Io non ho mai visto i Sibillini e me li sogno da anni. Ho amici che li hanno attraversati in moto, a piedi e in varie forme e mi dicono tutti la stessa cosa: la prima volta che vedi la Piana Grande, ci devi ritornare. Unamica lavora a Gubbio e questi giorni è in partenza, io ho tutto quello che serve e sono in ferie
quindi vado con lei.
Guido io una misera Polo mille catalizzata, sulla quale le differenza tra acceleratore a tavoletta e in rilascio è inesistente, e le faccio vedere alcune delle mie magille come la sempre mitica rotonda di Marghera a novantacinque orari, o il sorpasso di multipli camion in un colpo sulla Romea (con rientro allultimo). Di qualcosa bisognerà pur crepare, vogliamo mica diventare vecchi rincoglioniti?!
Comunque, tra un discorso filosofico pesantissimo e un sorpasso da cardiopalma, arriviamo a Gubbio alle sette di sera con il tramonto. Monto la fedelissima Turbominchia e parto.
Fa sempre più scuro, io devo arrivare a Valfabbrica che è a una trentina di chilometri e scopro che per buona parte è fetente salita. Le gambe non si sono ancora adattate, poi la strada comincia a scendere su una statale trafficata e buia. Io ho il lampeggiante dietro ma non il faro davanti, quindi i camion che vengono incontro pensano che sia un folle suicida: uno passa alla mia altezza, e tromba in piena rendendomi sordo fino in paese.
Premetto che dormo sempre negli ostelli della gioventù, perché nei viaggi odio borse e tende che trasformano la bici in un carrello della spesa, e al tempo stesso ho pochi soldi. Infatti lostello di Valfabbrica è chiuso in attesa dellautorizzazione ASL. E mò? Trovo un alberghetto di vecchini bassibassi con soffitti bassibassi e porticine piccinepicciò, sicuramente verrò molestato nella doccia da creature fatate. Docciananna in diretta.
La mattina dopo mi sveglio, pago un conto nano e modesto quanto i proprietari, e mi infilo nel bar a riempirmi di brioche. Mi accorgo che siamo in centro Italia: vengo subito coinvolto nellatmosfera supersocievole, sembra un festino rispetto a un bar di Trieste, e io, una tipa e il barista convinciamo il netturbino pazzo del paese che non ha bevuto il caffè quando lo ha appena bevuto. Prendo per S.Donato e voglio arrivare a Nocera Umbra passando per il Monte dei Cani, il che si traduce nella mattina passata su rampe sterrate verticali e ferocissime. Ogni curva un rampone, ogni pausa un peggioramento della strada e io arrivo sfondato sulla statale. Poi, uno sterratone mi porta a pochi chilometri dal mio primo punto di arrivo: piove a dirotto e penso che sono quasi arrivato quindi non ha senso mettere la giacca impermeabile. Entro nel bar gocciolante manco fossi stato in una doccia, spazzolo svariate fette di pizza e incontro dei cicloturisti crucchi. Sovrappeso, vestiti da bici aderentissimi e non vanno in bici perché piove mentre io sono magro, con braghe da freeride larghe e vans, guanti da motocross e la bici nera coi parafangoni, il manubrio downhill e la sua scrittona gotica Turbominchia. Agli opposti, ma siamo qui per lo stesso motivo.
Domando per Colfiorito, e il barista mi piglia per il culo dicendo che mi godrò la discesa. Dopo la mattinata, il manubrio è di nuovo più in alto della sella e io sono chinato scavando il poissibile di bhp dal barile dei muscoli. In cima arrivo a Colle Croce: non sarà i Sibillini, ma la piana è stupenda e molto solitaria eccetto per i cantieri ad ogni paese di ricostruzione del terremoto. Vado per paesini verso Colfiorito e trovo un allevamento di maiali. Mi fermo perché dietro ci devessere un laboratorio e laria è densa di profumo di salame. I maiali si accorgono che li sto guardando con occhio spiritato e mi mandano occhiate tipo : Cazzo vuoi? Siamo ancora vivi!. In mezzo ai porcelli sta un uccello tropicale di un metro e mezzo dal collo lungo, che si guarda in torno evidentemente cercando di capire che ci fa lì un simile compagnia.
Scendo su Colfiorito e vorrei prendere per le colline fino a Preci, ma in unaltra piana faccio lerrore di fidarmi delle indicazioni di un tenero vecchino e vengo rispedito a Cerreto di Spoleto a fare a spallate con guidatori psicopatici di gipponi. E un paese triste, ma fuori dal muro del cimitero cè una scritta enorme tracciata con disperazione: MA LANIMA NON MUORE MAI! Voglio fotografarla, ma la scheda della mia Olympus Mju schiatta di brutto. E poi mi dicono di passare alle digitali: a me, una cacchio di digitale, muore tra le mani come laccendo.
Prendo la strada per Norcia, che offre una combinazione di tunnel e camion vuoti guidati da gente che non vede lora di tornare a casa: il tempo lo passo contando gli specchietti che mi passano sopra la testa a novanta orari.
Vedo spuntare i Sibillini, e sono felice come un bimbetto quando entro a Norcia. Priorità uno: pappa a base del ottimo pane+salame locale, priorità due: ostello e nanna, perché oggi le salite mi hanno flesso. Allostello trovo una tipa che sta chiudendo la porta e la fermo, bhè è lunica ospite ed è simpaticissima. Chiama lei il guardiano che vien fuori trattasi di ciclista maniaco, tanto che mentre lui compila i miei dati io leggo il catalogo 2005 Cannondale.
Stretching+doccia+oscurità.
La mattina dopo inizio la salita ai Sibillini: una ventina di chilometri per un po più di mille metri mi portano a una moderata salita lunga e serpentina. A tre quarti sale un sentiero su per la Gola dellInfernaccio, e il nome si spiega con la salita bici a spalla prima su terreno friabile verticale, poi su prato assassino. A metà mi fermo a guardar passare la Coppa Nuvolari sulla strada sotto, una gara per gransignori che si possono comperare auto da corsa degli anni trenta e quaranta, e vedo passare Bentley e Jaguar V12, MG, Fiat Barchetta 1100, Bugatti. Se non avete mai sentito il rumore di un dodici cilindri da corsa di queglanni, sappiate che è uno dei più splendidi ruggiti meccanici che si possano udire.
Supero degli inglesi che fanno trekking vestiti leggerissimi, poi inizio a pedalare su una strada bianca e spunto in alto sui colli che dominano la piana: se non ci siete stati, ho pochi mezzi per descrivervi la sensazio che dà la vista di castelluccio che domina la piana e le montagne da duemilaquattrocento metri dietro. E commovente.
Salgo per prendere la strada militare che poi scende dallaltra parte e appoggio le mani sul recinto elettrificato dei cavalli per scavalcarlo: WAM! Mi è passata la sonnolenza dimprovviso, perché lamperaggio devessere superiore a quello per le vacche. Salgo, salgo, salgo, salgo. Da quantè che salgo? Ne ho le palle piene quanto spunto sulla strada militare in discesa: raggiungo i duecentoquarantasette orari e mi godo la perdita di quota altimetrica. Super dei fuoristrada fuori dai quali ci sono i tipi che fannole risalite per gli amanti del parapendio, saluto ma sono tutto ingrugnati. Esco da una curva in sgommata dopo aver bucato e un pensiero solca il vuoto del mio cranio: cosè che ha forma oblunga, serve a gonfiare le gomme e io mi son dimenticato a casa nella fretta di partire? Tanto ho le ruote da discesa ATOMIC Laboratories e me ne sbatto della gomma a terra, arrivo in paese facendo un frastuono incredibile inchiodando in piazza. Butto lì la bici, altri tedeschi cupi ed entro nel bar. Mentre mangio beato dei panini di dimensione dinosaurica, viene fuori che un tedesco in parapendio ha fatto mille metri verticali in poco più di un secondo, risolvendo subito il problema della sepoltura. Mi domando, con tempo caldo e sereno sulla piana e perturbazioni ventose sulle cime attorno, chi è il pirla che ha fatto volare questi tizi con un rischio di windshear? Anyway, gironzolo per Castelluccio salendo per la stradina e scendendo per le scale e mi godo i panorami assurdi e assoluti: io qui potrei viverci anni felicefelice. Ma lamica che mi ha portato qui mi messaggia che ci si potrebbe trovare sul Conero, se ce la faccio, e infilo il passo a millecinquecento metri verso Arquata. Da lì fino in fondo è motociclismo: rettilinei da settanta orari, tornantoni da pieghe e supero un paio di automobilisti che sembrano confusi dalla dinamica dei fatti. Poi, trenta chilometri saliscendi fino ad Ascoli Piceno che è una città splendida ma popolata da tamarri che guidano suonando a tutti quelli che conoscono. Forse è la capitale mondiale dei tamarri. Altri trenta chilometri fino a S. Benedetto del Tronto dove arrivo davvero finito, inoltre è un posto di una bruttezza irraggiungibile: prendo il treno per Loreto dove si trova il prossimo ostello. Lì mi fido delle indicazioni di un altro vecchino, maledetti anziani, e quindi sbaglio del tutto. Poi ricupero una certina del luogo e trovo lostello più spaziale del pianeta: immenso, mooolto religioso e io appoggio la bici dal lato della scritta gotica su citata davanti al poster di GiovanninoPaolone detto papasecondo che non sembra gradire. Le stanze hanno dei bagni fantascientifici e io dormo come un pupo.
La mattina dopo trovo due messaggi che il mio baracchino non riesce a leggere, ma tanto chiamo dopo. Chiamo e nessuno mi risponde, faccio colazione e richiamo alle nove. Nada, e io dirigo a Numana dove, in un parco sul mare dove mi trovo solo, la mia simpatica amica mi manda un messaggio dove dice che ha troppe difficoltà a vedermi e non viene. Non risponde alla mia chiamata: ho beccato il colpo gobbo. Appoggio il telefono a una panchina, vado a sedermi versomare e conto fino a circa duecentoquaranta prima che londa di follia assassina cali. Poi, inizio a mandare messaggini terrficanti.
Salgo comunque su strada in cima al Conero: il bozzone ha cinquecento metri daltezza e una strada che li copre in tre chilometri, praticamente smetti di pedalare e ruzzoli giù. Infatti trovo dei tedeschi fritti a metà, ma dalla cima a Poggio trovo il sentiero numero uno di questestate. E di argilla liscia, curve in appoggio ad esse tra gli alberi, è il sentiero perfetto. Da Poggio ad Ancona, che si trova più in basso, nove chilometri di salita e due di discesa verticale che non mi permettono di soffermarmi sulla mediocrità di questo centro urbano. Ancona-Bologna, Bologna-Mestre in treno con scambi di sms da paura. Tre ore di attesa prima che un interregionale mi sputi a Trieste, maledetti dirigenti di Trenitalia, e dopo due ore dovrei svegliarmi per andarecon il Mao alla fiera di Milano. Infatti col menga che mi sveglio ma penso: se sono rimasto qui, vorrà dier qualcosa! Bella filosofia, infatti mi chiamano dal negozio dicendo che ci sono dieci miliardi di bici da riparare e stanno diventando pazzi.
Mi mancano già i Sibillini ma, per il vostro bene, non fatemi mai un colpo gobbo.
Guido io una misera Polo mille catalizzata, sulla quale le differenza tra acceleratore a tavoletta e in rilascio è inesistente, e le faccio vedere alcune delle mie magille come la sempre mitica rotonda di Marghera a novantacinque orari, o il sorpasso di multipli camion in un colpo sulla Romea (con rientro allultimo). Di qualcosa bisognerà pur crepare, vogliamo mica diventare vecchi rincoglioniti?!
Comunque, tra un discorso filosofico pesantissimo e un sorpasso da cardiopalma, arriviamo a Gubbio alle sette di sera con il tramonto. Monto la fedelissima Turbominchia e parto.
Fa sempre più scuro, io devo arrivare a Valfabbrica che è a una trentina di chilometri e scopro che per buona parte è fetente salita. Le gambe non si sono ancora adattate, poi la strada comincia a scendere su una statale trafficata e buia. Io ho il lampeggiante dietro ma non il faro davanti, quindi i camion che vengono incontro pensano che sia un folle suicida: uno passa alla mia altezza, e tromba in piena rendendomi sordo fino in paese.
Premetto che dormo sempre negli ostelli della gioventù, perché nei viaggi odio borse e tende che trasformano la bici in un carrello della spesa, e al tempo stesso ho pochi soldi. Infatti lostello di Valfabbrica è chiuso in attesa dellautorizzazione ASL. E mò? Trovo un alberghetto di vecchini bassibassi con soffitti bassibassi e porticine piccinepicciò, sicuramente verrò molestato nella doccia da creature fatate. Docciananna in diretta.
La mattina dopo mi sveglio, pago un conto nano e modesto quanto i proprietari, e mi infilo nel bar a riempirmi di brioche. Mi accorgo che siamo in centro Italia: vengo subito coinvolto nellatmosfera supersocievole, sembra un festino rispetto a un bar di Trieste, e io, una tipa e il barista convinciamo il netturbino pazzo del paese che non ha bevuto il caffè quando lo ha appena bevuto. Prendo per S.Donato e voglio arrivare a Nocera Umbra passando per il Monte dei Cani, il che si traduce nella mattina passata su rampe sterrate verticali e ferocissime. Ogni curva un rampone, ogni pausa un peggioramento della strada e io arrivo sfondato sulla statale. Poi, uno sterratone mi porta a pochi chilometri dal mio primo punto di arrivo: piove a dirotto e penso che sono quasi arrivato quindi non ha senso mettere la giacca impermeabile. Entro nel bar gocciolante manco fossi stato in una doccia, spazzolo svariate fette di pizza e incontro dei cicloturisti crucchi. Sovrappeso, vestiti da bici aderentissimi e non vanno in bici perché piove mentre io sono magro, con braghe da freeride larghe e vans, guanti da motocross e la bici nera coi parafangoni, il manubrio downhill e la sua scrittona gotica Turbominchia. Agli opposti, ma siamo qui per lo stesso motivo.
Domando per Colfiorito, e il barista mi piglia per il culo dicendo che mi godrò la discesa. Dopo la mattinata, il manubrio è di nuovo più in alto della sella e io sono chinato scavando il poissibile di bhp dal barile dei muscoli. In cima arrivo a Colle Croce: non sarà i Sibillini, ma la piana è stupenda e molto solitaria eccetto per i cantieri ad ogni paese di ricostruzione del terremoto. Vado per paesini verso Colfiorito e trovo un allevamento di maiali. Mi fermo perché dietro ci devessere un laboratorio e laria è densa di profumo di salame. I maiali si accorgono che li sto guardando con occhio spiritato e mi mandano occhiate tipo : Cazzo vuoi? Siamo ancora vivi!. In mezzo ai porcelli sta un uccello tropicale di un metro e mezzo dal collo lungo, che si guarda in torno evidentemente cercando di capire che ci fa lì un simile compagnia.
Scendo su Colfiorito e vorrei prendere per le colline fino a Preci, ma in unaltra piana faccio lerrore di fidarmi delle indicazioni di un tenero vecchino e vengo rispedito a Cerreto di Spoleto a fare a spallate con guidatori psicopatici di gipponi. E un paese triste, ma fuori dal muro del cimitero cè una scritta enorme tracciata con disperazione: MA LANIMA NON MUORE MAI! Voglio fotografarla, ma la scheda della mia Olympus Mju schiatta di brutto. E poi mi dicono di passare alle digitali: a me, una cacchio di digitale, muore tra le mani come laccendo.
Prendo la strada per Norcia, che offre una combinazione di tunnel e camion vuoti guidati da gente che non vede lora di tornare a casa: il tempo lo passo contando gli specchietti che mi passano sopra la testa a novanta orari.
Vedo spuntare i Sibillini, e sono felice come un bimbetto quando entro a Norcia. Priorità uno: pappa a base del ottimo pane+salame locale, priorità due: ostello e nanna, perché oggi le salite mi hanno flesso. Allostello trovo una tipa che sta chiudendo la porta e la fermo, bhè è lunica ospite ed è simpaticissima. Chiama lei il guardiano che vien fuori trattasi di ciclista maniaco, tanto che mentre lui compila i miei dati io leggo il catalogo 2005 Cannondale.
Stretching+doccia+oscurità.
La mattina dopo inizio la salita ai Sibillini: una ventina di chilometri per un po più di mille metri mi portano a una moderata salita lunga e serpentina. A tre quarti sale un sentiero su per la Gola dellInfernaccio, e il nome si spiega con la salita bici a spalla prima su terreno friabile verticale, poi su prato assassino. A metà mi fermo a guardar passare la Coppa Nuvolari sulla strada sotto, una gara per gransignori che si possono comperare auto da corsa degli anni trenta e quaranta, e vedo passare Bentley e Jaguar V12, MG, Fiat Barchetta 1100, Bugatti. Se non avete mai sentito il rumore di un dodici cilindri da corsa di queglanni, sappiate che è uno dei più splendidi ruggiti meccanici che si possano udire.
Supero degli inglesi che fanno trekking vestiti leggerissimi, poi inizio a pedalare su una strada bianca e spunto in alto sui colli che dominano la piana: se non ci siete stati, ho pochi mezzi per descrivervi la sensazio che dà la vista di castelluccio che domina la piana e le montagne da duemilaquattrocento metri dietro. E commovente.
Salgo per prendere la strada militare che poi scende dallaltra parte e appoggio le mani sul recinto elettrificato dei cavalli per scavalcarlo: WAM! Mi è passata la sonnolenza dimprovviso, perché lamperaggio devessere superiore a quello per le vacche. Salgo, salgo, salgo, salgo. Da quantè che salgo? Ne ho le palle piene quanto spunto sulla strada militare in discesa: raggiungo i duecentoquarantasette orari e mi godo la perdita di quota altimetrica. Super dei fuoristrada fuori dai quali ci sono i tipi che fannole risalite per gli amanti del parapendio, saluto ma sono tutto ingrugnati. Esco da una curva in sgommata dopo aver bucato e un pensiero solca il vuoto del mio cranio: cosè che ha forma oblunga, serve a gonfiare le gomme e io mi son dimenticato a casa nella fretta di partire? Tanto ho le ruote da discesa ATOMIC Laboratories e me ne sbatto della gomma a terra, arrivo in paese facendo un frastuono incredibile inchiodando in piazza. Butto lì la bici, altri tedeschi cupi ed entro nel bar. Mentre mangio beato dei panini di dimensione dinosaurica, viene fuori che un tedesco in parapendio ha fatto mille metri verticali in poco più di un secondo, risolvendo subito il problema della sepoltura. Mi domando, con tempo caldo e sereno sulla piana e perturbazioni ventose sulle cime attorno, chi è il pirla che ha fatto volare questi tizi con un rischio di windshear? Anyway, gironzolo per Castelluccio salendo per la stradina e scendendo per le scale e mi godo i panorami assurdi e assoluti: io qui potrei viverci anni felicefelice. Ma lamica che mi ha portato qui mi messaggia che ci si potrebbe trovare sul Conero, se ce la faccio, e infilo il passo a millecinquecento metri verso Arquata. Da lì fino in fondo è motociclismo: rettilinei da settanta orari, tornantoni da pieghe e supero un paio di automobilisti che sembrano confusi dalla dinamica dei fatti. Poi, trenta chilometri saliscendi fino ad Ascoli Piceno che è una città splendida ma popolata da tamarri che guidano suonando a tutti quelli che conoscono. Forse è la capitale mondiale dei tamarri. Altri trenta chilometri fino a S. Benedetto del Tronto dove arrivo davvero finito, inoltre è un posto di una bruttezza irraggiungibile: prendo il treno per Loreto dove si trova il prossimo ostello. Lì mi fido delle indicazioni di un altro vecchino, maledetti anziani, e quindi sbaglio del tutto. Poi ricupero una certina del luogo e trovo lostello più spaziale del pianeta: immenso, mooolto religioso e io appoggio la bici dal lato della scritta gotica su citata davanti al poster di GiovanninoPaolone detto papasecondo che non sembra gradire. Le stanze hanno dei bagni fantascientifici e io dormo come un pupo.
La mattina dopo trovo due messaggi che il mio baracchino non riesce a leggere, ma tanto chiamo dopo. Chiamo e nessuno mi risponde, faccio colazione e richiamo alle nove. Nada, e io dirigo a Numana dove, in un parco sul mare dove mi trovo solo, la mia simpatica amica mi manda un messaggio dove dice che ha troppe difficoltà a vedermi e non viene. Non risponde alla mia chiamata: ho beccato il colpo gobbo. Appoggio il telefono a una panchina, vado a sedermi versomare e conto fino a circa duecentoquaranta prima che londa di follia assassina cali. Poi, inizio a mandare messaggini terrficanti.
Salgo comunque su strada in cima al Conero: il bozzone ha cinquecento metri daltezza e una strada che li copre in tre chilometri, praticamente smetti di pedalare e ruzzoli giù. Infatti trovo dei tedeschi fritti a metà, ma dalla cima a Poggio trovo il sentiero numero uno di questestate. E di argilla liscia, curve in appoggio ad esse tra gli alberi, è il sentiero perfetto. Da Poggio ad Ancona, che si trova più in basso, nove chilometri di salita e due di discesa verticale che non mi permettono di soffermarmi sulla mediocrità di questo centro urbano. Ancona-Bologna, Bologna-Mestre in treno con scambi di sms da paura. Tre ore di attesa prima che un interregionale mi sputi a Trieste, maledetti dirigenti di Trenitalia, e dopo due ore dovrei svegliarmi per andarecon il Mao alla fiera di Milano. Infatti col menga che mi sveglio ma penso: se sono rimasto qui, vorrà dier qualcosa! Bella filosofia, infatti mi chiamano dal negozio dicendo che ci sono dieci miliardi di bici da riparare e stanno diventando pazzi.
Mi mancano già i Sibillini ma, per il vostro bene, non fatemi mai un colpo gobbo.