piove
tornano alla mente ricordi indimenticabili, scene epiche, attimi di vita così intensi da darle un valore ancora superiore...
piove
il tempo scivola e inciampa. Si ferma.
Nel bosco d'abeti intriso d'acqua non c'è niente, se non felci madide, piante di mirtilli intirizziti, un sottile sentiero infangato ritmato da radici lucide.
Immobile, nella sottile nebbiolina, si scrutano le siluette dei tronchi scuri, sfumati in lontananza, si osservano le gocce scorrere sugli aghi, sull'ala del casco... scorrere, gonfiarsi, staccarsi... ciascuna inseguita dalla sorella; si ascolta il respiro mischiato dal ticchettìo delle goccioline di pioggia che tamburella le sue dita sul casco e sul k-way bagnato.
Un momento di stasi, non c'è meraviglia più sublime di quando si entra nella natura selvaggia in punta di piedi.
Non importa se i guanti e i pantaloni si stanno inzuppando. In quel momento non c'è cosa più importante e bella della contemplazione della dolcezza austera di quell'ambiente.
Non ringrazia la Natura se la rispetti. Non si cura di te, che passi in silenzio. E' così... superiore, palesemente divina.
Se non la rispetti, se non ti premuri di conservarla, di amarla più dei propri comodi e capricci, Lei muterà, magari si annienterà, ma sarai sempre tu ad avere il danno peggiore: la privazione di un tesoro dal valore inestimabile, di un'opera d'arte perfetta, di un'amica che, anche in silenzio, sa sempre consolarti nella meraviglia dei regali che sa offrire, senza chiedere.
E' il silenzio, pregno di rumori armonici, ineguagliabili, a paralizzarmi per qualche momento (finché una azzo di goccia non scivola infingarda giù per la schiena!).
Immobile sulla bici osservo le felci che, gravide di pioggia, si scrollano di dosso infastidite quelle perle trasparenti. Oscillano, tremano, s'inchinano, ballano un walzer sentendo quel ritmo incomprensibile all'orecchio umano.
Respiro.
tutto ha dettagli così minuziosi, piccoli, capaci di catturare lo sguardo. Tutto ha un suono, un guizzo di luce, un movimento. Tutto. Ogni cosa tanto infinitesima quanto parte di una dimensione troppo grande per essere abbracciata con lo sguardo e con la mente.
Mancano i giochi di luce e ombra del sole, il tempore, i colori variopinti, il contrasto col cielo blu... eppure è tutto magico.
Sindrome di Stendal? troppo bello quel caleidoscopio di suoni? troppo fragile e perfetta quell'atmosfera di cristallo etereo?
Stasi ed estasi.
Un brivido di freddo rompe l'incantesimo. Mi scrollo di dosso l'acqua e l'espressione ebete di un suddito in contemplazione.
Il tempo ora può riprendere a scorrere allo stesso ritmo del cuore. Cuore saturo di immagini e sensazioni.
Si stringono forte le manopole, fermo ancora un attimo, per riprendere contatto con la realtà, deglutire le recenti percezioni, scegliere un punto oltre la nebbia e andare là, presumendo di saper orientarsi, con la sfacciataggine di chi non sa spaventarsi, con l'incoscienza di ama preoccuparsi solo se la soluzione al guaio va presa istantaneamente.
Con una presunzione d'orientamento, la voglia di giocare tra gli alberi a scoprire nuovi angoli nascosti, di mettersi alla prova, con la freddezza di far ogni ostacolo una dovuta fonte d'emozione, si scende morbidamente nel verde fradicio, con l'unica vera preoccupazione di non lasciar tracce dietro di sé. Si modulano i freni, senza mai bloccare, si va piano piuttosto, non c'è fretta. E' bello così, cercando un ritmo nel labirinto di ceppi, rami, sassi, buche, tronchi nascosti nelle felci alte. Tutto sembra perfettamente uniforme, ma ogni istante lo sguardo scorge una trappola naturale davanti alla ruota. Una frenetica sfida di tecnica e concentazione.
Serpeggio tra crinali e conche. Cerco tronchi da ollare, massi da cui droppare o semplicemente scendo nel godimento più assoluto. Sono le decine di abeti e larici che scandiscono il tempo.
Non c'è orologio.
Sono fradicio, per quel boschetto troppo fitto in cui mi sono incastrato poco fa, scrollando una specie di catino colmo, distribuito tra i rami, con relative imprecazioni.
Sono fradicio ma felice. In armonia con questo ambiente che non ha nulla di ostile. Tronchi? radici bagnate nascoste? sassi rotolanti? pioggia? ripidissimi? è un parco giochi e son qui per giocare!
Muoversi come un fantasma, non lasciare tracce è l'unico modo per poter godere ogni volta di questa perfezione inviolata; per tornare in un angolo di bosco e non riconoscerlo per i segni per terra, ma per la disposizione degli alberi e dei sassi.
Questo è freeride. Essere parte di ciò che mi rende felice, rispettarlo per continuare ad esser felice.
Adrenalina e contemplazione.
Il privilegio di girare nel libero dovrebbe essere consentito solo a chi antepone la meraviglia del luogo al proprio divertimento. Chi non è capace di muoversi senza lasciar tracce... non deve uscire dai sentieri. Non ne ha il diritto.
Freeride
tornano alla mente ricordi indimenticabili, scene epiche, attimi di vita così intensi da darle un valore ancora superiore...
piove
il tempo scivola e inciampa. Si ferma.
Nel bosco d'abeti intriso d'acqua non c'è niente, se non felci madide, piante di mirtilli intirizziti, un sottile sentiero infangato ritmato da radici lucide.
Immobile, nella sottile nebbiolina, si scrutano le siluette dei tronchi scuri, sfumati in lontananza, si osservano le gocce scorrere sugli aghi, sull'ala del casco... scorrere, gonfiarsi, staccarsi... ciascuna inseguita dalla sorella; si ascolta il respiro mischiato dal ticchettìo delle goccioline di pioggia che tamburella le sue dita sul casco e sul k-way bagnato.
Un momento di stasi, non c'è meraviglia più sublime di quando si entra nella natura selvaggia in punta di piedi.
Non importa se i guanti e i pantaloni si stanno inzuppando. In quel momento non c'è cosa più importante e bella della contemplazione della dolcezza austera di quell'ambiente.
Non ringrazia la Natura se la rispetti. Non si cura di te, che passi in silenzio. E' così... superiore, palesemente divina.
Se non la rispetti, se non ti premuri di conservarla, di amarla più dei propri comodi e capricci, Lei muterà, magari si annienterà, ma sarai sempre tu ad avere il danno peggiore: la privazione di un tesoro dal valore inestimabile, di un'opera d'arte perfetta, di un'amica che, anche in silenzio, sa sempre consolarti nella meraviglia dei regali che sa offrire, senza chiedere.
E' il silenzio, pregno di rumori armonici, ineguagliabili, a paralizzarmi per qualche momento (finché una azzo di goccia non scivola infingarda giù per la schiena!).
Immobile sulla bici osservo le felci che, gravide di pioggia, si scrollano di dosso infastidite quelle perle trasparenti. Oscillano, tremano, s'inchinano, ballano un walzer sentendo quel ritmo incomprensibile all'orecchio umano.
Respiro.
tutto ha dettagli così minuziosi, piccoli, capaci di catturare lo sguardo. Tutto ha un suono, un guizzo di luce, un movimento. Tutto. Ogni cosa tanto infinitesima quanto parte di una dimensione troppo grande per essere abbracciata con lo sguardo e con la mente.
Mancano i giochi di luce e ombra del sole, il tempore, i colori variopinti, il contrasto col cielo blu... eppure è tutto magico.
Sindrome di Stendal? troppo bello quel caleidoscopio di suoni? troppo fragile e perfetta quell'atmosfera di cristallo etereo?
Stasi ed estasi.
Un brivido di freddo rompe l'incantesimo. Mi scrollo di dosso l'acqua e l'espressione ebete di un suddito in contemplazione.
Il tempo ora può riprendere a scorrere allo stesso ritmo del cuore. Cuore saturo di immagini e sensazioni.
Si stringono forte le manopole, fermo ancora un attimo, per riprendere contatto con la realtà, deglutire le recenti percezioni, scegliere un punto oltre la nebbia e andare là, presumendo di saper orientarsi, con la sfacciataggine di chi non sa spaventarsi, con l'incoscienza di ama preoccuparsi solo se la soluzione al guaio va presa istantaneamente.
Con una presunzione d'orientamento, la voglia di giocare tra gli alberi a scoprire nuovi angoli nascosti, di mettersi alla prova, con la freddezza di far ogni ostacolo una dovuta fonte d'emozione, si scende morbidamente nel verde fradicio, con l'unica vera preoccupazione di non lasciar tracce dietro di sé. Si modulano i freni, senza mai bloccare, si va piano piuttosto, non c'è fretta. E' bello così, cercando un ritmo nel labirinto di ceppi, rami, sassi, buche, tronchi nascosti nelle felci alte. Tutto sembra perfettamente uniforme, ma ogni istante lo sguardo scorge una trappola naturale davanti alla ruota. Una frenetica sfida di tecnica e concentazione.
Serpeggio tra crinali e conche. Cerco tronchi da ollare, massi da cui droppare o semplicemente scendo nel godimento più assoluto. Sono le decine di abeti e larici che scandiscono il tempo.
Non c'è orologio.
Sono fradicio, per quel boschetto troppo fitto in cui mi sono incastrato poco fa, scrollando una specie di catino colmo, distribuito tra i rami, con relative imprecazioni.
Sono fradicio ma felice. In armonia con questo ambiente che non ha nulla di ostile. Tronchi? radici bagnate nascoste? sassi rotolanti? pioggia? ripidissimi? è un parco giochi e son qui per giocare!
Muoversi come un fantasma, non lasciare tracce è l'unico modo per poter godere ogni volta di questa perfezione inviolata; per tornare in un angolo di bosco e non riconoscerlo per i segni per terra, ma per la disposizione degli alberi e dei sassi.
Questo è freeride. Essere parte di ciò che mi rende felice, rispettarlo per continuare ad esser felice.
Adrenalina e contemplazione.
Il privilegio di girare nel libero dovrebbe essere consentito solo a chi antepone la meraviglia del luogo al proprio divertimento. Chi non è capace di muoversi senza lasciar tracce... non deve uscire dai sentieri. Non ne ha il diritto.
Freeride