Stasera tutti alle Sèime! ma si fanno anche da voi? [LE FOTO DELLA SEIMA]

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Biker meravigliosus
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Venezia Giulia.
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Come tradizione, la sera del 5 gennaio in tutta la bisiacaria e nell'intero Friuli si accenderanno le Sèime, il tradizonale grande falò di origine pagana.
io sarò presente a quella di Vermegliano (Ronchi dei Legionari), dove il grande fuoco verrà acceso sulle pendici del Carso Monfalconese. e da voi? esiste l'usanza delle sèime,?

cosa sono le Sèime?

Quando le giornate sono corte e fredde, e la natura sembra oramai morta, nella serata del 5 gennaio si festeggia il solstizio d’inverno con l’accensione di grandi fuochi. Ma vediamo brevemente l’origine di questa antichissima consuetudine nei paesi bisiachi. Nel corso degli scavi eseguiti nel castelliere di Redipuglia intorno agli anni Trenta, furono rinvenuti sei bronzetti di figura umana stilizzata rappresentanti uomini e donne in atteggiamento di offerenti, databili tra il V e il IV secolo a.C.. Non si sa a quali divinità fossero dedicati, in quanto in questo periodo il castelliere di Redipuglia era abitato da una tribù di Eneti. Successivamente, con le invasioni celtiche, si ebbero i primi dèi pagani di cui ci è noto il nome. Giulio Cesare afferma chiaramente che i Celti erano molto religiosi: “Natio est omnis Gailorum admodum dedita religionibus” (trad.: ‘Tutta la popolazione gallica è molto dedita alle religioni”).
Il dio più ricorrente è Lug, con funzioni sacerdotali e militari, che i Romani equipararono a Mercurio; associati a questo dio c’erano gli dèi Dagda e Ogmios: Dagda rappresentava l’aspetto luminoso, mentre Ogmios era il dio che guidava le anime nell’Aldilà. Questa triade di dèi però trovò poco seguito nelle nostre popolazioni a differenza di un altro dio, chiamato Beleno, venerato soprattutto dai Norici (oggi Austria) e dagli Aquileiesi. Il dio Beleno è un dio solare, paragonabile ad Apollo; abbiamo traccia di questo dio già nel Il e I secolo a.C. sia a Zuglio, in Carnia, sia ad Aquiieia. A Fogliano, nei pressi del Borgo Cornat, e precisamente alla fine della vecchia strada che un tempo conduceva a Polazzo, proprio sotto l’antico castelliere cui il Marchesetti aveva dato il nome di “Castelliere di Polazzo”, esiste il “Sàs de San Bilin”. Questo è un grande masso a forma di testa umana, oggi purtroppo rovinato a seguito dei bombardamenti subiti nel primo conflitto mondiale.
Si tramanda a proposito una leggenda secondo la quale nei pressi dell’area del San Bilin, dalla notte dei tempi fino agli inizi di questo secolo, si davano convegno le streghe e i demoni per il sabba, riunione orgiastica presieduta da Satana, presente anche nelle saghe germaniche. Ma è più probabile che qui era situata un’antica ara dedicata al dio Beleno e ancora oggi il luogo viene ricordato con il nome di San Bilin. Dopo l’avvento del Cristianesimo, con il passare del tempo, il culto del dio Beleno fu assorbito da quello cristiano. Sappiamo infatti che due festività erano dedicate a questo dio: nella prima, quella cioè del solstizio estivo, venivano accesi dei falò propiziatori e, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività venne dedicata a San Giovanni Battista, in quanto il battesimo era portatore di luce per la cristianità.
Nel territorio bisiaco abbiamo traccia di questa festività a Redipuglia dove, fino ai 1914, alla sera della vigilia del 24 giugno venivano accesi i “Fuochi di San Giovanni”. La seconda festività cadeva il sei gennaio, e anche nella vigilia di questa giornata si accendevano dei falò propiziatori dedicati al dio Beleno. Successivamente, con l’avvento del Cristianesimo, tale festività si trasformò in “Natale di Cristo” e più tardi, nel IV secolo d.C., papa San Giulio (anche se secondo alcuni studiosi fu il suo successore Liberio) fissò il Natale di Cristo al giorno 25 dicembre, data che era dedicata dai romani al “Natale del sole invitto”, quando si festeggiava il sole rinascente, vincitore delle tenebre. Il 6 gennaio venne istituita pertanto l’Epifania e i fuochi propiziatori, chiamati Seime, servivano dapprima a trarre gli auspici sull’annata agricola, come recita l’antica strofetta: “Vers al levante I recolta bondante; se sufia burin / poc pan e poc vin”; e poi, ad illuminare idealmente il cammino dei Re Magi.
Per rievocare questa antichissima usanza delle seime, gli abitanti di Sagrado, Redipuglia, Turriaco, Vermegliano, solo per citare alcuni paesi della Bisiacaria, nei giorni che precedono la serata del 5 gennaio si danno un gran daffare per procurare la legna e per costruire i falò epifanici e, come vuole la tradizione, sperando di intravedere poi tra il bagliore delle fiamme il volto del compagno e della compagna del cuore: il fuoco è infatti da sempre simbolo di vita. Vedere crescere pian piano la fiamma, osservare le lingue di fuoco mentre divorano le sterpaglie e le tamosse in un’atmosfera di gioia e di festa, invita ad essere spensierati e dimenticare le proprie preoccupazioni; tutto questo produce una sensazione bellissima di partecipazione, complicità e unione che, una volta provata, non si dimentica più e che dà la percezione di non essere più soli in questa nostra epoca, insidiata dal consumismo.
Da una cronaca scritta da un autore ignoto, siracconta come veniva accesa la seima a Fogliano, verso la seconda metà dell’Ottocento: “La vizilia dei Santi Tre Re, a la sera i contadini preparava al casel. I piantava in tera quatro o zinque pai e sora i meteva legni, paia e spini, par far una bela fiamada. Terminada de sonar l’Ave Maria, al paron e la parona de casa i inpizàva al casèl, e stava oservar se la fiama andava a levante o a ponente; se andava verso tramontana, iera malaugurio, se invesse andava verso siroco, iera bonaugurio. Terminada la fiamada, de una data distanza de le bronze i se inzenociava e i recitava al Rosario. Terminà de pregar, la parona, cun l’aqua santa tal’ aquasantin de teracota, andava pal toc de camp, dove iera stada la seima, a benidir e in sto tempo la recitava qualche preghiera e qualche invocazion, como par esempio: “Dio mande puteleti, Dio mande porzeleti, Dio mande un poc de tut”.
Dopo tuti se ritirava a magnar la polenta.

Ancora oggi, a ricordo di questa bella edantichissima tradizione, nella serata del 5 gennaio, negli orti e in mezzo ai campi della Bisiacaria si accendono le seime: esse fanno a gara con la luna perdiradare le tenebre della natura, grandi e piccoli si incontrano e, tuttiinsieme, si stringono cantando in coro attorno ai falò; come tanti bambini chesi scaldano al tepore di una nuova vita nell’anno appena iniziato.
 

frvaz

Biker infernalis
16/9/04
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MARIANO COMENSE
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ecco una breve spiegazione trovata in rete!!!

L’ultimo giovedì di gennaio, nella piazza principale
di Cantù, viene bruciata la Giuliana
(manifestazione organizzata dalla Pro-Cantù).
La tradizione popolare vuole che il manichino
che viene arso su una pira, alla presenza del
popolo e delle autorità, rappresenti la castellana
traditrice della città. La Giubiana è diventata,
pertanto, una sorta di rito celebrativo dell’identità
e dell’orgoglio cittadini. Si tratta però
soltanto di una leggenda completamente avulsa
dalla realtà storica anche se la manifestazione
nel suo complesso non manca di una sua
originalità rispetto ai ben noti esempi di folklore
lombardo dello stesso periodo diffusi in vari
centri, come i falò di Sant’Antonio.
Le ipotesi sulle origini del rito sono diverse. Ci
sono quanti prediligono una interpretazione
"politica" vedendo nell’evento una manifestazione
del conflitto tra popolo e tiranno (tra
libertà e dispotismo, cioè) maturato nel secolo
dei lumi e sfociato nelle insurrezioni popolari
contro le monarchie assolute e nella conquista
del potere da parte della borghesia. Altri preferiscono
pensare ai tempi dell’inquisizione e
della caccia alle streghe. Altri si spingono
ancora più indietro nel tempo (I secolo d.c.) e
attribuiscono l’evento a residui di riti celtici:
quando fantocci e manichini di vimini intrecciati
e figure umane, e contenenti persone in
carne ed ossa vive, erano date alle fiamme dai
sacerdoti druidici per propiziarsi il favore degli
dei in battaglia o per ottenere loro benevoli
influssi nelle stagioni della semina e dei raccolti.
Altri infine, e facciamo un passo avanti
nel tempo, attribuiscono gli attuali roghi a
quelli dei sacerdoti cristiani che nel IV secolo
d.c bruciavano simbolicamente le divinità
pagane.Secondo questa interpretazione il
nome Giubiana deriverebbe da Joviana, ossia
Giunone (divinità venerata anche in
Galliano).Sia come sia, e ritorniamo ai giorni
nostri, la Giubiana è diventata un’occasione
per incontrarsi, fare festa (l’incendio della pira
si conclude sempre sotto spettacolari fuochi
d’artificio), e mangiare qualcosa in compagnia,
magari il risotto con la luganiga, come prescrive
la tradizione. Meglio per tutti, poi, se la
Giubiana brucia bene: è un buon auspicio per
l’anno appena iniziato.
 

panzer division

Biker meravigliosus
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ecco di ritorno.

ho partecipato a due sèime: quella di Vermegliano e quella di San Canziano.

A vermegliano, sulle pendici del carso monfalconese, si contavano almeno 2000 persone. c'era la protezione civile, i pompieri, vin brulè e minestra per tutti, una grande festa. un po modesta la sèima di san canziano, più intima diciamo.

purtroppo il fumo della sèima è salito verso ponente, il che significa anno nefasto....e vabbè....io mi sono consolatò col brulè in quantità ciclopiche. beccatevi le foto
Sèima di Vermegliano

la befana sul falò prima di essere bruciata



si dà fuoco



la sèima arde bene!



molto fuoco!



la sèima di San Canziano



 

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