Un giorno all'anno sull'Altipiano

akirosan

Biker superis
16/6/10
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Venezia
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Bike
Rockrider XC940LTD / Rockrider 8.2 LTD Team
Ma tu lo sai che c’è un pezzo di Sardegna dalla parte sbagliata del mare? No... e... ma tu ci vai in bici?

Sì, c’è un lembo di terra quasi più in alto di qualsiasi cima sull’Isola e che ci guarda da lassù, appena prima delle montagne più grandi… si chiama Monte Zebio, anche il nome è strano.
Per arrivarci c’è un bosco, né rado né fitto, ogni tanto gli alberi in cerchio a guardarsi riflessi nell’acqua di una buca perfetta, c’è una strada incerta che sale mai troppo cattiva e quasi schivando i punti più esposti, una strada di sassi che poi diventa sentiero e che poi d’improvviso si infila tra due pareti di roccia alte neanche un metro, due muretti che corrono vicini e paralleli quasi che il manubrio della bici non ci passa più e poi ci sono i resti di due casette diroccate, che se ti avvicini scopri una targa “Comando 151° Brigata Sassari” e capisci che sei in trincea, che sei arrivato.
Infatti c’è la bandiera coi quattro mori e sotto la bandiera un prato con 212 croci. Ci sono i nomi di quasi tutti sulle croci, come ci sono quasi tutti i paesi della Sardegna, molti di loro erano nati appena sul mare, ai 1800 metri di quassù non ci si saranno mai abituati. Sicuro non mio bisnonno, anche se non so esattamente se è qui, sotto una delle croci senza nome o invece dov’è. A voler sperare, anche dopo 100 anni, morto nessuno ha mai detto che è morto, disperso questo sì, al rientro da una missione sotto il bombardamento a tappeto in risposta del nemico. E infatti qui sembra di stare sopra un’enorme pallina da golf, le buche perfette sono ovunque, crateri spesso grandi come case che la natura ci prova a cancellare i segni di questa follia mettendo alberi tutt’intorno, ma un secolo è servito a poco. E se vai un po’ più su, alla Lunetta, la ferita è enorme, una mina è esplosa nel tunnel che doveva portarla sotto le linee nemiche ma invece è saltata che era ancora di qua. Però con le vibrazioni ha fatto saltare di là anche la contromina che il nemico preparava di rimando in un tunnel parallelo ed ecco fatta un’entrata per l’Inferno… sappiamo per certo solo dei morti italiani, 170 circa della brigata Catania, perché la retorica militare lo strombazzò subito come vile attacco nemico meritorio di immediata rappresaglia. E dunque mio bisnonno e compagni “liberi” di saltar fuori dalle trincee, giù a perdicollo per questi sentieri come me ora con la bici… “FORZA PARIS!!!”
Quel grido di guerra che divenne l’incubo degli Austriaci, perché preannunciava lo scontro con i rote teufel, i diavoli rossi. Quelli che non mollavano mai, che non facevano prigionieri, che un attimo dopo quel grido te li ritrovavi addosso in un corpo a corpo tra bestie.
Questo scrisse mio bisnonno in una delle poche lettere mandate a casa, che gli Austriaci sapevano solo sparare, se non potevano usare il fucile erano più spaventati degli agnelli. E infatti le foto dei Sassarini, dei Dimonios come si autobattezzeranno dopo aver capito cosa gli urlava in faccia il nemico quando li vedeva, spesso quelle foto li ritraggono ostentare le lame, le baionette, ma più di tutte le “leppe” piuttosto che le armi da fuoco, i coltelli con cui sono cresciuti fin da bambini e che servono anche qua, sopratutto qua.
Di mio bisnonno ci resta anche una pergamena firmata con grandi svolazzi dal Re in persona e una medaglia, perché se fosse stata un’Olimpiade la Sassari l’avrebbe vinta a mani basse: 4 medaglie d’oro alla brigata (due per ogni reggimento), 4 menzioni al valore sui bollettini di guerra e poi (stime per difetto) 9 medaglie d’oro, 286 d’argento, 417 di bronzo. 6 ufficiali insigniti all’ordine militare dei Savoia, le drappelle Reali sulle bandiere dei reggimenti.
Ma non era un’Olimpiade, la Sassari in quattro anni di guerra sul Carso, sul Piave e qui ad Asiago pagò quelle medaglie con 12923 uomini (sì, dodicimilanovecentoventitrè, anche qui per difetto) tra morti, feriti, dispersi. Ci vollero due richiami di leva durante la guerra per assicurare che il nemico avesse sempre davanti il suo incubo, ragazzi sempre più giovani dal mare a quassù, sa vida pro sa patria e pro su Re. Che lui, il Re, aveva nel frattempo imparato che ai Sardi non c’era neanche bisogno di rimbambirli troppo a cordiale (che poi ce ne sarebbe voluto uno sproposito) per mandarli al macello, bastava pungolarli nell’orgoglio… “quella collina è troppo dura da conquistare per chiunque” e neanche il tempo di finire la frase che al grido di battaglia i quattro mori erano già che si scatenavo sulla cima.
Esagero ovviamente, ma in Sardegna non siamo tanti e quando arrivavi col programma scolastico a questi giorni, non era più Storia ma vita di casa, ognuno aveva gli aneddoti della sua famiglia, il suo anno sull’altipiano, le sue medaglie da mostrare. Nella mia classe alle elementari altri due bisnonni sono stati visti l’ultima volta da vivi più o meno qui, come il mio.
Così ogni tanto, almeno una volta l’anno, salgo in bici fino a questo pezzo di Sardegna dalla parte sbagliata del mare. Salgo dal Forte Interrotto e poi continuo per sentieri facili, da passeggiata, ma, volendo c’è anche qualcosa di più impervio. E’ un bel posto per la bici, ci sono sentieri un po’ per tutto, è solo che io non riesco a goderne appieno per quel qualcosa che mi prende il respiro e non so mandar via. Allora mi siedo qui, vicino a queste 212 croci, e dallo zaino prendo il libro di Lussu e una bottiglia piccola di Ichnusa, il “birrino”. 212 Sassarini che mi guardano male, che il birrino è per i continentali o per la sbronza del giorno prima, ma ho la scusa che devo tornare giù, magari per quel sentiero un po' bastardo che facevano loro per andare in licenza più in fretta. E bevo piano, un sorso alla volta immaginando che anche loro abbiano avuto almeno una sera calma come ora, solo qualche colpo di tosse nostro e loro, tutti vivi, tutti insieme il giorno dopo.
Leggo poco, piuttosto scorro tra i denti l’inno della Brigata Sassari che inizia così:

China su fronte si ses sezzidu pesa, Ch′es passende sa Brigata tattaresa, Boh, boh e cun sa manu sinna Sa mezzus gioventude de Saldigna”...
(china la fronte e se sei seduto alzati, che sta passando la Brigata Sassari, e con la mano saluta, benedici, la migliore gioventù della Sardegna)

e rimettendo la bottiglia vuota nello zaino spero di riportare a casa, in quella Sardegna dalla parte giusta, qualcosa di ciascuno di loro. Ogni anno fin quassù, quest’anno morsicando il copertone senza fiato per i postumi del Covid, ma una volta almeno verso la fine di giugno, in memoria di quel giorno di quell’altro giugno del 1917 (forse il 19) che inghiottì Giommaria Moro fante del 152° Reggimento Brigata Sassari, mio bisnonno, e se lo tenne per sempre qui, tra questi sassi di Sardegna dalla parte sbagliata del mare.

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