento per scatenare un grande attacco che avrebbe dovuto rivelarsi decisivo nella guerra all’Italia: uno sfondamento delle linee avrebbe portato le truppe dell’imperatore a trovarsi aperta, loro di fronte, la pianura padana e la conquista della penisola. Il Tirolo meridionale rappresentava infatti la zona in cui il territorio imperiale maggiormente s’inoltrava verso quello italiano, luogo ideale per scatenare l’offensiva.
Nel maggio 1916 ebbe luogo il drammatico attacco austro-ungarico che poi la storia chiamò Straffexpedition (spedizione punitiva, dell’Austria-Ungheria contro gli ex alleati italiani, visti come traditori).
Tonnellate e tonnellate di proiettili d’artiglieria prepararono la strada agli scatti della fanteria sul Fronte degli Altipiani, come fu allora chiamato il teatro del terribile combattimento, proprio al confine tra le due province, dalla zona di Asiago, Folgaria e Lavarone fino al nostro monte. L’Offensiva di Primavera diede risultati sull’Altopiano dei Sette Comuni, dove le truppe dell’Imperatore sfondarono mentre fu miracolosamente contenuta sul nostro monte… Agghiacciante la situazione nei dintorni di Asiago, dove le trincee furono scavate fra pascoli, campi e i resti fumanti di quelli che erano dei paesi: tutto andò distrutto, sbriciolato impietosamente, tempestato dal tiro delle artiglierie delle due parti.
Il 1916 fu un lungo anno di combattimenti, di offensive infruttuose dall’una e dall’altra parte che contribuirono alla distruzione della miglior gioventù di due nazioni. Migliaia furono i soldati che morirono in quell’anno sul monte, a causa delle furiose battaglie di maggio, luglio e dell’autunno, degli scontri estivi e poi dello spaventoso inverno che seguì. Quello del 1916-17 fu uno dei più freddi inverni a memoria d’uomo, caddero metri di neve che tutto ricoprirono, che causarono valanghe che investirono più volte le truppe. Le trincee, i camminamenti, i ricoveri diventarono gallerie nella neve, eppure si continuò a combattere.
Quando il sole dell’inoltrata primavera riuscì a sciogliere l’ultima neve, trincee, camminamenti e ricoveri erano tornati ad essere di roccia, scavati nel calcare con dinamite, martelli pneumatici e colpi di piccone… Autentiche fortezze erano diventati i due Denti, epici testimoni delle cruenti battaglie. Si fronteggiano, l’uno di fronte all’altra, a un centinaio di metri, proprio nella parte più alta del monte, a 2200 metri. Non ci vogliono più di 5 minuti per passare dall’uno all’altro, scendendo fino alla selletta che li separa. Eppure gli eserciti italiano e austro-ungarico si fronteggiarono lì, senza poter mai arrivare all’altro, per tre lunghissimi anni, costruendo un’intricate rete di gallerie e cunicoli nel tentativo di far saltare le postazioni avversarie. La guerra di mine dei Denti iniziò nell’inverno del 1917 e si protrasse per vari mesi finché, una mattina di marzo del 1918, il Dente Italiano “balzò letteralmente in aria e tornò al suo posto”, come raccontano i testimoni sopravvissuti, franando rovinosamente nel suo lato settentrionale che fronteggiava il Dente Austriaco.
Il 1917 vide anche altre due grandi opere belliche solcare il monte, destinate ad arrivare fino a noi. La prima è una strada camionabile, che fu percorsa dagli autocarri nell’ultimo periodo della guerra per far giungere armamenti e provviste in vetta. Una strada mirabile, lunga una decina di chilometri, che supera con una lunga serpentina di tornati le Caneve di Campiglia ed arriva alle Porte. Unico inconveniente è l’esposizione all’artiglieria nemica, che spesso c’entra gli autocarri… Non ci è dato sapere di cui fu il mirabile colpo di genio che portò all’idea della costruzione di una delle più meravigliose opere militari della Grande Guerra. Senz’altro fu spinto dal bisogno di rifornire le truppe anche durante l’inverno con un percorso che non fosse bersagliato dagli artiglieri austro-ungarici. Nella primavera 1917, sull’impervio versante meridionale del monte, un ampio susseguirsi di valloncelli che cadono a perpendicolo, iniziarono ad arrampicarsi degli uomini del Genio. Fu l’inizio della strada delle Gallerie, un’ardita mulattiera di montagna che sale attraverso 6 chilometri di strapiombi e 52 gallerie scavate nella roccia.
Come sia poi andata a finire la storia la sappiamo tutti… Per tre anni il monte fu artigliere e fante, indossò il grigioverde degli alpini e l’azzurrino dei Kaiserjäger, soffrì come i giovani che lì furono mandati a morire.
Sono passati quasi novant’anni da allora e lui porta ancora vive le ferite che ne hanno segnato la storia in maniera indissolubile, mirabili e stupefacenti opere belliche ma sopra tutto e tutti i crateri delle bombe, i lunghi e ormai sbiaditi solchi delle trincee, la devastazione delle esplosioni… Dopo essere stato innalzato dallo stato come monumento alla Patria, è oggi ammonimento a ogni gente dalle scelleratezze della guerra.
Ed è diventato escursionista, scoperto ogni anno da tante persone che rimangono affascinante, se non dalla sua bellezza, dalla sua anima e dal suo paesaggio stravolto ancora dalla guerra. E ancora è anche un po’ ciclista, lui che i ciclisti lì vede salire dall’uno e dall’altro lato, dalla strada degli Eroi e dagli Scarrubi, e che anche lì vede percorrere la strada delle Gallerie, vietata alla biciclette dal momento che molti si sono andati ad unire ai silenziosi giovani che lì caddero.
Sì sale respirando tutto questo, fra i sassi e le roccette che si incontrano sulla strada, in mezzo ai boschi prima e ai massi poi, alzando lo sguardo verso il monte sovrastante che si sta andando immancabilmente a scalare e a superare per arrivare fino dove lo sguardo spazia tutt’attorno, sugli altri monti delle Alpi e sulla “dolorosa fecondità del piano”. E la fatica è un peso leggero al pensiero di quali dolori ha portato questo monte a tanti giovani novant’anni fa, che qui vi hanno lasciato la loro vita, le loro speranze, i loro sogni.
 

pedalopoco

Biker extra
massimoz ha scritto:
Grazie per ricordarlo... ci sono stato 15 giorni fa con altri due forumendoli, su per la strada della I armata, detta anche delle 52 gallerie...
EMOZIONANTE...
o-o o-o o-o

:-o

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Lanerossi

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Ci sono tornato il 4 novembre, una giornata bellissima di sole, non sembrava nemmeno novembre. E soprattutto non c'era un filo di neve.
Sono arrivato in bici fino alla cima, quella cima Palon che ha sempre dominato il panorama del Pasubio e che era caposaldo italiano.
E mi sono chiesto come appariva 86 anni fa quel panorama su tutto il monte, con i cannoni ancora caldi, le trince scavate nella neve e il tricolore che intanto entrava a Trento...
E ancora ho pensato alla fortuna che avevo ad essere lì e di poter ammirare il panorama fino a Cima Brenta, lontanissima: 86 anni fa, appunto, non era nemmeno pensabile stare a cima Palon tranquillamente...
 

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