Giorno 0, L’attesa. Da Vicenza ad Alghero, 950km per 11.000m di dislivello. In aereo.
Aeroporto di Alghero, sabato 5 maggio.
“Ci dispiace Sig. Carraro, la sua bici è rimasta a Verona. Si sono dimenticati di caricarla sull’aereo”.
E’ cominciata così la mia avventura della Transardinia West… Con uno di quei momenti in cui pensi che l’aria attorno a te possa cristallizzarsi per poi esplodere in mille pezzi, come un bicchiere di cristallo fatto vibrare da un do di petto sufficientemente potente. La scena è avvenuta esattamente così: tutto ha rallentato, fino a congelarsi. L’immobilità si compie nel momento in cui l’assistente della compagnia aerea pronuncia le ultime parole.. “…è rimasta a VE-RO-NA”… Le labbra rallentano, nel sillabare il nome della bella Verona… E tutto si ferma.
Tutto tranne il tuo pensiero. Ed il tuo io cosciente rielabora l’incubo ricorrente di questo periodo, quello di vedere persa tra i nastri trasportatori la tua GT Carbon Pro nuova di pacca. E tutta la tua attrezzatura da ciclismo, vestiti, zaini, sacche idriche, protezioni e cibo tutto imballato con la bici… Un incubo che si è tentato di tenere lontano, scegliendo voli diretti da piccoli aeroporti. Precauzione che a nulla è servita, di fronte all’imbecillità di un addetto che semplicemente non ha fatto il suo lavoro.
Pensi a cosa fare, a trovare una soluzione.. Sai che il prossimo volo tra Verona ed Alghero ci sarà solo tre giorni dopo, troppo tardi per la Transardinia. Un trillo al cellulare, misteriosamente scampato al congelamento dell’aria: chi si offre di andare a prendere la bici a Verona, per portarla in aeroporto a Bergamo, da dove la compagnia in questione ha un volo serale per Alghero. Purtroppo è vietato dai regolamenti. Per un momento pensi di rinunciare, e di tornare a casa con il volo della sera. Ed è in questo preciso momento in cui l’aria esplode, in mille coriandoli di cristallo…
Ma poi pensi… “Per Diana, la bici è un mezzo o un fine?”. La bici, la MIA bici è espressione di me. Ogni suo dettaglio, come per qualsiasi appassionato è il risultato di mille riflessioni, prove, interminabili nottate sul web, chiaccherate con gli amici… Anche solo per prendere due viti per il portaborraccia si è capaci di visitare dozzine di siti rimanendo in bilico tra il color “mango” ed il “british racing green” (Cit.).. E’ ovvio che ogni biker che si rispetti voglia compiere un’avventura, un ‘esplorazione o anche solo l’anello sotto casa con la sua creatura.
Ma se questo non fosse possibile, specie per una settimana allo strenuo delle proprie capacità con 500 km di off road e svariati chilometri di dislivello da coprire? Il valore dell’esplorazione in se è superiore o meno a quello di compierla con la propria compagna? Siamo disposti ad adattarci, ad un mezzo non all’altezza, probabilmente non della nostra taglia, di non poter usare la propria attrezzatura, il proprio paio di pantaloni e la giacca che sai benissimo quanto ti riparerà dalla pioggia o quanto ti terrà caldo dall’esperienza di mille giri assieme?
Per quanto mi riguarda la risposta è si: voglio questa Transardinia almeno dal 2009…
La Transardinia: il nome racchiude tutto: si tratta di attraversare quella che è la regione meno densamente popolata d’Italia, la più selvaggia, quella che espone i viaggiatori ai più drammatici cambi di vista: da aspre montagne a spiagge incantate, incorniciate dal mare color turchino. Tale è il fascio ed il richiamo per questa avventura, che dietro il “brand” Transardinia vi sono ora molti operatori che organizzano un viaggio più o meno attrezzato. Solo uno lo organizza un tracciato adagiato sui rilievi ad Ovest dell’isola, dove i single track costeggiano scogliere a picco sul mare, prima di inerpicarsi in ripide mulattiere di montagne per tuffarsi poi nuovamente in spiagge dalla sabbia ora dorata ora bianca: ichnusa bike.
Contatto quindi tramite il sito qualche mese prima l’organizzazione, e l’efficientissimo Marcello risponde dando tutte le informazioni del caso, spiegandomi le differenze tra il circuito “classic” ed il “west”, ed il supporto offerto dall’organizzazione. Questo supporto si riassumerà in quintali di cibo distribuiti strategicamente lungo i sentieri, in dei check point prestabiliti. Ho pochi dubbi nel scegliere immediatamente il tracciato “West”: del resto per un “montanaro” come me, che ha la fortuna di avere le Dolomiti a un ora e mezzo di macchina, sarà il mare a rendere ancora più indimenticabile questa avventura!
Ed è proprio Marcello a risolvere il guaio causato dalla compagnia aerea: in un breve giro di telefonate di fronte al lost and found dell’aeroporto di Alghero si riesce a trovare una soluzione per tutto:
1) Bici: noleggiata presso il rivenditore Specialized di Cagliari. Una onesta Stumpjumper XC da 120mm di escursione. 14 kg di affidabile piacere. L’unico vero problema sono le camere d’aria, per le micidiali spine dei rovi sardi. Forerò innumerevoli volte..
2) Camelback e scarpe da bici: Marcello mi presterà le sue. Pedalare per sette-otto ore al giorno senza le proprie scarpe sarà in effetti molto più critico che percorrere la Transardinia con una bici non mia…
3) Vestiti da bici. Sassari dista 30 minuti di macchina. A Sassari c’e’ un Decathlon: mi sono venuti a prendere in aeroporto due giovani ragazzi, nipoti della proprietaria del Bed and Breakfast di Villanova di Monteforte dove alloggerò in serata. Per mia fortuna, devono comperare del lime per fare cocktail in una festa che devono organizzare in serata dopo aver tentato di spacciare limoni non ancora maturi nei Mojito senza troppo successo in altra circostanza... Mi avrebbero chiesto loro di andare a Sassari, anche senza la mia esigenza… Decathlon sarà anche un esempio di come la globalizzazione abbia spianato ogni possibile differenza, ma sfido chiunque a comperare per 150 euro un set completo di di:
Due magliette: una la uso, l’altra si asciuga. Motto della settimana: efficienza.
Calzini da Bici quanto basta.
Guanti corti e lunghi.
Pantaloni corti e lunghi.
Giacca impermeabile, messa a durissima prova durante la prima tappa.
Maglione termico per non morire di freddo. Mai usato.
In fondo questo mondo globalizzato che strangola i piccoli, permette anche di avere delle facili ed economiche soluzioni a problemi reali…
Dopo la spesa ci inerpichiamo quindi a Villanova Monteleone, dove in compagnia della gentilissima tenutaria del Bed and Breakfast attendo tutti gli altri co-protagonisiti della settimana che sta’ per cominciare: sono in viaggio da Cagliari, dove hanno dovuto attendere l’apertura del concessionario Specialized per ritirare la mia bici.
Verso le nove di sera, si affaccia tutta la banda: Marcello già conosciuto per telefono, organizzatore e driver del pick up di appoggio. In realtà si occuperà di molte altre cose, su tutte il cibo: lo scoprirò solo nei giorni a seguire. Amos, la nostra guida in MTB. Stefano e Marco, due biker di Roma. Manuela, la compagna di Marco: ci seguirà a bordo del pick up. Ed apprendo che avrebbe dovuto esserci dal Canada una ulteriore partecipante, ma che a causa di un errore di prenotazione (evidentemente il Dio del trasporto aereo è stato avverso a questa Transardinia!!) ci raggiungerà solamente la sera del secondo giorno. Si va subito a cena.
Bene. Normalmente le persone normali socializzano nei modi più svariati. “Andiamo a bere una cosa”. “Sei mai stato in questa parte della Sardegna”. “Ma che lavoro fai?”…
I bikers no. Si rompe il ghiaccio con una domanda diretta: “Che bici hai”? Serve per farsi un’idea immediata della personalità del proprietario. Una front in carbonio 29niner da 8.5 kg rigidissima? Uno che probabilmente si allena con delle ripetute anche durante i momenti della giornata dedicati all’igiene dentale. Una full con ammo a molla? Nel camelback probabilmente trasporta del Tavernello, che diventa parte per il tutto dello stile di vita del personaggio in questione…
E mentre bofonchiamo di tecnica ciclistica, di nuovi modelli, tubeless, tiro catena ed altre minchiate del genere ci scrutiamo. Ci fiutiamo, come bestie. Cerchiamo di capire subito se il nuovo conosciuto sarà più o meno scaltro di noi in discesa, ci chiediamo chi possieda spunto maggiore su salite ripide e scassate o chi abbia maggior potenza per sviluppare lunghi rapporti su sterratore.. In pratica dalla stretta di mano cerchiamo di mettere in cantiere una strategia psicologica per i giorni a seguire che invariabilmente comincia con della falsa modestia: “io vado tranquillo, non sono troppo allenato.. Del resto l’importante è arrivare in cima”. Iago nell’ordire trame contro Otello avrebbe dovuto prendere appunti, in una tavolata di Bikers....
La sera comunque scorre piacevole, nell’elettrizzato clima delle grandi occasioni… Fiumi di Cannonau e moli incredibili di Ravioli, pecorino, affettati e carne alla griglia rendono il tutto più piacevole… L’unica nuvola sulla nostra gioia è la previsione meteo per la giornata seguente, nostra prima tappa…
I Giorno, La Tempesta. Da Villanova Monteleone a Tresnuraghes, 62km per 1300m di dislivello
Acqua, acqua a catinelle… Freddo pungente, sferzate di maestrale sul viso. Si possono contare: quando arriva il turbinio del vento, rivoli di acqua si staccano dalla visiera del casco. Davanti a me una macchia rossa, deformata dalle grosse gocce di acqua sugli occhiali.. E’ Amos. Siamo così vicini, ma siamo entrambi soli… Entrambi concentrati nel non scivolare, nel non sentire freddo o stanchezza, e nel non voler mollare. In questi momenti la MTB diventa una forma di meditazione ascetica: la necessità di separare il corpo da ogni forma di stimolo esterno, per isolarsi sul proprio io cosciente. Si pensa ad altro, per non soffrire. Chi non va in bici, non riesce a capire cosa ci spinge o ci anima.. Ed a volte, pure chi ne è appassionato…
Gli unici momenti in cui noi quattro ci parliamo, è in corrispondenza del transito su cancelli. I poderi sono definiti da muretti a secco, con alti cancelli al confine della proprietà. In pratica si dovrebbe impostare una frenata con salto in Fosbury, per non doversi fermare: cosa non molto raccomandabile. L’umore nonostante tutto è alto, siamo tutti consapevoli che questo è solo il primo giorno di sette. E che nei prossimi giorni le previsioni volgono al bello.
Le condizioni peggiorano, ora sbuchiamo da un single track su una strada prima sterrata e poi asfaltata: il vecchio “Caminu Reale”, vecchia strada di principale importanza ora dismessa. Ci sono 12 gradi e siamo in braghe corte. Si fatica a rimanere in piedi, le mani intirizzite dal freddo. Bagnati fradici, ci aggrappiamo al manubrio, tra tremori violenti generati in autonomia dal nostro corpo per scaldarci. Non si vede nulla, vuoi per la nebbia, vuoi per l’acqua e per le sferzate di vento. Iniziamo a scende lungo la strada asfaltata, in cerca del Pick Up di appoggio. Troppo pericoloso continuare su roccia bagnata fuori strada, dopo ore che siamo sotto l’acqua ed il naturale esaurimento fisico che ne consegue. Scendiamo in realtà ognuno per conto suo, separati da minuti. Le condizioni sono troppo severe per occuparsi degli altri: pensi che in fondo la bici è uno sport individuale, e che tutti i presenti sono esperti biker, che hanno già affrontato situazioni simili. Così infatti accade, con Amos che chiude il gruppo… Nel giro di qualche decina di minuti di tornanti, ci troviamo sotto un telone di plastica, con una tavolata apparecchiata con ogni ben di dio di cibo. La situazione è surreale: noi siamo stanchi, infreddoliti ed affamati: in fondo sono ore che proseguiamo su tracciati off road inframezzati da cancelli da scalare e saltare… Ed ora ci troviamo di fronte ad una soluzione per il cibo, non per i vestiti bagnati ed il freddo: il telone impedisce a malapena che l’acqua ci dilavi, ma le sferzate di vento continuano a farci sentire il freddo pungente. Con l’aggravante di esserci fermati, e quindi i nostri muscoli iniziano a raffreddarsi… Per altro il banchetto che ci troviamo di fronte, e’ il risultato dell’encomiabile sforzo di Marcello.
“Non sapete quante volte ho dovuto montare e smontare il telone sotto l’acqua”, ci racconta mentre noi ci abbuffiamo di pecorino e pane guttiau. “le folate di vento continuavano a portarcelo via”… Credo che il suo essere biker gli imponesse di affrontare le intemperie come noi stavamo facendo: anche lui voleva bagnarsi, nel tentativo di darci conforto con le cibarie da lui preparate e nel tentativo di regalarci un paio di miseri metri quadri al riparo dall’acqua…
Si decide di proseguire in asfalto, abortendo una bella discesa su tecnico per Bosa. Poco male, nel giro di una decina di tornati l’acqua che ci si rovescia addosso è sensibilmente più calda: sollievo immediato. Separati, ci diamo appuntamento nell’unico bar aperto a Bosa la domenica pomeriggio, per bere qualcosa di caldo… Continua a piovere, ma non ci interessa più. Siamo al caldo, a frizionarci le estremità per scaldarci e cercare di recuperare l’uso delle dita dei piedi (un pensiero sentito rivolto agli alpinisti…).
L’umore torna alto, ed in un men che non si dica ci dirigiamo a Tresnuraghes nell’agriturismo previsto per la serata, purtroppo senza percorrere il bellissimo single track previsto a mezza scogliera, date le condizioni impossibili…
Doccia calda, cambio di vestiti e tutti a tavola: il Cannonau continua a farla da padrone, mentre Stefano in decisa vena comica intrattiene la tavolata.
Stefano è forse il più appassionato di ciclismo di tutti noi.. E’ quello con maggiore esperienza, numerosi viaggi e traversate… Da caposaldo di www.pedalando.org (gruppo sportivo dilettantistico) ha solcato con le ruote grasse ogni terreno, dalla Patagonia alla vecchia Europa. Esperto, fiuta nell’aria la direzione giusta: non ci fosse una guida, saremmo tutti a seguirlo… Porta una Scalpel, mica una MTB da tutti…
II Giorno, Il Vietnam. Da Trenuraghes a San Salvatore di Sinis, Cabras. 73km, per 960m di dislivello
Sette di mattina, il sole fa capolino tra le serrande. In un naturale riflesso Pavloviano, ci si nasconde sotto le lenzuola cercando l’oscurità… Un attimo… Luce, sole? SOLE!!! In un attimo siamo tutti giù dal letto, galvanizzati dalla presenza del sole.. L’aria è ancora fresca, l’erba bagnata fradicia. A noi non interessa, non piove!
Ci si precipita quindi per una colazione abbondantissima, come sempre sarà in questa Transardinia. Dalle otto alle nove, si mangia cibo senza interruzione. Dolce, salato, caffè e frutta. Ogni cosa, per accumulare preziose calorie. Nell’attesa del pranzo sul percorso…
In breve siamo pronti in bici, ansiosi di partire. Amos è pure attrezzato con un inquietante decespugliatore, che porta a mò di baionetta nel Camelback. Un misto tra una versione sarda di Edward mani di forbice e un Kaiserjeager Austriaco, avesse avuto il caschetto di ferro... Capiremo poi a cosa servirà. Un indizio: nessuno si è poi fatto la sfumatura alta della coppa, ne migliorato il look in costume adamitico, per mezzo di decise decespugliate….
Ci si lancia immediatamente in una pineta, e subito la Sardegna si presenta con il suo vestito più bello. Il verde dei suoi prati, il bianco delle rocce calcaree. Il blu del mare e del cielo, sembra di essere in un disegno di un infante: tutto è talmente bello da sembrare irreale.. I fiori che trapuntano di mille colori la vista, le nuvole rapide che veloci scompaiono, la linea frattale della costa… Una bellezza assoluta, complice un sole caldo che in poco tempo intiepidisce l’aria, convincendoci a togliere la giacca e rimanere in maniche corte: non la metteremo più per il resto della settimana.
In breve arriviamo alla foce di un fiume, da cui capiamo subito lo spirito d’umorismo che alberga in Sardegna. E’ chiamato il fiume grande (Riu Mannu), ma sembra un rigagnolo. Peccato che questo rigagnolo abbia scavato un poderoso Canyon, infestato da vegetazione lussureggiante più consona alla penisola Vietnamita che alla Sardegna. Non ci sono alternative, si deve attraversare.. Ed ecco entrare in azione Edward Mani di Forbice, che crea davanti a noi nei rovi un sentiero largo a sufficienza per farci passare, per centinaia di metri dopo il guado avvenuto.
Risaliti sulla sponda opposta del Canyon, si pedala su sterratoni presi dalla voglia di arrivare per la pausa pranzo, magistralmente collocata in spiaggia per farci fare il primo bagno…
Il resto della giornata scorre non facile: Scalando il monte Ferru, un telaio di una front in carbonio ci lascia a piedi. L’aspro sasso Sardo sembra preferire meccaniche più robuste, rispetto alle tiratissime bici da XC… Marco in fondo la prende bene.
L’ istrione del gruppo pare frutto della fantasia di Carlo Verdone, un personaggio d’altri tempi. Ora guascone, ora sentimentale, ora musicista, ora simpaticamente minchione, ma di un minchione non banale: direi quasi di un minchione da competizione. Struggentemente colpito dalla bellezza della Sardegna, continua a deliziarci di continue battute e storie di vita vissuta, che complice l’anossia perenne e le tossine accumulate nei muscoli (e probabilmente anche nel sistema nervoso..) rendono ancora più indimenticabile il ricordo di quei giorni, e la “saudade” di Transardinia che colpisce ripensandoci…
Ad ogni buon conto per il telaio e forcellino rotto, si provvede ad una riparazione di fortuna accorciando la catena, per permettere a Marco di arrivare sino ad un punto accessibile dal pick up di appoggio. Ed ancora una volta Marco ci stupisce: non ho mai visto qualcuno che, con una trasmissione abborracciata a single speed, riesca a piegare lo spider di una delle corone sul pacco pignone con la sola forza delle gambe. Per cui Telaio rotto, forcellino spezzato, e catena piantata nel pacco pignoni. Poco male, il pick up di appoggio serve proprio a questo, ed era giusto a qualche decina di metri di distanza…
Dopo l’abbandono alla tappa di Marco per guasto meccanico, planiamo verso l’albergo percorrendo uno strepitoso sentiero a picco sulle scogliere, intrappolati tra mare, laguna e pecore… Ovviamente colorato con le luci che sempre più approssimano il tramonto.
In albergo ci arriviamo giusto per conoscere Melanie, che si unisce al gruppo a partire dalla terza tappa…. Giornalista Canadese, biker appassionata, polpacci potenti… Appartiene a quella rara razza che desidera vivere ogni spicchio di mondo, per raccontarlo e farlo rivivere tramite le parole dei suoi scritti. Purtroppo non spiccica una parola di italiano, ma riesce a farsi capire come dove e soprattutto quando vuole: come ad esempio nell’esprimersi ammirata nei confronti di una clamorosa pasta alla bottarga che ci viene servita in serata… Arriva anche una nuova bici per Marco, per permettergli di finire la Transardinia: una onestissima Canyon Nerve nuova di pacca. E con queste sono due le bici fatte saltare fuori in emergenza dall’organizzazione…
III Giorno, L’ovile. Da San Salvatore di Sinis a Montevecchio, 75 km per 1200m di dislivello
“Scrivo queste note da un’assolata terrazza, che si apre sulla vallata di Montevecchio e dell’Arcuentu. Sotto la mia vista forre e vallate si rincorrono in un labirinto infinito, ammantato da un verde tappeto rigoglioso. La natura si riprende ciò che l’uomo le tolse, nei secoli scorsi: si tratta infatti di un antico sito minerario, attivo per secoli ed utilizzato da svariate civiltà”…
Dopo un incipit degno del solito noiosissimo scrittore inglese espatriato e ritiratosi sullo svolgersi delle colline, va detto che il punto di arrivo di questa tappa è a dir poco incantevole. Si tratta di un agriturismo, organizzato da un pecoraio locale: agriturismo con ovile annesso, o viceversa.. Difficile da dire, fatto sta che qui corrente elettrica ed acqua corrente sono lussi da non scialare, ma si è ricompensati da viste strappalacrime e dall’essere realmente fuori dal mondo, se si eccettua il pick up del pastore che esibisce che a mo di status orgoglioso in fronte alle nostre bici parcheggiate vicine al recinto delle capre. Il clima bucolico viene ulteriormente impreziosito da un delizioso maialino da latte, che generosamente ha offerto il suo corpo per i nostri palati qualche ora prima del nostro arrivo. Giusto in tempo per dare alla Ginetta (la moglie del baffuto pastore) la possibilità di prepararlo a dovere per il suo ultimo viaggio…
Naturalmente questo privilegio abbiamo dovuto conquistarcelo. Tappa strana… Partiti al mattino con estrema calma, con la fresca aggiunta della Norco Faze SL di Melanie . Bici veramente stiolsa.
Primi 40km percorsi a medie da giro d’Italia, in gruppo, dentro e fuori continue pinete: abbiamo attraversato tutto il Sinis tra Oristano ed Arborea. E da qui il paesaggio cambia repentinamente, offrendoci le secche salite della zona, che ci porteranno su valichi successivi alla nostra destinazione per la nottata. Curiosamente, la cosa che più colpisce non è il fondo –pur dissestato-, la vegetazione, le rampe od i tornanti. Non è la vista del mare che gioca a nascondino con i rilievi attorno. La cosa che più colpisce sono i profumi, che ci inseguono per tutte le salite: il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio, il ginepro, , la lavanda, la fillirea, l'Erica. il Mirto, che sarà perché son Veneto mi faceva venire voglia di un cicchetto ad ogni tornante, sbuffando sudato alla ricerca di una boccata di aria. L’aglio selvatico, con i suoi deliziosi fiori… Nessuna parola, nessuna foto potrà mai descrivere questa sensazione di panteismo totale, generata esclusivamente da questo universo di profumi, sempre distinti ma sempre accordati tra di loro…
Amos nelle lunghe rampe tira il gruppo, del resto siamo tutti esperti e non abbiamo bisogno della balia o della scopa a fine plotone. Amos, un personaggio uscito dalla penna di Samuel Beckett.. Un mix raro di genuinità, sarcasmo e profonda conoscenza della propria terra, laddove la sua cultura veniva sfoggiata sempre con estremo garbo. Icona di un “Sardismo” concentrato su un amore sconfinato per dove vive, a costo di sembrare surreale.
A testimonianza riporto una conversazione realmente avvenuta, non ricordo se in bici o a cena…
Melanie: “Diversi anni fa in estate andavo come volontaria a piantare alberi sulle foreste delle Rocky Mountains, ed è li che ho iniziato ad amare la MTB. Poi purtroppo mi è capitato un incidente”.
Tutti eccetto Amos: “Dai, che è accaduto? Racconta!”.
Melanie: “ Stavo scendendo su un sentiero, ho preso una buca e mi si è puntata la ruota anteriore. Capriola, e mi sono rotto una spalla…”.
Tutti eccetto Amos: “Azz, che sfiga!!!”.
Melanie: “Il problema vero è stato che a 10 metri da me c’era un orso, che ha iniziato a fissarmi. Un giovane maschio, abbastanza affamato…”.
Tutti eccetto Amos: “Ooooohhhhh!!!”.
Melanie: “Ho inizato a spostarmi lentamente, abbandonando la bici sul posto. Non bisogna scappare davanti ad un orso, altrimenti ti attacca immediatamente. Sono scesa tagliando per il bosco al tornante successivo della strada. Ho ritrovato lo stesso orso che mi stava seguendo”.
Tutti eccetto Amos: “AAAAAHHHHHH!!!”
Melanie: “Quindi sono nuovamente scesa di un altro tornante. L’orso continuava a seguirmi. Aveva capito che ero ferita, del resto avevo sangue su tutta la faccia…Cibo facile insomma. Quindi ho fatto l’unica cosa che potevo fare: mi sono arrampicata su un albero robusto a sufficienza per tenermi, ma troppo debole nei rami bassi per reggere il peso dell’orso bruno. Il problema è stato arrampicarmi con un braccio solo, dato che avevo la clavicola rotta. Dopo sei ore passate sull’albero, affamata ed infreddolita, per fortuna i miei compagni di campeggio sono venuti a cercarmi. Il difficile è stato non cadere dall’albero quando mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza e dallo stress.”.
Tutti eccetto Amos: “OMMIODDIOMMIODDIOMIO!!!!!!!!!!!!!!”.
Melanie si rende conto dell’orrore stampato sui nostri occhi (eccetto quelli di Amos).. In italia il peggio che ti possa capitare con le bestie feroci durante un’uscita è di avere un cane che cerca di mordicchiarti i polpacci mentre passi nella proprietà di un podere... E per sdrammatizzare ci dice:
Melanie: “ Ma non preoccupatevi ragazzi!! E’ comune avere storie di Orsi in Canada, anzi tutti i canadesi che vanno in montagna ne hanno una.. “.
Nel silenzio generale, di profondo rispetto per questa che ai nostri occhi si presenta come una eroina della MTB, si erge imperiosa la voce di Amos, caratterizzata dalla tipica inflessione.
Amos: “Invece in Sardegna tutti hanno storie di Zecche. E’ la zecca la bestia feroce di quest’isola…” . “Ti attacca le malattie, ma noi Sardi ci siamo abituati. Infatti uno del mio paese, andava a trovare sempre suo Zio in un posto pieno di Zecche. Tutte le volte tornava con le Zecche addosso. Ma lui mai niente, le toglieva e basta. Un giorno è tornato, ma poi è stato male. Tutti a pensare alle Zecche. Invece aveva solo mangiato gli spaghetti con le cozze la sera prima.. Eeeehh.. son le cozze che fanno male”.
Segue silenzio surreale… E conseguente risata esplosiva di tutti eccetto Melanie, che si è persa il racconto e ci chiede cosa ci sia da ridere sugli Orsi…
IV Giorno, le Dune. Da Montevecchio a Fluminimaggiore, 60km per 1500m di dislivello
Bar nel centro di Fluminimaggiore alle cinque del pomeriggio, un bar dal gusto anni settanta. Nel senso che non è mai stato riarredato dagli anni settanta. Molto Folk, per dirla alla Amos. Abbiamo già percorso quasi tutto il percorso, 65km abbondanti per i soliti mille-mila di dislivello. Alla terza birra Ichnusa che tracanniamo a testa, una domanda sorge spontanea dal gruppo verso la nostra guida:
“Amos, ma sei proprio sicuro che il posto nel quale dobbiamo dormire si trovi qui dietro?”
“Eeeehhh… Certo.. Saranno al massimo sei chilometri di falso piano in asfalto”….
Bene: dopo metri seicento l’asfalto l’abbiamo abbandonato, per inerpicarci in una scassatissima carreccia al 20% che serviva una locale miniera di Zolfo, guadagnando 200-300m di altitudine in pochissimo. Ovviamente impraticabile in sella soprattutto per le numerose birre in corpo, anche considerando che la carreccia in questione era veramente scassata e pure un poco esposta... Ed è qui, baciato dal sole gentile delle sei, mentre spingo la bici su per l’erta salita fissando i polpacci di Stefano che nemmeno Sisifo doveva subire nel suo supplizio, che penso alla gloriosa giornata di Mountain Bike di oggi.
Gloriosa, nessun aggettivo può essere meglio speso… Inizia al mattino, fuori dall’agriturismo “l’Aquila” che ci ha ospitato all’ombra dell’Arcuentu la sera prima. Subito ci tuffiamo in un esaltante single track: vegetazione mediterranea, nel solito trionfo di profumi che quest’isola offre.. Continui saliscendi, strappi micidiali che a freddo fanno male per poi rituffarsi verso il basso, con la gravità che mette sempre a maggiore prova dischi, pastiglie e mozzi… Continuiamo imperterriti fino ad arrivare in fondo valle, dove si apre per il nostro divertimento uno dei più belli bike park al naturale che mi sia capitato di vedere: un greto di un torrente, levigato alla perfezione, si offre con continue cunette da saltare, curva a parabola, ininterrotti guadi che mettono a dura prova cuscinetti e movimenti centrali…Ne ho contati 12, ma forse erano di più… Ma che goduria, siamo cinque bambini che giocano con i loro giocattoli, sorrisi stampati e pace con il mondo.
E questo torrente sbuca in quello che sarà l’ennesima meraviglia –inattesa- che quest’isola ci offre. Arriviamo nelle spiaggie di Piscinas, dove le dune alte fino a 100 metri sono continuamente modellate e trasformate dai venti che soffiano forti in questo tratto di costa. Dune di sabbia bianca, finissima. Ovviamente non resistiamo, ed nel giro di qualche minuto siamo in costume da bagno a tuffarci nell’acqua “fresca” che il Tirreno ci offre a maggio: circa 14-15 gradi…
La tappa prosegue nell’entroterra, fino al valico del massiccio del Linas e la successiva lunga discesa a Fluminimaggiore, da qui un’antica strada mineraria ci condurrà all’ostello su un rigoglioso versante a pochi metri dalle meravigliose grotte di Su Mannau dove pernotteremo. Grotte che non visiteremo. Perché? Da chiedere alla pro loco di Fluminimaggiore…
A cena al solito ci si barcamena tra quantità incredibili di cibo, con un Amos che se sui sentieri ci distanzia di appena un’incollatura, a tavola dimostra di essere un vero fuori classe surclassando tutti in scioltezza.
“Eeehhh…. A casa non mangio tanto, devo preparare io. Ma qui mi risparmio la fatica, non devo preparare nulla. Quindi tanto vale mangiare…”.. Logica inossidabile.
A molti è venuto il sottile sospetto che faccia la guida MTB per mangiare, e non viceversa…
Dopocena, all’aperto: il buio del cielo, in questa zona subito fuori le grotte di Su Mannau. La luce delle stelle, come solo i cieli più bui riescono a far risaltare. Le chiacchere con Marcello, diversamente onnivoro. Un pensiero a Calvino, che non avrebbe potuto descrivere meglio un momento come questo:
“E' questa l'esatta geometria degli spazi siderei, cui tante volte il signor Palomar ha sentito il bisogno di rivolgersi, per staccarsi dalla Terra, luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse? Trovandosi davvero in presenza del cielo stellato, tutto sembra che gli sfugga. Anche ciò a cui lui si credeva più sensibile, la piccolezza del nostro mondo rispetto le distanze sconfinate, non risulta direttamente. Il firmamento è qualcosa che sta lassù, che si vede che c'è , ma da cui non si può ricavare nessuna idea di dimensioni o di distanza.
Se i corpi luminosi sono carichi d'incertezza, non resta che affidarsi al buio, alle regioni deserte del cielo. Cosa può esserci di più stabile del nulla? Eppure anche del nulla non si può essere sicuri al cento per cento. Palomar dove vede una radura del firmamento, una breccia vuota e nera, vi fissa lo sguardo come proiettandosi in essa; ed ecco che anche li in mezzo prende forma un qualche granello chiaro o macchiolina o lentiggine; ma lui non arriva a essere sicuro se ci sono davvero o se gli sembra solo di vederli. Forse è un chiarore come se ne vedono ruotare tenendo gli occhi chiusi (il cielo buio è come il rovescio delle palpebre solcato da fosféni); forse è un riflesso dei suoi occhiali; ma potrebbe anche essere una stella sconosciuta che emerge dalle profondità più remote.” I. Calvino, Palomar.
V Giorno, La Sfida. Da Fluminimaggiore a Iglesias, 85km per 1700m di dislivello
Il Ballo di San Vito - Vinicio Capossela - YouTube
“Salsicce fegatini
viscere alla brace “
Ci sono dei giorni in cui ti alzi, e nella testa continua a suonare il nastro di una canzone. Dal primo momento in cui appoggi un piede giù dal letto, rigorosamente il destro…
“e fiaccole danzanti
lamelle dondolanti
sul dorso della chiesa fiammeggiante “
Quella canzone diventerà la colonna sonora della giornata … Continuando a sentirla nella testa, continuando a cantarla a squarciagola per caricarti nei momenti di difficoltà… O sentirla in crescendo di un momento speciale, come quando le ruote scorrono morbide sulle asperità del terreno, con il corpo che copia tutti i sobbalzi in un tutt’uno con la bici…
“vino, bancarelle
terra arsa e rossa”
Una giornata memorabile, per kilometri, dislivello e difficoltà… 85km di sterrato, per 1700m di dislivello. Dopo quattro giorni di fatiche crescenti. E dovevano essere solo 70, i kilometri…E molto più facili…
“terra di sud, terra di sud
terra di confine
terra di dove finisce la terra “
Non so per quale motivo, ma la colonna sonora di questo giorno è "Il Ballo di San Vito" di Vinicio Capossela. Che paradossalmente non è neppure tra i miei preferiti… Così come non capisco il nesso tra il l’Irpinia di Capossela e la Sardegna di questa giornata, misteri della psiche. Forse solo frammenti di parole rubate da un testo che ben si adatta al paesaggio, senza dove scomodare Freud…
“e il continente se ne infischia
e non il vento
e il continente se ne infischia e non il vento
Mustafà viene di Affrica
e qui soffia il vento d'Affrica
e ci dice tenetemi fermo “
Partiamo al mattino, direzione Bruggerru. Scavalchiamo dei colli fuori Fluminimaggiore, sembra una tappa lenta. Da Bruggerru saliamo in un piccolo altipiano, a picco sul mare. Sentiero molto tecnico, si fa fatica a camminare: figuriamoci passarci in mezzo in bicicletta…
Innumerevoli sobbalzi a seguire, il sentiero scende deciso: un single trek molto tecnico, pieno di rocce calcaree affilate come rasoi: cadere non sarebbe una bella esperienza. Il sentiero si infila in una valle, stretta ed imbudellata. Sembra un non luogo destinato a richiudersi su se stesso, senza mai lasciare uscire i poveri forestieri che provano ad attraversarlo. E continua, scendendo in continuazione.. Dopo un tempo indefinito, l’unica differenza che si nota è che a valle dei drop meno pronunciati ora inizia ad esserci sabbia, non più bianche rocce calcaree. Come per magia, la valle si apre d’incanto lasciando intravedere una meravigliosa caletta: cala Domestica. Il mare di un turchese che non credi possa esistere veramente, la baia solo per noi e per una povera coppia clamorosamente interrotta nel mezzo di attività ricreative ad alto spessore atletico. Mai avrebbero potuto immaginare che un nugolo di bikers vestiti di Lycra e gasati per la discesa, avrebbe potuto disturbare l’intimità conquistata con uno sbarco dal mare: erano infatti arrivati in barca a vela…
Solito pranzo pantagruelico organizzato da Marcello all’ombra di un Tiglio (o di un Gelso? Mah…), che ci proietta nella seconda parte della giornata, decisamente impegnativa.
Si scollinano numerosi colli, si taglia su numerosi sentieri minerari, ora abbandonati. 20km buoni percorsi su creste, il mare da un lato e la destinazione finale dall’altro… Ma la linea delle creste si annoda su se stessa come una serpe, aggiungendo kilometri ai kilometri.
“A noi due balliam la danza delle spade
fino alla squarcio rosso d'alba
nessuno che m'aspetta, nessuno che m'aspetta
nessuno che mi aspetta o mi sospetta “
Le gambe sempre più stanche, ma la voglia continua a crescere: una sensazione strana, si capisce che questa sarà “la tappa” di questa Transardinia. Nessuno vuole rimanere indietro, tutti a testa bassa a macinare kilometri, a ridere e scherzare… Melanie arriva vicina all’esaurimento, ma poi qualche bucatura e conseguente stop del gruppo le permette di riposare e tirare il fiato. Arriviamo quindi all’attacco della salita seria della giornata, attraversando un vecchio insediamento minerario abbandonatoa Montevecchio.
Mille metri da coprire più o meno, su un fondo molto dissestato: punta Campu Spina. Saliamo sgranati, ma quello che ci aspetta dalla parte opposta del monte ci ripaga di ogni fatica: una vista mozzafiato con il mare tutto intorno a noi, con S. Antioco e Carloforte che sembravano a portata di mano. Ed una discesa incredibilmente bella: ora tecnica, ora filante, ora con spettacolari passaggi dentro il bosco.
“Questo è il male che mi porto da
trent'anni addosso
fermo non so stare in nessun posto
rotola rotola rotola il masso
rotola addosso, rotola in basso
e il muschio non si cresce sopra il sasso
e il muschio non si cresce sopra il sasso “
Si canta nella discesa… Si canta a squarciagola… Sempre con un fondo perfetto, terreno morbido che sembrava disegnato per fare grip sulle ruote tassellate. Sospetto sia la discesa della quale si parla in questo post: http://www.mtb-forum.it/in-giro-con-sardegna-freeride/ . In fondo alla discesa, qualche km di piano e si attraversa una grotta in bici, per ricongiungerci all’ultimo sterratone che ci porterà all’hotel. Alle nove di sera alla luce dei fari anabbaglianti di Marcello, che ci segue con il pick up per gli ultimi kilometri per farci vedere la strada. Stanchissimi, affamati ma contenti di aver vissuto quella giornata indimenticabile…
VI Giorno, la Miniera. Da Iglesias a Narcao, 60km per 1200m di dislivello
Tappa interlocutoria, vuoi per la grande fatica del giorno prima, vuoi perché la zona mineraria è per definizione più spoglia e meno varia. Ci si alza con calma, si parte con calma… Giriamo con calma attorno alle zone minerarie dismesse di Iglesias… Il grande caldo sopra i trenta gradi che impone…. Calma! La parte migliore della giornata arriverà dopo l’arrivo di tappa, con un ultima discesa che ricalca il tracciato delle gare provinciali di DH.
Si pernotterà infatti nel villaggio minerario di Rosas, a Narcao. Un villaggio minerario recuperato ad uso turistico, con stanze ricavate dai precedenti alloggi dei tecnici, il ristorante ed il bar dalle stanze o dai dormitori comuni dei minatori. Ovviamente la miniera si può visitare tanto nelle gallerie, quanto nelle zone di lavorazione del materiale estratto. Una visita molto interessante, coronata da una cena indimenticabile non può che consigliare di tornare al più presto:
http://www.villaggiominerariorosas.it/ .
VII Giorno, Il Mare. Da Narcao a Pula, 73km per 1300m di dislivello
Ultimo giorno, tempo di bilanci. Tempo per pensare ai suoni, profumi ed immagini vissute. Tempo di pensare alle nuove amicizie incontrate, alla cultura di un popolo, ai discorsi fatti. Tempo per pensare che si potrebbe continuare così, a macinare kilometri ogni giorno: Il tuo corpo che si trasforma in una macchina -dammi cibo e spingo sui pedali-, lo spirito che si affranca tanto in compagnia tra le risate, quanto in solitudine riempito dai profumi e dalle viste mozzafiato che quest’isola riesce ad offrire. Siamo tutti ammantati da un filo di mestizia, chiacchieriamo poco durante le ultime salite… Chi pensa ad arrivare in tempo al traghetto in partenza da Cagliari, chi invece a come far ripartire normalmente la vita di tutti i giorni. Vita così diversa da questa magnifica esperienza…
All’arrivo dell’ultima salita, nel pieno del Sulcis, siamo tristi ma non lo diamo a vedere. Siamo ancora in bici, ancora una volta dal valico vediamo il mare, i profumi sono gli stessi, in questo bosco di Lecci… Ma sappiamo tutti che è l’ultimo giorno. Forse per rendere il distacco meno brutale, l’ultima infinita discesa dalla cima del monte Sèbera di circa ottocento metri di dislivello è una noiosissima planata in una strada bianca a tornanti, neppure parente delle discese mozzafiato delle altre tappe: discese tecniche o facili, ma sempre con la caratteristica di avere viste incredibili.
Quindi l’ultimo pasto assieme, abbracci e baci. L’unica volta che si pasteggia senza dover fare almeno altri 35 km poi. Viene organizzata una premiazione per Stefano e Melanie: loro hanno percorso tanto la West quanto la Classic, per tanto entrano a buon diritto nell’olimpo dei Transardiners che hanno coperto entrambi i tracciati. Promesse di vederci quanto prima, promesse di percorrere assieme qualche altro raid. Il giro del Monterosa a Luglio, perché no… Ma Luglio è lontano… Bisogna arrivarci a Luglio, con questa nostalgia di quei giorni addosso…
P.S.
Per chi volesse maggiori info sul giro compiuto, segnalo il sito web di Ichnusa dedicato alle Transardinia che viene organizzata: www.transardinia.it o www.ichnusabike.it.
Aeroporto di Alghero, sabato 5 maggio.
“Ci dispiace Sig. Carraro, la sua bici è rimasta a Verona. Si sono dimenticati di caricarla sull’aereo”.
E’ cominciata così la mia avventura della Transardinia West… Con uno di quei momenti in cui pensi che l’aria attorno a te possa cristallizzarsi per poi esplodere in mille pezzi, come un bicchiere di cristallo fatto vibrare da un do di petto sufficientemente potente. La scena è avvenuta esattamente così: tutto ha rallentato, fino a congelarsi. L’immobilità si compie nel momento in cui l’assistente della compagnia aerea pronuncia le ultime parole.. “…è rimasta a VE-RO-NA”… Le labbra rallentano, nel sillabare il nome della bella Verona… E tutto si ferma.
Tutto tranne il tuo pensiero. Ed il tuo io cosciente rielabora l’incubo ricorrente di questo periodo, quello di vedere persa tra i nastri trasportatori la tua GT Carbon Pro nuova di pacca. E tutta la tua attrezzatura da ciclismo, vestiti, zaini, sacche idriche, protezioni e cibo tutto imballato con la bici… Un incubo che si è tentato di tenere lontano, scegliendo voli diretti da piccoli aeroporti. Precauzione che a nulla è servita, di fronte all’imbecillità di un addetto che semplicemente non ha fatto il suo lavoro.
Pensi a cosa fare, a trovare una soluzione.. Sai che il prossimo volo tra Verona ed Alghero ci sarà solo tre giorni dopo, troppo tardi per la Transardinia. Un trillo al cellulare, misteriosamente scampato al congelamento dell’aria: chi si offre di andare a prendere la bici a Verona, per portarla in aeroporto a Bergamo, da dove la compagnia in questione ha un volo serale per Alghero. Purtroppo è vietato dai regolamenti. Per un momento pensi di rinunciare, e di tornare a casa con il volo della sera. Ed è in questo preciso momento in cui l’aria esplode, in mille coriandoli di cristallo…
Ma poi pensi… “Per Diana, la bici è un mezzo o un fine?”. La bici, la MIA bici è espressione di me. Ogni suo dettaglio, come per qualsiasi appassionato è il risultato di mille riflessioni, prove, interminabili nottate sul web, chiaccherate con gli amici… Anche solo per prendere due viti per il portaborraccia si è capaci di visitare dozzine di siti rimanendo in bilico tra il color “mango” ed il “british racing green” (Cit.).. E’ ovvio che ogni biker che si rispetti voglia compiere un’avventura, un ‘esplorazione o anche solo l’anello sotto casa con la sua creatura.
Ma se questo non fosse possibile, specie per una settimana allo strenuo delle proprie capacità con 500 km di off road e svariati chilometri di dislivello da coprire? Il valore dell’esplorazione in se è superiore o meno a quello di compierla con la propria compagna? Siamo disposti ad adattarci, ad un mezzo non all’altezza, probabilmente non della nostra taglia, di non poter usare la propria attrezzatura, il proprio paio di pantaloni e la giacca che sai benissimo quanto ti riparerà dalla pioggia o quanto ti terrà caldo dall’esperienza di mille giri assieme?
Per quanto mi riguarda la risposta è si: voglio questa Transardinia almeno dal 2009…
La Transardinia: il nome racchiude tutto: si tratta di attraversare quella che è la regione meno densamente popolata d’Italia, la più selvaggia, quella che espone i viaggiatori ai più drammatici cambi di vista: da aspre montagne a spiagge incantate, incorniciate dal mare color turchino. Tale è il fascio ed il richiamo per questa avventura, che dietro il “brand” Transardinia vi sono ora molti operatori che organizzano un viaggio più o meno attrezzato. Solo uno lo organizza un tracciato adagiato sui rilievi ad Ovest dell’isola, dove i single track costeggiano scogliere a picco sul mare, prima di inerpicarsi in ripide mulattiere di montagne per tuffarsi poi nuovamente in spiagge dalla sabbia ora dorata ora bianca: ichnusa bike.
Contatto quindi tramite il sito qualche mese prima l’organizzazione, e l’efficientissimo Marcello risponde dando tutte le informazioni del caso, spiegandomi le differenze tra il circuito “classic” ed il “west”, ed il supporto offerto dall’organizzazione. Questo supporto si riassumerà in quintali di cibo distribuiti strategicamente lungo i sentieri, in dei check point prestabiliti. Ho pochi dubbi nel scegliere immediatamente il tracciato “West”: del resto per un “montanaro” come me, che ha la fortuna di avere le Dolomiti a un ora e mezzo di macchina, sarà il mare a rendere ancora più indimenticabile questa avventura!
Ed è proprio Marcello a risolvere il guaio causato dalla compagnia aerea: in un breve giro di telefonate di fronte al lost and found dell’aeroporto di Alghero si riesce a trovare una soluzione per tutto:
1) Bici: noleggiata presso il rivenditore Specialized di Cagliari. Una onesta Stumpjumper XC da 120mm di escursione. 14 kg di affidabile piacere. L’unico vero problema sono le camere d’aria, per le micidiali spine dei rovi sardi. Forerò innumerevoli volte..
2) Camelback e scarpe da bici: Marcello mi presterà le sue. Pedalare per sette-otto ore al giorno senza le proprie scarpe sarà in effetti molto più critico che percorrere la Transardinia con una bici non mia…
3) Vestiti da bici. Sassari dista 30 minuti di macchina. A Sassari c’e’ un Decathlon: mi sono venuti a prendere in aeroporto due giovani ragazzi, nipoti della proprietaria del Bed and Breakfast di Villanova di Monteforte dove alloggerò in serata. Per mia fortuna, devono comperare del lime per fare cocktail in una festa che devono organizzare in serata dopo aver tentato di spacciare limoni non ancora maturi nei Mojito senza troppo successo in altra circostanza... Mi avrebbero chiesto loro di andare a Sassari, anche senza la mia esigenza… Decathlon sarà anche un esempio di come la globalizzazione abbia spianato ogni possibile differenza, ma sfido chiunque a comperare per 150 euro un set completo di di:
Due magliette: una la uso, l’altra si asciuga. Motto della settimana: efficienza.
Calzini da Bici quanto basta.
Guanti corti e lunghi.
Pantaloni corti e lunghi.
Giacca impermeabile, messa a durissima prova durante la prima tappa.
Maglione termico per non morire di freddo. Mai usato.
In fondo questo mondo globalizzato che strangola i piccoli, permette anche di avere delle facili ed economiche soluzioni a problemi reali…
Dopo la spesa ci inerpichiamo quindi a Villanova Monteleone, dove in compagnia della gentilissima tenutaria del Bed and Breakfast attendo tutti gli altri co-protagonisiti della settimana che sta’ per cominciare: sono in viaggio da Cagliari, dove hanno dovuto attendere l’apertura del concessionario Specialized per ritirare la mia bici.
Verso le nove di sera, si affaccia tutta la banda: Marcello già conosciuto per telefono, organizzatore e driver del pick up di appoggio. In realtà si occuperà di molte altre cose, su tutte il cibo: lo scoprirò solo nei giorni a seguire. Amos, la nostra guida in MTB. Stefano e Marco, due biker di Roma. Manuela, la compagna di Marco: ci seguirà a bordo del pick up. Ed apprendo che avrebbe dovuto esserci dal Canada una ulteriore partecipante, ma che a causa di un errore di prenotazione (evidentemente il Dio del trasporto aereo è stato avverso a questa Transardinia!!) ci raggiungerà solamente la sera del secondo giorno. Si va subito a cena.
Bene. Normalmente le persone normali socializzano nei modi più svariati. “Andiamo a bere una cosa”. “Sei mai stato in questa parte della Sardegna”. “Ma che lavoro fai?”…
I bikers no. Si rompe il ghiaccio con una domanda diretta: “Che bici hai”? Serve per farsi un’idea immediata della personalità del proprietario. Una front in carbonio 29niner da 8.5 kg rigidissima? Uno che probabilmente si allena con delle ripetute anche durante i momenti della giornata dedicati all’igiene dentale. Una full con ammo a molla? Nel camelback probabilmente trasporta del Tavernello, che diventa parte per il tutto dello stile di vita del personaggio in questione…
E mentre bofonchiamo di tecnica ciclistica, di nuovi modelli, tubeless, tiro catena ed altre minchiate del genere ci scrutiamo. Ci fiutiamo, come bestie. Cerchiamo di capire subito se il nuovo conosciuto sarà più o meno scaltro di noi in discesa, ci chiediamo chi possieda spunto maggiore su salite ripide e scassate o chi abbia maggior potenza per sviluppare lunghi rapporti su sterratore.. In pratica dalla stretta di mano cerchiamo di mettere in cantiere una strategia psicologica per i giorni a seguire che invariabilmente comincia con della falsa modestia: “io vado tranquillo, non sono troppo allenato.. Del resto l’importante è arrivare in cima”. Iago nell’ordire trame contro Otello avrebbe dovuto prendere appunti, in una tavolata di Bikers....
La sera comunque scorre piacevole, nell’elettrizzato clima delle grandi occasioni… Fiumi di Cannonau e moli incredibili di Ravioli, pecorino, affettati e carne alla griglia rendono il tutto più piacevole… L’unica nuvola sulla nostra gioia è la previsione meteo per la giornata seguente, nostra prima tappa…
I Giorno, La Tempesta. Da Villanova Monteleone a Tresnuraghes, 62km per 1300m di dislivello
Acqua, acqua a catinelle… Freddo pungente, sferzate di maestrale sul viso. Si possono contare: quando arriva il turbinio del vento, rivoli di acqua si staccano dalla visiera del casco. Davanti a me una macchia rossa, deformata dalle grosse gocce di acqua sugli occhiali.. E’ Amos. Siamo così vicini, ma siamo entrambi soli… Entrambi concentrati nel non scivolare, nel non sentire freddo o stanchezza, e nel non voler mollare. In questi momenti la MTB diventa una forma di meditazione ascetica: la necessità di separare il corpo da ogni forma di stimolo esterno, per isolarsi sul proprio io cosciente. Si pensa ad altro, per non soffrire. Chi non va in bici, non riesce a capire cosa ci spinge o ci anima.. Ed a volte, pure chi ne è appassionato…
Gli unici momenti in cui noi quattro ci parliamo, è in corrispondenza del transito su cancelli. I poderi sono definiti da muretti a secco, con alti cancelli al confine della proprietà. In pratica si dovrebbe impostare una frenata con salto in Fosbury, per non doversi fermare: cosa non molto raccomandabile. L’umore nonostante tutto è alto, siamo tutti consapevoli che questo è solo il primo giorno di sette. E che nei prossimi giorni le previsioni volgono al bello.
Le condizioni peggiorano, ora sbuchiamo da un single track su una strada prima sterrata e poi asfaltata: il vecchio “Caminu Reale”, vecchia strada di principale importanza ora dismessa. Ci sono 12 gradi e siamo in braghe corte. Si fatica a rimanere in piedi, le mani intirizzite dal freddo. Bagnati fradici, ci aggrappiamo al manubrio, tra tremori violenti generati in autonomia dal nostro corpo per scaldarci. Non si vede nulla, vuoi per la nebbia, vuoi per l’acqua e per le sferzate di vento. Iniziamo a scende lungo la strada asfaltata, in cerca del Pick Up di appoggio. Troppo pericoloso continuare su roccia bagnata fuori strada, dopo ore che siamo sotto l’acqua ed il naturale esaurimento fisico che ne consegue. Scendiamo in realtà ognuno per conto suo, separati da minuti. Le condizioni sono troppo severe per occuparsi degli altri: pensi che in fondo la bici è uno sport individuale, e che tutti i presenti sono esperti biker, che hanno già affrontato situazioni simili. Così infatti accade, con Amos che chiude il gruppo… Nel giro di qualche decina di minuti di tornanti, ci troviamo sotto un telone di plastica, con una tavolata apparecchiata con ogni ben di dio di cibo. La situazione è surreale: noi siamo stanchi, infreddoliti ed affamati: in fondo sono ore che proseguiamo su tracciati off road inframezzati da cancelli da scalare e saltare… Ed ora ci troviamo di fronte ad una soluzione per il cibo, non per i vestiti bagnati ed il freddo: il telone impedisce a malapena che l’acqua ci dilavi, ma le sferzate di vento continuano a farci sentire il freddo pungente. Con l’aggravante di esserci fermati, e quindi i nostri muscoli iniziano a raffreddarsi… Per altro il banchetto che ci troviamo di fronte, e’ il risultato dell’encomiabile sforzo di Marcello.
“Non sapete quante volte ho dovuto montare e smontare il telone sotto l’acqua”, ci racconta mentre noi ci abbuffiamo di pecorino e pane guttiau. “le folate di vento continuavano a portarcelo via”… Credo che il suo essere biker gli imponesse di affrontare le intemperie come noi stavamo facendo: anche lui voleva bagnarsi, nel tentativo di darci conforto con le cibarie da lui preparate e nel tentativo di regalarci un paio di miseri metri quadri al riparo dall’acqua…
Si decide di proseguire in asfalto, abortendo una bella discesa su tecnico per Bosa. Poco male, nel giro di una decina di tornati l’acqua che ci si rovescia addosso è sensibilmente più calda: sollievo immediato. Separati, ci diamo appuntamento nell’unico bar aperto a Bosa la domenica pomeriggio, per bere qualcosa di caldo… Continua a piovere, ma non ci interessa più. Siamo al caldo, a frizionarci le estremità per scaldarci e cercare di recuperare l’uso delle dita dei piedi (un pensiero sentito rivolto agli alpinisti…).
L’umore torna alto, ed in un men che non si dica ci dirigiamo a Tresnuraghes nell’agriturismo previsto per la serata, purtroppo senza percorrere il bellissimo single track previsto a mezza scogliera, date le condizioni impossibili…
Doccia calda, cambio di vestiti e tutti a tavola: il Cannonau continua a farla da padrone, mentre Stefano in decisa vena comica intrattiene la tavolata.
Stefano è forse il più appassionato di ciclismo di tutti noi.. E’ quello con maggiore esperienza, numerosi viaggi e traversate… Da caposaldo di www.pedalando.org (gruppo sportivo dilettantistico) ha solcato con le ruote grasse ogni terreno, dalla Patagonia alla vecchia Europa. Esperto, fiuta nell’aria la direzione giusta: non ci fosse una guida, saremmo tutti a seguirlo… Porta una Scalpel, mica una MTB da tutti…
II Giorno, Il Vietnam. Da Trenuraghes a San Salvatore di Sinis, Cabras. 73km, per 960m di dislivello
Sette di mattina, il sole fa capolino tra le serrande. In un naturale riflesso Pavloviano, ci si nasconde sotto le lenzuola cercando l’oscurità… Un attimo… Luce, sole? SOLE!!! In un attimo siamo tutti giù dal letto, galvanizzati dalla presenza del sole.. L’aria è ancora fresca, l’erba bagnata fradicia. A noi non interessa, non piove!
Ci si precipita quindi per una colazione abbondantissima, come sempre sarà in questa Transardinia. Dalle otto alle nove, si mangia cibo senza interruzione. Dolce, salato, caffè e frutta. Ogni cosa, per accumulare preziose calorie. Nell’attesa del pranzo sul percorso…
In breve siamo pronti in bici, ansiosi di partire. Amos è pure attrezzato con un inquietante decespugliatore, che porta a mò di baionetta nel Camelback. Un misto tra una versione sarda di Edward mani di forbice e un Kaiserjeager Austriaco, avesse avuto il caschetto di ferro... Capiremo poi a cosa servirà. Un indizio: nessuno si è poi fatto la sfumatura alta della coppa, ne migliorato il look in costume adamitico, per mezzo di decise decespugliate….
Ci si lancia immediatamente in una pineta, e subito la Sardegna si presenta con il suo vestito più bello. Il verde dei suoi prati, il bianco delle rocce calcaree. Il blu del mare e del cielo, sembra di essere in un disegno di un infante: tutto è talmente bello da sembrare irreale.. I fiori che trapuntano di mille colori la vista, le nuvole rapide che veloci scompaiono, la linea frattale della costa… Una bellezza assoluta, complice un sole caldo che in poco tempo intiepidisce l’aria, convincendoci a togliere la giacca e rimanere in maniche corte: non la metteremo più per il resto della settimana.
In breve arriviamo alla foce di un fiume, da cui capiamo subito lo spirito d’umorismo che alberga in Sardegna. E’ chiamato il fiume grande (Riu Mannu), ma sembra un rigagnolo. Peccato che questo rigagnolo abbia scavato un poderoso Canyon, infestato da vegetazione lussureggiante più consona alla penisola Vietnamita che alla Sardegna. Non ci sono alternative, si deve attraversare.. Ed ecco entrare in azione Edward Mani di Forbice, che crea davanti a noi nei rovi un sentiero largo a sufficienza per farci passare, per centinaia di metri dopo il guado avvenuto.
Risaliti sulla sponda opposta del Canyon, si pedala su sterratoni presi dalla voglia di arrivare per la pausa pranzo, magistralmente collocata in spiaggia per farci fare il primo bagno…
Il resto della giornata scorre non facile: Scalando il monte Ferru, un telaio di una front in carbonio ci lascia a piedi. L’aspro sasso Sardo sembra preferire meccaniche più robuste, rispetto alle tiratissime bici da XC… Marco in fondo la prende bene.
L’ istrione del gruppo pare frutto della fantasia di Carlo Verdone, un personaggio d’altri tempi. Ora guascone, ora sentimentale, ora musicista, ora simpaticamente minchione, ma di un minchione non banale: direi quasi di un minchione da competizione. Struggentemente colpito dalla bellezza della Sardegna, continua a deliziarci di continue battute e storie di vita vissuta, che complice l’anossia perenne e le tossine accumulate nei muscoli (e probabilmente anche nel sistema nervoso..) rendono ancora più indimenticabile il ricordo di quei giorni, e la “saudade” di Transardinia che colpisce ripensandoci…
Ad ogni buon conto per il telaio e forcellino rotto, si provvede ad una riparazione di fortuna accorciando la catena, per permettere a Marco di arrivare sino ad un punto accessibile dal pick up di appoggio. Ed ancora una volta Marco ci stupisce: non ho mai visto qualcuno che, con una trasmissione abborracciata a single speed, riesca a piegare lo spider di una delle corone sul pacco pignone con la sola forza delle gambe. Per cui Telaio rotto, forcellino spezzato, e catena piantata nel pacco pignoni. Poco male, il pick up di appoggio serve proprio a questo, ed era giusto a qualche decina di metri di distanza…
Dopo l’abbandono alla tappa di Marco per guasto meccanico, planiamo verso l’albergo percorrendo uno strepitoso sentiero a picco sulle scogliere, intrappolati tra mare, laguna e pecore… Ovviamente colorato con le luci che sempre più approssimano il tramonto.
In albergo ci arriviamo giusto per conoscere Melanie, che si unisce al gruppo a partire dalla terza tappa…. Giornalista Canadese, biker appassionata, polpacci potenti… Appartiene a quella rara razza che desidera vivere ogni spicchio di mondo, per raccontarlo e farlo rivivere tramite le parole dei suoi scritti. Purtroppo non spiccica una parola di italiano, ma riesce a farsi capire come dove e soprattutto quando vuole: come ad esempio nell’esprimersi ammirata nei confronti di una clamorosa pasta alla bottarga che ci viene servita in serata… Arriva anche una nuova bici per Marco, per permettergli di finire la Transardinia: una onestissima Canyon Nerve nuova di pacca. E con queste sono due le bici fatte saltare fuori in emergenza dall’organizzazione…
III Giorno, L’ovile. Da San Salvatore di Sinis a Montevecchio, 75 km per 1200m di dislivello
“Scrivo queste note da un’assolata terrazza, che si apre sulla vallata di Montevecchio e dell’Arcuentu. Sotto la mia vista forre e vallate si rincorrono in un labirinto infinito, ammantato da un verde tappeto rigoglioso. La natura si riprende ciò che l’uomo le tolse, nei secoli scorsi: si tratta infatti di un antico sito minerario, attivo per secoli ed utilizzato da svariate civiltà”…
Dopo un incipit degno del solito noiosissimo scrittore inglese espatriato e ritiratosi sullo svolgersi delle colline, va detto che il punto di arrivo di questa tappa è a dir poco incantevole. Si tratta di un agriturismo, organizzato da un pecoraio locale: agriturismo con ovile annesso, o viceversa.. Difficile da dire, fatto sta che qui corrente elettrica ed acqua corrente sono lussi da non scialare, ma si è ricompensati da viste strappalacrime e dall’essere realmente fuori dal mondo, se si eccettua il pick up del pastore che esibisce che a mo di status orgoglioso in fronte alle nostre bici parcheggiate vicine al recinto delle capre. Il clima bucolico viene ulteriormente impreziosito da un delizioso maialino da latte, che generosamente ha offerto il suo corpo per i nostri palati qualche ora prima del nostro arrivo. Giusto in tempo per dare alla Ginetta (la moglie del baffuto pastore) la possibilità di prepararlo a dovere per il suo ultimo viaggio…
Naturalmente questo privilegio abbiamo dovuto conquistarcelo. Tappa strana… Partiti al mattino con estrema calma, con la fresca aggiunta della Norco Faze SL di Melanie . Bici veramente stiolsa.
Primi 40km percorsi a medie da giro d’Italia, in gruppo, dentro e fuori continue pinete: abbiamo attraversato tutto il Sinis tra Oristano ed Arborea. E da qui il paesaggio cambia repentinamente, offrendoci le secche salite della zona, che ci porteranno su valichi successivi alla nostra destinazione per la nottata. Curiosamente, la cosa che più colpisce non è il fondo –pur dissestato-, la vegetazione, le rampe od i tornanti. Non è la vista del mare che gioca a nascondino con i rilievi attorno. La cosa che più colpisce sono i profumi, che ci inseguono per tutte le salite: il rosmarino, il corbezzolo, il lentischio, il ginepro, , la lavanda, la fillirea, l'Erica. il Mirto, che sarà perché son Veneto mi faceva venire voglia di un cicchetto ad ogni tornante, sbuffando sudato alla ricerca di una boccata di aria. L’aglio selvatico, con i suoi deliziosi fiori… Nessuna parola, nessuna foto potrà mai descrivere questa sensazione di panteismo totale, generata esclusivamente da questo universo di profumi, sempre distinti ma sempre accordati tra di loro…
Amos nelle lunghe rampe tira il gruppo, del resto siamo tutti esperti e non abbiamo bisogno della balia o della scopa a fine plotone. Amos, un personaggio uscito dalla penna di Samuel Beckett.. Un mix raro di genuinità, sarcasmo e profonda conoscenza della propria terra, laddove la sua cultura veniva sfoggiata sempre con estremo garbo. Icona di un “Sardismo” concentrato su un amore sconfinato per dove vive, a costo di sembrare surreale.
A testimonianza riporto una conversazione realmente avvenuta, non ricordo se in bici o a cena…
Melanie: “Diversi anni fa in estate andavo come volontaria a piantare alberi sulle foreste delle Rocky Mountains, ed è li che ho iniziato ad amare la MTB. Poi purtroppo mi è capitato un incidente”.
Tutti eccetto Amos: “Dai, che è accaduto? Racconta!”.
Melanie: “ Stavo scendendo su un sentiero, ho preso una buca e mi si è puntata la ruota anteriore. Capriola, e mi sono rotto una spalla…”.
Tutti eccetto Amos: “Azz, che sfiga!!!”.
Melanie: “Il problema vero è stato che a 10 metri da me c’era un orso, che ha iniziato a fissarmi. Un giovane maschio, abbastanza affamato…”.
Tutti eccetto Amos: “Ooooohhhhh!!!”.
Melanie: “Ho inizato a spostarmi lentamente, abbandonando la bici sul posto. Non bisogna scappare davanti ad un orso, altrimenti ti attacca immediatamente. Sono scesa tagliando per il bosco al tornante successivo della strada. Ho ritrovato lo stesso orso che mi stava seguendo”.
Tutti eccetto Amos: “AAAAAHHHHHH!!!”
Melanie: “Quindi sono nuovamente scesa di un altro tornante. L’orso continuava a seguirmi. Aveva capito che ero ferita, del resto avevo sangue su tutta la faccia…Cibo facile insomma. Quindi ho fatto l’unica cosa che potevo fare: mi sono arrampicata su un albero robusto a sufficienza per tenermi, ma troppo debole nei rami bassi per reggere il peso dell’orso bruno. Il problema è stato arrampicarmi con un braccio solo, dato che avevo la clavicola rotta. Dopo sei ore passate sull’albero, affamata ed infreddolita, per fortuna i miei compagni di campeggio sono venuti a cercarmi. Il difficile è stato non cadere dall’albero quando mi si chiudevano gli occhi dalla stanchezza e dallo stress.”.
Tutti eccetto Amos: “OMMIODDIOMMIODDIOMIO!!!!!!!!!!!!!!”.
Melanie si rende conto dell’orrore stampato sui nostri occhi (eccetto quelli di Amos).. In italia il peggio che ti possa capitare con le bestie feroci durante un’uscita è di avere un cane che cerca di mordicchiarti i polpacci mentre passi nella proprietà di un podere... E per sdrammatizzare ci dice:
Melanie: “ Ma non preoccupatevi ragazzi!! E’ comune avere storie di Orsi in Canada, anzi tutti i canadesi che vanno in montagna ne hanno una.. “.
Nel silenzio generale, di profondo rispetto per questa che ai nostri occhi si presenta come una eroina della MTB, si erge imperiosa la voce di Amos, caratterizzata dalla tipica inflessione.
Amos: “Invece in Sardegna tutti hanno storie di Zecche. E’ la zecca la bestia feroce di quest’isola…” . “Ti attacca le malattie, ma noi Sardi ci siamo abituati. Infatti uno del mio paese, andava a trovare sempre suo Zio in un posto pieno di Zecche. Tutte le volte tornava con le Zecche addosso. Ma lui mai niente, le toglieva e basta. Un giorno è tornato, ma poi è stato male. Tutti a pensare alle Zecche. Invece aveva solo mangiato gli spaghetti con le cozze la sera prima.. Eeeehh.. son le cozze che fanno male”.
Segue silenzio surreale… E conseguente risata esplosiva di tutti eccetto Melanie, che si è persa il racconto e ci chiede cosa ci sia da ridere sugli Orsi…
IV Giorno, le Dune. Da Montevecchio a Fluminimaggiore, 60km per 1500m di dislivello
Bar nel centro di Fluminimaggiore alle cinque del pomeriggio, un bar dal gusto anni settanta. Nel senso che non è mai stato riarredato dagli anni settanta. Molto Folk, per dirla alla Amos. Abbiamo già percorso quasi tutto il percorso, 65km abbondanti per i soliti mille-mila di dislivello. Alla terza birra Ichnusa che tracanniamo a testa, una domanda sorge spontanea dal gruppo verso la nostra guida:
“Amos, ma sei proprio sicuro che il posto nel quale dobbiamo dormire si trovi qui dietro?”
“Eeeehhh… Certo.. Saranno al massimo sei chilometri di falso piano in asfalto”….
Bene: dopo metri seicento l’asfalto l’abbiamo abbandonato, per inerpicarci in una scassatissima carreccia al 20% che serviva una locale miniera di Zolfo, guadagnando 200-300m di altitudine in pochissimo. Ovviamente impraticabile in sella soprattutto per le numerose birre in corpo, anche considerando che la carreccia in questione era veramente scassata e pure un poco esposta... Ed è qui, baciato dal sole gentile delle sei, mentre spingo la bici su per l’erta salita fissando i polpacci di Stefano che nemmeno Sisifo doveva subire nel suo supplizio, che penso alla gloriosa giornata di Mountain Bike di oggi.
Gloriosa, nessun aggettivo può essere meglio speso… Inizia al mattino, fuori dall’agriturismo “l’Aquila” che ci ha ospitato all’ombra dell’Arcuentu la sera prima. Subito ci tuffiamo in un esaltante single track: vegetazione mediterranea, nel solito trionfo di profumi che quest’isola offre.. Continui saliscendi, strappi micidiali che a freddo fanno male per poi rituffarsi verso il basso, con la gravità che mette sempre a maggiore prova dischi, pastiglie e mozzi… Continuiamo imperterriti fino ad arrivare in fondo valle, dove si apre per il nostro divertimento uno dei più belli bike park al naturale che mi sia capitato di vedere: un greto di un torrente, levigato alla perfezione, si offre con continue cunette da saltare, curva a parabola, ininterrotti guadi che mettono a dura prova cuscinetti e movimenti centrali…Ne ho contati 12, ma forse erano di più… Ma che goduria, siamo cinque bambini che giocano con i loro giocattoli, sorrisi stampati e pace con il mondo.
E questo torrente sbuca in quello che sarà l’ennesima meraviglia –inattesa- che quest’isola ci offre. Arriviamo nelle spiaggie di Piscinas, dove le dune alte fino a 100 metri sono continuamente modellate e trasformate dai venti che soffiano forti in questo tratto di costa. Dune di sabbia bianca, finissima. Ovviamente non resistiamo, ed nel giro di qualche minuto siamo in costume da bagno a tuffarci nell’acqua “fresca” che il Tirreno ci offre a maggio: circa 14-15 gradi…
La tappa prosegue nell’entroterra, fino al valico del massiccio del Linas e la successiva lunga discesa a Fluminimaggiore, da qui un’antica strada mineraria ci condurrà all’ostello su un rigoglioso versante a pochi metri dalle meravigliose grotte di Su Mannau dove pernotteremo. Grotte che non visiteremo. Perché? Da chiedere alla pro loco di Fluminimaggiore…
A cena al solito ci si barcamena tra quantità incredibili di cibo, con un Amos che se sui sentieri ci distanzia di appena un’incollatura, a tavola dimostra di essere un vero fuori classe surclassando tutti in scioltezza.
“Eeehhh…. A casa non mangio tanto, devo preparare io. Ma qui mi risparmio la fatica, non devo preparare nulla. Quindi tanto vale mangiare…”.. Logica inossidabile.
A molti è venuto il sottile sospetto che faccia la guida MTB per mangiare, e non viceversa…
Dopocena, all’aperto: il buio del cielo, in questa zona subito fuori le grotte di Su Mannau. La luce delle stelle, come solo i cieli più bui riescono a far risaltare. Le chiacchere con Marcello, diversamente onnivoro. Un pensiero a Calvino, che non avrebbe potuto descrivere meglio un momento come questo:
“E' questa l'esatta geometria degli spazi siderei, cui tante volte il signor Palomar ha sentito il bisogno di rivolgersi, per staccarsi dalla Terra, luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse? Trovandosi davvero in presenza del cielo stellato, tutto sembra che gli sfugga. Anche ciò a cui lui si credeva più sensibile, la piccolezza del nostro mondo rispetto le distanze sconfinate, non risulta direttamente. Il firmamento è qualcosa che sta lassù, che si vede che c'è , ma da cui non si può ricavare nessuna idea di dimensioni o di distanza.
Se i corpi luminosi sono carichi d'incertezza, non resta che affidarsi al buio, alle regioni deserte del cielo. Cosa può esserci di più stabile del nulla? Eppure anche del nulla non si può essere sicuri al cento per cento. Palomar dove vede una radura del firmamento, una breccia vuota e nera, vi fissa lo sguardo come proiettandosi in essa; ed ecco che anche li in mezzo prende forma un qualche granello chiaro o macchiolina o lentiggine; ma lui non arriva a essere sicuro se ci sono davvero o se gli sembra solo di vederli. Forse è un chiarore come se ne vedono ruotare tenendo gli occhi chiusi (il cielo buio è come il rovescio delle palpebre solcato da fosféni); forse è un riflesso dei suoi occhiali; ma potrebbe anche essere una stella sconosciuta che emerge dalle profondità più remote.” I. Calvino, Palomar.
V Giorno, La Sfida. Da Fluminimaggiore a Iglesias, 85km per 1700m di dislivello
Il Ballo di San Vito - Vinicio Capossela - YouTube
“Salsicce fegatini
viscere alla brace “
Ci sono dei giorni in cui ti alzi, e nella testa continua a suonare il nastro di una canzone. Dal primo momento in cui appoggi un piede giù dal letto, rigorosamente il destro…
“e fiaccole danzanti
lamelle dondolanti
sul dorso della chiesa fiammeggiante “
Quella canzone diventerà la colonna sonora della giornata … Continuando a sentirla nella testa, continuando a cantarla a squarciagola per caricarti nei momenti di difficoltà… O sentirla in crescendo di un momento speciale, come quando le ruote scorrono morbide sulle asperità del terreno, con il corpo che copia tutti i sobbalzi in un tutt’uno con la bici…
“vino, bancarelle
terra arsa e rossa”
Una giornata memorabile, per kilometri, dislivello e difficoltà… 85km di sterrato, per 1700m di dislivello. Dopo quattro giorni di fatiche crescenti. E dovevano essere solo 70, i kilometri…E molto più facili…
“terra di sud, terra di sud
terra di confine
terra di dove finisce la terra “
Non so per quale motivo, ma la colonna sonora di questo giorno è "Il Ballo di San Vito" di Vinicio Capossela. Che paradossalmente non è neppure tra i miei preferiti… Così come non capisco il nesso tra il l’Irpinia di Capossela e la Sardegna di questa giornata, misteri della psiche. Forse solo frammenti di parole rubate da un testo che ben si adatta al paesaggio, senza dove scomodare Freud…
“e il continente se ne infischia
e non il vento
e il continente se ne infischia e non il vento
Mustafà viene di Affrica
e qui soffia il vento d'Affrica
e ci dice tenetemi fermo “
Partiamo al mattino, direzione Bruggerru. Scavalchiamo dei colli fuori Fluminimaggiore, sembra una tappa lenta. Da Bruggerru saliamo in un piccolo altipiano, a picco sul mare. Sentiero molto tecnico, si fa fatica a camminare: figuriamoci passarci in mezzo in bicicletta…
Innumerevoli sobbalzi a seguire, il sentiero scende deciso: un single trek molto tecnico, pieno di rocce calcaree affilate come rasoi: cadere non sarebbe una bella esperienza. Il sentiero si infila in una valle, stretta ed imbudellata. Sembra un non luogo destinato a richiudersi su se stesso, senza mai lasciare uscire i poveri forestieri che provano ad attraversarlo. E continua, scendendo in continuazione.. Dopo un tempo indefinito, l’unica differenza che si nota è che a valle dei drop meno pronunciati ora inizia ad esserci sabbia, non più bianche rocce calcaree. Come per magia, la valle si apre d’incanto lasciando intravedere una meravigliosa caletta: cala Domestica. Il mare di un turchese che non credi possa esistere veramente, la baia solo per noi e per una povera coppia clamorosamente interrotta nel mezzo di attività ricreative ad alto spessore atletico. Mai avrebbero potuto immaginare che un nugolo di bikers vestiti di Lycra e gasati per la discesa, avrebbe potuto disturbare l’intimità conquistata con uno sbarco dal mare: erano infatti arrivati in barca a vela…
Solito pranzo pantagruelico organizzato da Marcello all’ombra di un Tiglio (o di un Gelso? Mah…), che ci proietta nella seconda parte della giornata, decisamente impegnativa.
Si scollinano numerosi colli, si taglia su numerosi sentieri minerari, ora abbandonati. 20km buoni percorsi su creste, il mare da un lato e la destinazione finale dall’altro… Ma la linea delle creste si annoda su se stessa come una serpe, aggiungendo kilometri ai kilometri.
“A noi due balliam la danza delle spade
fino alla squarcio rosso d'alba
nessuno che m'aspetta, nessuno che m'aspetta
nessuno che mi aspetta o mi sospetta “
Le gambe sempre più stanche, ma la voglia continua a crescere: una sensazione strana, si capisce che questa sarà “la tappa” di questa Transardinia. Nessuno vuole rimanere indietro, tutti a testa bassa a macinare kilometri, a ridere e scherzare… Melanie arriva vicina all’esaurimento, ma poi qualche bucatura e conseguente stop del gruppo le permette di riposare e tirare il fiato. Arriviamo quindi all’attacco della salita seria della giornata, attraversando un vecchio insediamento minerario abbandonatoa Montevecchio.
Mille metri da coprire più o meno, su un fondo molto dissestato: punta Campu Spina. Saliamo sgranati, ma quello che ci aspetta dalla parte opposta del monte ci ripaga di ogni fatica: una vista mozzafiato con il mare tutto intorno a noi, con S. Antioco e Carloforte che sembravano a portata di mano. Ed una discesa incredibilmente bella: ora tecnica, ora filante, ora con spettacolari passaggi dentro il bosco.
“Questo è il male che mi porto da
trent'anni addosso
fermo non so stare in nessun posto
rotola rotola rotola il masso
rotola addosso, rotola in basso
e il muschio non si cresce sopra il sasso
e il muschio non si cresce sopra il sasso “
Si canta nella discesa… Si canta a squarciagola… Sempre con un fondo perfetto, terreno morbido che sembrava disegnato per fare grip sulle ruote tassellate. Sospetto sia la discesa della quale si parla in questo post: http://www.mtb-forum.it/in-giro-con-sardegna-freeride/ . In fondo alla discesa, qualche km di piano e si attraversa una grotta in bici, per ricongiungerci all’ultimo sterratone che ci porterà all’hotel. Alle nove di sera alla luce dei fari anabbaglianti di Marcello, che ci segue con il pick up per gli ultimi kilometri per farci vedere la strada. Stanchissimi, affamati ma contenti di aver vissuto quella giornata indimenticabile…
VI Giorno, la Miniera. Da Iglesias a Narcao, 60km per 1200m di dislivello
Tappa interlocutoria, vuoi per la grande fatica del giorno prima, vuoi perché la zona mineraria è per definizione più spoglia e meno varia. Ci si alza con calma, si parte con calma… Giriamo con calma attorno alle zone minerarie dismesse di Iglesias… Il grande caldo sopra i trenta gradi che impone…. Calma! La parte migliore della giornata arriverà dopo l’arrivo di tappa, con un ultima discesa che ricalca il tracciato delle gare provinciali di DH.
Si pernotterà infatti nel villaggio minerario di Rosas, a Narcao. Un villaggio minerario recuperato ad uso turistico, con stanze ricavate dai precedenti alloggi dei tecnici, il ristorante ed il bar dalle stanze o dai dormitori comuni dei minatori. Ovviamente la miniera si può visitare tanto nelle gallerie, quanto nelle zone di lavorazione del materiale estratto. Una visita molto interessante, coronata da una cena indimenticabile non può che consigliare di tornare al più presto:
http://www.villaggiominerariorosas.it/ .
VII Giorno, Il Mare. Da Narcao a Pula, 73km per 1300m di dislivello
Ultimo giorno, tempo di bilanci. Tempo per pensare ai suoni, profumi ed immagini vissute. Tempo di pensare alle nuove amicizie incontrate, alla cultura di un popolo, ai discorsi fatti. Tempo per pensare che si potrebbe continuare così, a macinare kilometri ogni giorno: Il tuo corpo che si trasforma in una macchina -dammi cibo e spingo sui pedali-, lo spirito che si affranca tanto in compagnia tra le risate, quanto in solitudine riempito dai profumi e dalle viste mozzafiato che quest’isola riesce ad offrire. Siamo tutti ammantati da un filo di mestizia, chiacchieriamo poco durante le ultime salite… Chi pensa ad arrivare in tempo al traghetto in partenza da Cagliari, chi invece a come far ripartire normalmente la vita di tutti i giorni. Vita così diversa da questa magnifica esperienza…
All’arrivo dell’ultima salita, nel pieno del Sulcis, siamo tristi ma non lo diamo a vedere. Siamo ancora in bici, ancora una volta dal valico vediamo il mare, i profumi sono gli stessi, in questo bosco di Lecci… Ma sappiamo tutti che è l’ultimo giorno. Forse per rendere il distacco meno brutale, l’ultima infinita discesa dalla cima del monte Sèbera di circa ottocento metri di dislivello è una noiosissima planata in una strada bianca a tornanti, neppure parente delle discese mozzafiato delle altre tappe: discese tecniche o facili, ma sempre con la caratteristica di avere viste incredibili.
Quindi l’ultimo pasto assieme, abbracci e baci. L’unica volta che si pasteggia senza dover fare almeno altri 35 km poi. Viene organizzata una premiazione per Stefano e Melanie: loro hanno percorso tanto la West quanto la Classic, per tanto entrano a buon diritto nell’olimpo dei Transardiners che hanno coperto entrambi i tracciati. Promesse di vederci quanto prima, promesse di percorrere assieme qualche altro raid. Il giro del Monterosa a Luglio, perché no… Ma Luglio è lontano… Bisogna arrivarci a Luglio, con questa nostalgia di quei giorni addosso…
P.S.
Per chi volesse maggiori info sul giro compiuto, segnalo il sito web di Ichnusa dedicato alle Transardinia che viene organizzata: www.transardinia.it o www.ichnusabike.it.