Tutto in una notte.
Un martedi mattina ero preda a pensieri plumbei, seduto sul mio letto con un muro di pioggia fuori dalla finestra, sul futuro, sui soldi che non sembrano esserci mai, sui progetti che finchè restano aspettative future non prenderò mai. Poi anche le questioni emotive, eccomi lì seduto ad ascoltare la radio con sopracciglia agrottate e nessuna voglia di fare alcunchè.
Un'unica cosa mi ha risvegliato: sabato 24, dice la radio, al castello di Rifembergo una mostra sul tema de "Il re del mondo" di Renè Guenon- gli impulsi pian piano mi scuotono dal mio umore oscuro.
Dunque: sabato pomeriggio lavoro, e scendendo con la bici da strada e lo zaino già pronto ce la dovrei fare a varcare il confine ad un'ora passabile. Naturalmente, sabato piove tanto e tira un vento così forte che già tornare a casa mi preoccupa, mi rattrista non poter andare all'inaugurazione in un posto di cui ho visto il castello solo da fuori. All'uscita la pioggia è calata, e mentre sono sul tram smette lasciando posto a una lama di luce che spezza le nubi con una precisione chirurgica: a Opicina è curiosamente più caldo che in città.
Così io sono lì, alle otto e tre quarti di sera con la mia vecchia bici da strada rosso amaranto, uno zainetto che dalle dimensioni non fa intendere il suo peso e sono vestito con pantaloni tre quarti neri e la giacca da bici nera , che è la mise ideale per chi attraversa le lande slovene la notte.
Curiosamente, al confine non trovo problemi con le guardie confinarie (stranamente di solito odiano i ciclisti) ma mi accorgo che in centro a Sezana mi guardano con un misto di timore e curiosità: vestito così sono la morte in bicicletta, e la notte la cosa peggiora. Fuori dal centro abitato mi butto giù per la valle in bicicletta, la statale è in discesa e, come dice il mio coinquilino Giovanni che riprende la precisa espressione dei fisici della Nasa, giù per la statale "si rulla in strabomba". 53x13 a più di cinquanta orari.
Precisamente questo mi affascina della bici da strada, e mi fa dimenticare i suoi agghiaccianti limiti fuori dall'asfalto: la valle mi corre accanto come fossi in moto, i rapporti lunghi e le grandi gomme sottili mangiano chilometri con un ritmo impensabile con qualunque bicicletta. Di notte, con la strada illuminata da una lampada a led insufficiente, con le pedalate che mangiano anche il rumore della ruota libera, volo rasoterra e la carenza di capacità visiva fa risaltare gli altri sensi. L'odore dell'erba appena tagliata, il profumo dei pini e degli alberi in fiore, il rumore degli animali del bosco.
Siccome sono su una statale frequentata dagli amanti delle alte velocità, a Kriz mi infilo a destra in una strada che taglia molti chilometri ed è più tranquilla. La morte in bicicletta? in un paesino arrivo a trenta orari alle spalle di una donna, sussurro un saluto e questa fa un salto da gatto che quasi la porta in giardino. La strada sulla quale mi sono infilato ripercorre questo schema:
-Lo stradone è veloce, fa la strada lunga serpeggiando tra le colline ed è pericoloso per il traffico.
-La stradina secondaria è stupenda di giorno, ma di notte in bici non si vede un'acca, è tranquilla ma attraversa salendo le colline che lo stradone aggira.
Questo appena enunciato non riguarda queste due strade specifiche, ma è un teorema specifico del rapporto stradone principale/stradina secondaria valevole per tutto l'universo.
Il problema della stradina è che, in questa notte di nuvolaglia priva di luna, faccio fatica a distinguere l'asfalto dal prato, e quando una foresta imponente si chiude sopra di me, mi pare che si vedano solo i miei occhi come nei cartoni animati. Una discesa impressionante con curve a gomito mi vede uscire scosso all'incrocio per Stanjel: come non abbia messo una ruota nella vegetazione trasformandomi nell'uomo proiettile, solo i santi lo sanno.
Ma io sono solo, conto su me stesso e posso andare dove voglio in questa notte. Mi sento in pericolo e al tempo stesso molto libero: da anni amo questa sensazione per cui il mio cuore ha paura ma il mio spirito si sente a casa.
Avete mai visto le mura di Stanjel ergersi illuminate la notte? E le avete mai viste senza un vetro temperato di un parabbrezza che ottunde i sensi? Io ci arrivo pedalando e sono felice come un bimbo, anche se mi domando chi troverò a quest'ora, ho sbagliato i calcoli e invece di quindici i chilometri da pedalare in totale all'andata sono ventisei.
Giù per la valle di Stanjel filo come un siluro, ma soffro del traffico perchè se un'auto mi viene incontro lo fa sempre con gli abbaglianti. Io, accecato, tendo al mezzo della strada per non infilarmi nella canaletta a destra, e se da dietro giunge un'altra auto la cosa si fa molto pericolosa. Ma gli sloveni sono automobilisti piuttosto in gamba, se sono qui a scrivere questa storia stasera.
Alla fine della discesa la valle si apre e trovo Rifembergo, mi fermo di fronte a un monumento che narra di un bagno di sangue durante uno scontro tra le truppe di Napoleone e quelle Austrungariche nel 1831. Posso dire di sentirmi arrivato e salgo alla chiesa, con l'assioma che spesso dove c'è una chiesa c'è un castello (si, sono un ignorante) e trovo una donna anziana che soffre dell'effetto morte in bici, ma con l'aiuto di un mio sorriso e della voce più calda che posso mi spiega che si, questa è Rifembergo, ma il castello è sulla strada per Komen.
Ciò mi solleva, perchè in lontananza sopra il paese, e sopra un cocuzzolo lontanissimo, brillano le luci di un altro castello che ha di fronte a sè una salita micidiale.
Quattro tipici giovani dediti all'alcolismo fuori da un bar vedono passare un veloce fantasma nero in bicicletta.
Anche la strada per Komen ha salite aggressive, e io ora comincio a sentire l'effetto combinato dello stomaco vuoto e della giornata di lavoro, ma procedo con la marcia più corta. Essendo la mia una vecchia Pinarello del 1989, il "rapportino" è un 41x25 supermacho: cercherò una mia rotula nella vegetazione?
Vedo le finestre del castello brillare, ma poi un tornante mi porta via sempre l'illusione di essere arrivato. Ne conto quattro. Sono adattato al buio, e il varcare la porta di legno del castello per trovare gente che parla a lume di candela mi da una gioia indescrivibile; l'effetto morte entra in funzione e come entro i cinque che parlavano ammutoliscono e strabuzzano- uno sguardo che vuol dire: "O questo è un folle, oppure è la morte che è giunta a prenderci tutti". Poi il primo balbetta:
-Da dove vieni?
-Da Trieste.
-In bicicletta?!
-Sono stufo di usare l'auto.
-Ma di giorno non è meglio?
-Ma la mostra è di sera.
Mi seppelliscono di domande, sono simpaticissimi e finiamo per farci le foto assieme.
Questa è la storia della mostra: organizzata come iniziativa della Slovenia in Europa, in questo castello in fase di restauro, ed espongonoBenjamin Kreze, Marko Vodopivec e Joze Pohlem. Le opere sono belle, molto belle e composite, e interessanti di quell'interessante che uno ci attacca il naso per vedere come sono fatte. I tre autori sono impegnati in una discussione sulla tecnologia e il rinconiglimento delle genti moderne, il tutto fomentato dal terrano, e non fanno una piega che alle dieci di sera uno vestito da bici si aggiri tra le loro opere. Manco smettono di parlare, e io avrei la tentazione di entrare cavalcando un suino per vedere l'effetto. Non mi filerebbero comunque. Scendo e con quelli sotto baci e abbracci e saluti da vecchi amici, mi ributto nell'oscurità. Ora sono davvero stanco e la strada per Stanjel va su come le alpi, non finisce mai e le mie gambe appaiono morte: dal tempo che ci metto invece sono andato abbastanza veloce. Stanjel-Dutovlije. Dutovlje- Repentabor passando di nascosto il valico chiuso di seconda categoria- la sorveglianza è tale che assisto al fuggi fuggi di un branco di caprioli che brucavano l'erba davanti alla porta del posto di guardia italiano.
Sono a casa, pochi chilometri, arrivo e mangio qualunque cosa mi capiti a tiro. Vado a letto e dormo come chi è uscito dall'oscurità. Una specie di gioia unita a un senso di gravità.
Un martedi mattina ero preda a pensieri plumbei, seduto sul mio letto con un muro di pioggia fuori dalla finestra, sul futuro, sui soldi che non sembrano esserci mai, sui progetti che finchè restano aspettative future non prenderò mai. Poi anche le questioni emotive, eccomi lì seduto ad ascoltare la radio con sopracciglia agrottate e nessuna voglia di fare alcunchè.
Un'unica cosa mi ha risvegliato: sabato 24, dice la radio, al castello di Rifembergo una mostra sul tema de "Il re del mondo" di Renè Guenon- gli impulsi pian piano mi scuotono dal mio umore oscuro.
Dunque: sabato pomeriggio lavoro, e scendendo con la bici da strada e lo zaino già pronto ce la dovrei fare a varcare il confine ad un'ora passabile. Naturalmente, sabato piove tanto e tira un vento così forte che già tornare a casa mi preoccupa, mi rattrista non poter andare all'inaugurazione in un posto di cui ho visto il castello solo da fuori. All'uscita la pioggia è calata, e mentre sono sul tram smette lasciando posto a una lama di luce che spezza le nubi con una precisione chirurgica: a Opicina è curiosamente più caldo che in città.
Così io sono lì, alle otto e tre quarti di sera con la mia vecchia bici da strada rosso amaranto, uno zainetto che dalle dimensioni non fa intendere il suo peso e sono vestito con pantaloni tre quarti neri e la giacca da bici nera , che è la mise ideale per chi attraversa le lande slovene la notte.
Curiosamente, al confine non trovo problemi con le guardie confinarie (stranamente di solito odiano i ciclisti) ma mi accorgo che in centro a Sezana mi guardano con un misto di timore e curiosità: vestito così sono la morte in bicicletta, e la notte la cosa peggiora. Fuori dal centro abitato mi butto giù per la valle in bicicletta, la statale è in discesa e, come dice il mio coinquilino Giovanni che riprende la precisa espressione dei fisici della Nasa, giù per la statale "si rulla in strabomba". 53x13 a più di cinquanta orari.
Precisamente questo mi affascina della bici da strada, e mi fa dimenticare i suoi agghiaccianti limiti fuori dall'asfalto: la valle mi corre accanto come fossi in moto, i rapporti lunghi e le grandi gomme sottili mangiano chilometri con un ritmo impensabile con qualunque bicicletta. Di notte, con la strada illuminata da una lampada a led insufficiente, con le pedalate che mangiano anche il rumore della ruota libera, volo rasoterra e la carenza di capacità visiva fa risaltare gli altri sensi. L'odore dell'erba appena tagliata, il profumo dei pini e degli alberi in fiore, il rumore degli animali del bosco.
Siccome sono su una statale frequentata dagli amanti delle alte velocità, a Kriz mi infilo a destra in una strada che taglia molti chilometri ed è più tranquilla. La morte in bicicletta? in un paesino arrivo a trenta orari alle spalle di una donna, sussurro un saluto e questa fa un salto da gatto che quasi la porta in giardino. La strada sulla quale mi sono infilato ripercorre questo schema:
-Lo stradone è veloce, fa la strada lunga serpeggiando tra le colline ed è pericoloso per il traffico.
-La stradina secondaria è stupenda di giorno, ma di notte in bici non si vede un'acca, è tranquilla ma attraversa salendo le colline che lo stradone aggira.
Questo appena enunciato non riguarda queste due strade specifiche, ma è un teorema specifico del rapporto stradone principale/stradina secondaria valevole per tutto l'universo.
Il problema della stradina è che, in questa notte di nuvolaglia priva di luna, faccio fatica a distinguere l'asfalto dal prato, e quando una foresta imponente si chiude sopra di me, mi pare che si vedano solo i miei occhi come nei cartoni animati. Una discesa impressionante con curve a gomito mi vede uscire scosso all'incrocio per Stanjel: come non abbia messo una ruota nella vegetazione trasformandomi nell'uomo proiettile, solo i santi lo sanno.
Ma io sono solo, conto su me stesso e posso andare dove voglio in questa notte. Mi sento in pericolo e al tempo stesso molto libero: da anni amo questa sensazione per cui il mio cuore ha paura ma il mio spirito si sente a casa.
Avete mai visto le mura di Stanjel ergersi illuminate la notte? E le avete mai viste senza un vetro temperato di un parabbrezza che ottunde i sensi? Io ci arrivo pedalando e sono felice come un bimbo, anche se mi domando chi troverò a quest'ora, ho sbagliato i calcoli e invece di quindici i chilometri da pedalare in totale all'andata sono ventisei.
Giù per la valle di Stanjel filo come un siluro, ma soffro del traffico perchè se un'auto mi viene incontro lo fa sempre con gli abbaglianti. Io, accecato, tendo al mezzo della strada per non infilarmi nella canaletta a destra, e se da dietro giunge un'altra auto la cosa si fa molto pericolosa. Ma gli sloveni sono automobilisti piuttosto in gamba, se sono qui a scrivere questa storia stasera.
Alla fine della discesa la valle si apre e trovo Rifembergo, mi fermo di fronte a un monumento che narra di un bagno di sangue durante uno scontro tra le truppe di Napoleone e quelle Austrungariche nel 1831. Posso dire di sentirmi arrivato e salgo alla chiesa, con l'assioma che spesso dove c'è una chiesa c'è un castello (si, sono un ignorante) e trovo una donna anziana che soffre dell'effetto morte in bici, ma con l'aiuto di un mio sorriso e della voce più calda che posso mi spiega che si, questa è Rifembergo, ma il castello è sulla strada per Komen.
Ciò mi solleva, perchè in lontananza sopra il paese, e sopra un cocuzzolo lontanissimo, brillano le luci di un altro castello che ha di fronte a sè una salita micidiale.
Quattro tipici giovani dediti all'alcolismo fuori da un bar vedono passare un veloce fantasma nero in bicicletta.
Anche la strada per Komen ha salite aggressive, e io ora comincio a sentire l'effetto combinato dello stomaco vuoto e della giornata di lavoro, ma procedo con la marcia più corta. Essendo la mia una vecchia Pinarello del 1989, il "rapportino" è un 41x25 supermacho: cercherò una mia rotula nella vegetazione?
Vedo le finestre del castello brillare, ma poi un tornante mi porta via sempre l'illusione di essere arrivato. Ne conto quattro. Sono adattato al buio, e il varcare la porta di legno del castello per trovare gente che parla a lume di candela mi da una gioia indescrivibile; l'effetto morte entra in funzione e come entro i cinque che parlavano ammutoliscono e strabuzzano- uno sguardo che vuol dire: "O questo è un folle, oppure è la morte che è giunta a prenderci tutti". Poi il primo balbetta:
-Da dove vieni?
-Da Trieste.
-In bicicletta?!
-Sono stufo di usare l'auto.
-Ma di giorno non è meglio?
-Ma la mostra è di sera.
Mi seppelliscono di domande, sono simpaticissimi e finiamo per farci le foto assieme.
Questa è la storia della mostra: organizzata come iniziativa della Slovenia in Europa, in questo castello in fase di restauro, ed espongonoBenjamin Kreze, Marko Vodopivec e Joze Pohlem. Le opere sono belle, molto belle e composite, e interessanti di quell'interessante che uno ci attacca il naso per vedere come sono fatte. I tre autori sono impegnati in una discussione sulla tecnologia e il rinconiglimento delle genti moderne, il tutto fomentato dal terrano, e non fanno una piega che alle dieci di sera uno vestito da bici si aggiri tra le loro opere. Manco smettono di parlare, e io avrei la tentazione di entrare cavalcando un suino per vedere l'effetto. Non mi filerebbero comunque. Scendo e con quelli sotto baci e abbracci e saluti da vecchi amici, mi ributto nell'oscurità. Ora sono davvero stanco e la strada per Stanjel va su come le alpi, non finisce mai e le mie gambe appaiono morte: dal tempo che ci metto invece sono andato abbastanza veloce. Stanjel-Dutovlije. Dutovlje- Repentabor passando di nascosto il valico chiuso di seconda categoria- la sorveglianza è tale che assisto al fuggi fuggi di un branco di caprioli che brucavano l'erba davanti alla porta del posto di guardia italiano.
Sono a casa, pochi chilometri, arrivo e mangio qualunque cosa mi capiti a tiro. Vado a letto e dormo come chi è uscito dall'oscurità. Una specie di gioia unita a un senso di gravità.