Regalo di Compleanno

  • Cannondale presenta la nuova Scalpel, la sua bici biammortizzata da cross country che adesso ha 120 millimetri di escursione anteriore e posteriore in tutte le sue versioni. Sembra che sia cambiato poco, a prima vista, ma sono i dettagli che fanno la differenza e che rendono questa Scalpel 2024 nettamente più performante del modello precedente.
    Iscriviti al canale se non l'hai ancora fatto (clicca qui).


Muhlo

Biker poeticus
14/5/06
3.647
0
0
Katalfan Mt.- Bahar (Sicily West Coast)
www.facebook.com
Bike
DAG Carbon race
Domani ai miei occhi la terra avrà compiuto l'ennesima rivoluzione attorno al sole...o per dirla in altro modo compirò gli anni.
questo è il mio regalo di compleanno per voi!

Il nostro viaggio
di M.T. Muhlo

Quello che mi accingo a scrivere è il racconto del “viaggio”, il nostro viaggio verso Santiago de Campostella.
La partenza è avvenuta già anni or sono, quando dalle “vie” più disparate si è fatta presente la voglia di vivere questo cammino.
È successo di accendere la radio alle 4 del mattino e sentir pronunciare quelle parole magiche: “Santiago de Campostella”…; e poi ancora e ancora, in un continuo richiamo a “fare” qualcosa che in fondo già ci appartiene, ma di cui abbiamo perso ogni cognizione.
Io e Claudia, compagni di viaggio, di questo viaggio e di quello più lungo che è la vita.
Nasce così, da tante luci segnato, la spinta, l’idea. Poi è il puro desiderio di conoscere, di sperimentarsi ad andare a fare il resto.
Ognuno con le sue “responsabilità” e le sue capacità…
Partiamo allora? Si, ma prepariamoci!
Sono, devono essere poche le cose da portare con se: meno hai, più hai diceva un hippy barbuto 20 secoli fa!
Convinco Claudia a ridurre all’essenziale il nostro bagaglio, solo il minimo, il resto deve essere là.
Sarà così, sempre.
Adesso permettetemi solo due note tecniche:
il nostro vestiario è costituito da due completi da ciclista, maglia antivento, guanti, casco, 3 paia di calze, scarpe da trekking, occhiali e crema solare; nelle borse laterali posteriori delle bici sistemiamo tutti i nostri effetti personali; asciugamani, sapone; e poi ancora pantaloni corti e lunghi, due magliette, poncho antipioggia, saccoletto leggero, kit riparazione bici, compreso smagliacatena, torcia, garze, aspirine.
Le bici sono sistemate da Freebike, dove Dario e Totò montano i portapacchi posteriori; non si romperà nulla, nemmeno una foratura.
Imballiamo le bici la sera prima di partire, smontando i pedali, manubrio, cambio posteriore e ruota anteriore che sistemiamo a protezione della corona, caliamo la sella e smontiamo pure i portapacchi. Tutto viene avvolto nella plastica con le bolle e rinforzato col cartone.
All’alba mio padre ci accompagna all’aeroporto per il primo volo che ci porterà a Roma con Airone; i tizi del checkin si accorgono che abbiamo due bici (ma va!), due bici a bordo ci costano 100€. Che il bravo Marco di Tutankamon ci rimborserà. La compagnia spagnola Vuelin considera le bici come bagagli e non le fa pagare, in Italia non è così.
Da Roma ripartiamo per arrivare a Bilbao nel tardo pomeriggio; più in fretta che possiamo prendiamo le bici ed usciamo dall’aeroporto e subito la Spagna ci offre uno “spettacolo”: un tizio in carrozzella deve prendere l’autobus, questo si abbassa, esce la pedana, lui sale…ve immaginate la stessa scena a Palermo, io no, non ci riesco nemmeno sforzandomi.
Avremo modo di notare che in Spagna vivere con un handicap non è di per se un handicap.
Raggiungiamo la stazione dei bus di Bilbao e prendiamo il primo bus per Pamplona dove arriviamo nella notte. La stanchezza è tanta, il sonno pure.
Spacchettiamo le bici e rimontiamo tutto: non ci avanza e non ci manca niente: buon segno!
È mezzanotte, le bici sono a posto ma noi no: non sappiamo dove andare, Pamplona è grande ma c’è un concerto e non ci sono stanze da nessuna parte, tutti gli alberghi sono pieni; giriamo e rigiriamo, ma non cambia nulla se non che siamo ancora più stanchi: io adocchio il parco, “ho il sacco a pelo, posso dormire ovunque”…
Poi ecco che “il destino” ci viene in aiuto: chiediamo informazioni su qualche albergo ad una ragazza (Anna), lei si offre di accompagnarci ma il “suo” albergue non c’è più, l’hanno trasferito.
Sono le due e dopo un giorno di volo siamo completamente a terra.
Anna ci chiede timidamente se saremmo disposti a farci ospitare da lei; di risposta la abbracciamo. Passiamo la nostra prima notte spagnola a casa di una ragazza finlandese naturalizzata spagnola che al mattino ci prepara pure la colazione e ci lascia a casa sua per andare a lavorare chiedendoci solo di stare attenti a chiudere bene la porta.
La mattina facciamo tardissimo e iniziamo a camminare col sole già alto, non abbiamo cartine o guide, vogliamo seguire le frecce…il problema è incocciare la prima: è così che scambiamo l’autovia Santiago de Campostella per il sentiero omonimo; con le nostre belle bici ci facciamo un bel tratto di autostrada, fortuna che il primo svincolo non era poi lontano.
Di li a poco ci immettiamo nel cammino, anzi nel “camino”. Questo si presenta sterrato, poi pietroso, poi in pendenza, poi saliamo a piedi (“ma sarà tutto così? ***zo!)
Cominciamo ad incontrare i pellegrini, quelle figure andanti sotto uno zaino diverranno familiari per giorni.
La salita ci porta con fatica al “Punto del perdono”, la via è un sigle track pieno di insidie e persino poco pedonabile; ci accorgiamo della pesantezza delle bici che con le borse posteriori piene in salita arrampano.
Poco prima di giungere alla vetta un tizio ci viene incontro e ci aiuta a spingere le bici, è un volontario del camino. Sulla vetta conosciamo un uomo che ha fatto il camino, poi ha lasciato tutto e ora “viaggia” col suo camper aiutando i pellegrini, moderno templare a difesa dei nuovi pellegrini.
Strana gente si incontra nel camino.
Uomini e donne, vecchi e ragazzi.
Ognuno col suo fardello di vita, le sue esperienze, le sue motivazioni. La domanda più frequente è “ perché lo fai? ”
Io non lo so, so che dovevo farlo.
Ora le giustificazioni per averlo fatto sono tante, nel senso che tante cose ha portato fuori il camino, cose nascoste dentro, capacità non conosciute.
Ora i sogni stessi hanno dimensioni e spessori diversi.
La gente di fuori fa parte di me! Forse è questa la scoperta più grande. Che siamo tutti alla ricerca di qualcosa in questo mondo, in questa vita. E non c’è solo il giorno uguale ad un altro, il ciclo del lavoro, alzati vai lavora guadagna compra…discorsi del cazzo pure questi.
No, c’è altro!
C’è il fermarsi, il camminare per vie più dure, accanto a quelle più facili, lì accanto.
Salire e scendere invece di tagliare, di accorciare. Il camino contro la carrettiera; e scopri chi sei durante, nel vivere; le tentazioni sono più forti quando si soffre; il camino è sofferenza, e mentre cresce la voglia di riposarsi, di prendere fiato, tu devi andare, giorno dopo giorno, come nella vita.
Questo è il camino: è la vita; non è niente di più.
Solo che qui la vita la vedi nuda, senza fronzoli. La mangi, la respiri, la pedali.
Ecco perché l’ho fatto! È facile ora!
Ora so una cosa, che ho fatto una scelta, e in cambio ho ricevuto in dono più di quanto ho dato.
Proprio come chi ama veramente, e dall’amore viene nutrito di amore.
Si perde nel camino, si perde peso e si perdono le paure che ora si guardano col sudore in fronte.
Si impara nel camino, a guardare le frecce, a cercarle, come segni indicatori della giusta via.
È così, così è nella vita. Si cercano i segni per capire dove andare, cercando cercando la via.
E qui, cercando, impari a vedere di più, a fermarti, a respirare…a sentirti.

Anche il fatto di averlo condiviso mi ha dato la possibilità di sperimentare la vita di coppia: nei momenti duri ogni risorsa era di entrambi. Condividerla era sedersi allo stesso tavolo e ricevere insieme e andare insieme.
Abbiamo valicato monti che immaginavamo insormontabili, invece, eccoci qui.
L’abbiamo fatto. E possiamo fare molto di più, ognuno con le sue vette da superare. Nello stesso cammino.
E ogni ostacolo è in realtà una prova ben diversa da quella che appare prima, durante, dopo sempre. È questo vivere il cammini; non è un mordi e fuggi: ti “devi” fermare e guardandoti intorno guardare te stesso nel mondo.
Potevo correre, farlo in molti meno giorni ma non avrei capito.
Potevo tagliare ma ….cosa avrei “visto”?
E non parlo di occhi ma del respiro corto dopo ogni salita, della forza che senti crescere dentro la persona che ami ogni volta che si supera un giorno; lo sguardo di chi lo fa a piedi, con i piedi gonfi, tagliati, lacerati, sanguinanti, eppure lì; il passo lento di chi resta senza acqua (cosa che capita solo a chi va a piedi) e ancora non trova “facile” aggrapparsi alla tua borraccia; “bevi cazzo, bevi, io posso resistere, io posso andare!”
Accettare il destino. Ne abbiamo paura sia che esso venga a riempirci le vele, sia esso un vento contrario.
Accettare è il camino. Imparare a sapere attendere la sua piena evoluzione.
Abbiamo sperimentato come la vita nasconda le sue sorprese nelle cose più strane: per stare bene non serve un divano in pelle, l’aria condizionata, …per vivere meglio ci è servito che una nuvola piccola piccola si frapponesse tra noi ed il sole di agosto nella meseta…e allora pedalare è stato “possibile”, perfino bello.
Abbiamo sperimentato che a sperare c’è più gusto nel vivere. Porsi positivamente, senza fronzoli new age o esaltazioni mistiche.
Il giorno a Pamplona Anna ci ha donato ciò che ci serviva, ma che noi nemmeno speravamo: un tetto, un abbraccio.
Il giorno dopo al Punto del Perdono, alla fine di una salita molto pesante coloro che ci hanno aiutato erano uomini liberi che a loro tempo hanno ricevuto dal camino e che ora a chi lo percorre si offrono, volontari del cuore.
Dal punto del Perdono inizia la discesa per Puente la Reina, laddove tutti i cammini diventano uno.
Il parroco ci vede in fila davanti all’albergue, è il primo che incontriamo, ci chiama e ci invita a seguirlo in chiesa dove ci appone il primo sellos della nostra carta del pellegrino. Ripartiamo carichi di emozione, andiamo, andiamo.
Il pranzo lo consumiamo in un paesino: nella piazzetta triangolare all’entrata ci buttiamo letteralmente a terra a riposare: Claudia dorme ed io riposo, diventerà una abitudine la siesta dall’una alle quattro; e poi il sole è troppo forte; riusciremo comunque ad avere ottime medie, senza correre…ecco, durante i primi giorni avevo la costante brama di arrivare, di mettere il minore spazio possibile tra me e Santiago; poi, grazie alla presenza di Claudia, ho rallentato, e alla smania di finire si è sostituito il desiderio di scoprire.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Estella, attraversiamo il fiume ed ammiriamo il fronte di una splendida Chiesa catalana; l’albergue nel paesino è pieno, ma ce né uno all’uscita; lo raggiungiamo e ci sistemiamo per la notte: siamo dentro un palazzotto per lo sport che durante la stagione estiva serve da albergue, con materassi a terra ma in perfetta pulizia.
Mangiamo nel piccolo ristorante dentro al palazzotto, gustando una ottima insalata (era proprio quello che il corpo desiderava). Fuori facciamo una passeggiata raccogliendo more; al ritorno in albergue conosciamo persone nuove: un uomo lumbard con una panza enorme che cinque anni prima aveva iniziato e non finito il camino con suo figlio, ora suo figlio è morto e lui è lì, nel camino, insieme a suo figlio. C’è pure un professore francese, ha problemi a camminare per una malformazione, trasmette una forza e una fascino non da poco, condividiamo le more e poche parole, a volte ne bastano davvero poche.
Secondo giorno di camino (Estella / Ventosa)
Ci alziamo presto svegliati da un concerto di musica classica in crescendo, il più bel risveglio del camino. Dopo una buona colazione, sistemate le borse in bici siamo pronti a partire. Di mattina c’è parecchio freddo. Siamo nei campi a vigna della Roja, in continuo leggero saliscendi, la strada è uno sterrato facile, senza buche…solo il vento e nuvole sempre più scure che ci lasciano col dubbio: terrà il sereno?
Visitiamo i vari paesi, fermandoci ogni tanto a rifocillarci. Bellissima la cattedrale di Viana. Conosciamo tanti pellegrini, con alcuni ci rivediamo lungo la strada, per molti altri il primo sarà l’unico incontro.
In discesa raggiungiamo la bellissima Logrono…il tempo peggiora…all’uscita della città ci fermiamo in un supermercato, Claudia entra a comprare qualcosa, quando esce mi trova seduto a terra col poncho antiacqua sotto un temporale. Pranziamo davanti al supermercato con Martin e Spiona, due bici-pellegrini spagnoli.
Partiamo appena smette di piovere, il tratto di strada che ci aspetta è bellissimo: il camino è un viale alberato pianeggiante a tratti asfaltato, con tanto di piante e laghetto.
Arriviamo così a Navarrete, dove riposiamo all’ombra di un portico medioevale. Il sello all’albergue è d’obbligo. Vorremo raggiungere Najera, ma il destino ha deciso altrimenti.
Ripartiamo e subito sentiamo arrivare un vento strano, freddoso e umido, la pioggia sta tornando. Siamo tra i vigneti, stanchi e dolenti, i segnali dicono che si può fare una deviazione per Ventosa. Andiamo lì. Claudia è allo stremo…uniamo le nostre forze e arriviamo nel minuscolo paesino che ha il nome del tempo che fa. Le mie gambe sono due pezzi di legno, non mi lamento e loro non possono gridare, se lo facessero mi manderebbero in un altro paese: gli ultimi km hanno portato me, i miei bagagli, Claudia ed i suoi bagagli…
All’albergue ci accoglie Angel, un eccentrico hostellero: avevamo paura che non ci fossero posti, il suo “si!” è la nostra salvezza. Posteggiamo le bici in una stalla ed entriamo nell’albergue che è davvero bello. Fuori piove e la stanchezza è tanta. La doccia ci da un po’ di forze, quelle per andare e tornare dal ristorante che è vicino, ma pare così lontano…mangiamo benissimo per soli 7.5€ . conosciamo due ragazzi di milano, pellegrini a piedi, uno mi racconta che dalla partenza si è andato alleggerendo del superfluo, dalle continue telefonate che fa a sua madre per rassicurarla, mi auguro che si alleggerisca pure del telefonino e di sua madre.
La notte non passa liscia: Claudia è presa da “incubi da acido lattico”. La mattina scendere a fare colazione è una forzatura, ma non siamo soli: tanta gente ha sofferenze di ogni tipo.
Piano piano ci rimettiamo in moto: la via è un single-track pietroso; poi di nuovo sentiero in discesa verso Najera, la città ancora dorme, la attraversiamo in silenzio ammirando come paia scavata nella montagna e tagliata in mezzo dal fiume.
All’uscita del paese ci aspetta uno strappo in salita; lo facciamo aspettare ancora e ci fermiamo a fare la seconda colazione in una splendida e profumatissima pineta.
Ripartiamo immersi in campi coltivati a vigne e a grano, col sentiero rosso. Uno spettacolo.
Arriviamo felici a S.Domingo de la Calzada, paesino turistico: strano notare la schiera contrapposta di pellegrini e turisti, sembra che ognuno pensi male dell’altro.
Usciamo presto dal paese e raggiungiamo Villarta, ci piazziamo nella piazza centrale ma di riposare non se ne parla: dei ragazzini in bici ci vedono e ci fanno la festa. Foto di rito e ripartiamo; solo pochi km e ci fermiamo per fare la bella siesta all’obra di enormi cipressi, sdraiati tra il grano appena tagliato…questa è vita. Le bici fanno da stendino ai vestiti lavati la sera prima. Claudia si addormenta e io mi godo il passaggio dei pellegrini a piedi, dondolanti sotto lo zaino a ancor di più sotto il sole cocente di Spagna, santi uomini della terra in cammino che è danza mentre il tempo si ferma e la vita chiede di essere capita finalmente.
Ripartiamo verso Belorado, attraversando paesini semi abbandonati; ogni tanto allo sterrato si alterna un asfalto morbido, oleoso e puzzoso…ma Belorado è vicina: siamo stanchi ma stiamo meglio del giorno prima: e poi l’arrivo a belorado è in discesa, uno sterrato veloce che pedaliamo felici di corsa rincorrendo dei bambini in bici, bambini anche noi.
Troviamo subito posto nell’albergue della chiesa, tutto è bello, la chiesa con le rondini sul campanile, la gente, i pellegrini.
Andiamo a fare compere e ci prepariamo da noi una cena ottima, sarà l’unica volta che cuciniamo. Facciamo amicizia con un gruppo di Messina, tra questi uno spassoso erborista ed un fisioterapista, al lavoro tra i pellegrini dolenti. Dormiamo coi tappi nelle orecchie, anche i pellegrini russano, e meno male che non mangiano fagioli.
Conosco un ragazzo, è infermiere in italia, è appena stato in ospedale: è sorpreso della gentilezza e professionalità con la quale è stato trattato.
La Spagna rappresenta forse ciò che avremmo dovuto o ancora potremmo essere: un paese dove il rispetto dell’uomo esiste, dove la cultura del prossimo, senza distinzioni di razza, sesso,, orientamento religioso è il collante di ogni rapporto; dove i dipendenti politici del popolo ne rappresentano l’indipendenza nei rapporti internazionali e lo sviluppo in quelli etico-culturali.
È un paese che vuole crescere, che ha messo al bando il ladruncolo Aznar (ladro di marmellate se paragonato allo psiconano italiano) che pure era favorevole ai pacs; un paese che ha detto no alla guerra e ha avuto i coglioni per tirarsi fuori da una occupazione illegale…
Una cosa mi ha impressionato: il loro sistema viario e di parcheggio, il primo diviso per veicoli, bici e pedoni, ognuno con le sue regole e diritti; il secondo “nascosto” spesso sotto le piazze, le piazze erano per le persone non per le macchine come da noi.
La notte a Belorado passa presto, troppo presto; la mattina prepariamo le bici che avevamo incatenato in uno spiazzo dietro la chiesa…di chiese ne visiteremo tante, tutte simili ma tutte diverse; siamo gli ultimi a lasciare l’albergue, il cammino inizia con una salita e ci fermiamo di continuo fino a che ci stoppiamo: Claudia ha troppo dolore alle gambe, proviamo con le vitamine ma nel frattempo siamo fermi, seduti su una panchina a guardare gli altri pellegrini passare; vorrei essere sulla bici…ma aspettiamo. La sosta, una aspirina e le vitamine fanno bene a Claudia che riprende a pedalare alla grande. Siamo sempre tra i vigneti e continuiamo a salire; reincontraimo i messinesi che sono partiti all’alba: è bello godersi gli incontri, anche se hanno il gusto del non vedersi più. Dopo la pausa caffè siamo di nuovo on the road; e la strada stavolta comincia ad impennarsi; oltretutto fa caldo; ma siamo uniti, e arriviamo “cu ciatuni” al passo di Punta Petraia a quota 1.150m. potremo scendere fino a Burgos dalla facile carrettiera, ma siamo pellegrini; preferiamo quindi continuare per San Juan de Ortega…ne varrà la pena, se di pena si può parlare: la strada è larga, piatta, sterrata ed in leggero declivio; per di più immersa in un bosco fittissimo: siamo nel paradiso del ciclista: mentre i pellegrini a piedi camminano, noi sperimentiamo l’efficace invenzione della ruota. Raggiungiamo S.Juan in scioltezza: la chiesa è l’elemento principale dell’agglomerato di case, la visitiamo e poi incontriamo il prete per il sello; quando gli diciamo che siamo siciliani l’unica cosa che sa dire è “mafia”, come se uno mi dicesse basco e io rispondessi “eta”; gli sorrido egli dico di stare attento, mentre davvero in una parte di me qualcosa inizia a roteare. Ripartiamo, tanto la strada è in discesa. Claudia ha la bici con la forcella e si lancia…io devo stare attento ad ogni pietra, sono più pesante di corpo e di bagaglio.
Dopo un po’ usciamo dal bosco e il paesaggio si apre colorandosi di un giallo intenso. Alberi maestosi segnano ogni tanto la strada e così, col caldo che aumenta, arriviamo ad Atapuerca, borgo sperduto di origine paleolitica.
È ora di pranzo e consoliamo il nostro appetito nell’unico emporio, bar, supermercato, entro commerciale del paese. I “tizi” sono gentilissimi e preparano ottimi panini; la siesta la facciamo all’ombra in un giardino.
Quando riprendiamo il camino decido di sperimentare vie nuove: convinco Claudia ad abbandonare le frecce “guarda, vedi? Il sentiero gira attorno a queste colline, noi ci giriamo attorno per di qua…”…; fatto sta che allunghiamo di 5km e per di più finiamo dentro una enorme fabbrica di calce e cemento…(sono bravo a perdermi).
La strada è ora una statale, la pendenza e l'effetto traino dei camion che ci sorpassano, ci fa volare fino alla periferia di Burgos.
Dopo giorni passati in mezzo alla natura, ritrovarsi nella periferia commerciale di una città...fa schifo.
Incontriamo dei pellegrini, sono straniti e dubbiosi "possibile che sia questa la strada?"
Meno male che il tratto non dura molto, almeno in bici. E così entriamo nella parte storica della città: attraversiamo il fiume e passando sotto una porta si apre alla vista la splendida Cattedrale.
Decidiamo di visitarla a turno, mentre l'altro resta di guardia alle bici.
Vado per primo e ...é bellissima.
Quando entra Claudia noto la curiosità che attira la sua bici, saranno le salamandre?
Arriviamo all'albergue di Burgos che si trova dentro un parco, peccato si possa dormire solo a terra: invero sentiamo il bisogno di pace, di quella pace che solo un paesino può dare; e allora via!
mentre pedaliamo ci raggiungono Sonia e Ivan...iniziamo a fare strada insieme, pedalando allegramente come quattro amici da sempre, raggiungendo Rabè de la Calzada; qui prendiamo posto in un albergue gestito da una coppia formata da un marito rincoglionito e una moglie tirchia.
La cena la prepara la signora di sopra: un panino col formaggio, la peggiore cena del camino.
A noi si "unisce" Dino, un collega di professione di Claudia.
La mattina, dopo foto di rito e saluti, ripartiamo nel freddo, avvolti dalle nostre maglie antivento; siamo nell'altipiano spagnolo a circa 800m.
Tra una foto e l'altra ci riaggruppiamo a Sonia, Ivan e Dino: sarà uno dei più bei giorni di camino.
Dopo un pò lo spazio prende a dilatarsi, la sensazione che si prova è quella di un eterno perdersi, annullandosi nella vastità dei campi, il confine è lontano e il niente che ci separa dalla linea di confine stessa annulla la percezione di noi: siamo un granello di polvere perso nell'infinito essere...
Pedaliamo insieme, nella Comunione che è, che siamo.
Vedo Claudia serena. Il paesaggio meraviglioso, la strada che ogni tanto scende per poi tornare su....
Dopo un paio d'ora siamo ad Hontanas, un paesello medioevale nella persa meseta. Facciamo la seconda colazione nel bar dell'albergue. è ottima: le merende supercaloriche della Dulcesol mandano in estasi.
Resterei qui per un bel pò, magari un annetto o due.
Usciamo da Hontanas e ci aspetta la vista di un bellissimo campo di girasoli, la strada è una mulattiera e Dino ha qualche problema alla bici che gli si va smontando.
Bellissime le rovine di un castello dei Templari gestito da fedeli di Sant'Antonio da Padova.
nel brecciolino che "pavimenta" il sito Claudia fa una caduta. Mi prende un pò di timore: basta così poco e tutto il camino va in fumo! e questo vale sia per noi che per le bici.Esperamos!.
La strada è bellissima, uno sterrato desolato che ogni tanto sale, ogni tanto sale assai, ma in questo caso uniamo le forze e saliamo a piedi: l'importante è andare!
é bello arrivare in cima e voltarsi. vediamo arrivare un ragazzo sulla bici, è riuscito a superare la pendenza senza scendere a piedi, ma paga con la rottura di un pedale.
Dino è dei nostri, mentre Ivan e Sonia sono davanti. Ci buttiamo in discese lunghissime nel sole a picco, e raggiungiamo Ittero entrando da un ponte sul fiume. è questa la tappa che ho amato di più, forse perché vi posso concentrare le sensazioni dell'intero viaggio, il sole, i colori, i suoni, lo spazio...
Giunti come già detto ad Ittero, andiamo a fare la spesa per il pranzo con Dino, mentre Sonia e Ivan continuano…
Il paese pare vuoto! Veniamo presto a sapere che tutti sono in Chiesa per un battesimo (cosa che ad Ittero avviene ogni 4/5 anni); ci dirigiamo così verso la chiesa, arrivando mentre escono: è usanza augurale che i genitori del battezzato offrano delle caramellos agli astanti lanciandole per aria, ma ciò che colpisce è la foga con la quale la popolazione si “proietti” sulle disiate leccornie; e dire che la maggior parte degli abitanti è avanti con gli anni e con seri problemi a curvare la schiena…; le risate sono in questi casi un obbligo, specie osservando come gli anzianotti si prodighino ad aiutare le pulzelle….
La nostra bella comparsa la facciamo durante il pranzo: ci sistemiamo infatti nel portico di un edificio, accanto ad una fontana; tagliando il pane, sbucciando la frutta…facciamo “muddrichi”; insomma facciamo un casino per terra; Dopo un po’ vediamo arrivare la processione dei festaioli…che si fermano davanti a noi. Che bello, penso! E restando seduto tra i resti del pasto appena consumato, scatto qualche foto …ma loro non si muovono più: restano fermi davanti a noi, che riusciamo a capire solo dopo tempo che …abbiamo banchettato nel loro portico e loro, battezzato in testa, non possono entrare in casa.
La cosa allucinante è che passandoci davanti si scusano del disturbo, Spagnoli Zapateristi!
Dopo pranzo do una guardata alla bici di Dino: non è messa tanto bene: si è allentato un po’ tutto. La cosa che mi sorprende sono i freni di plastica…”come fa a frenare!”.
Dino ad ogni modo riparte prima di noi. Salutiamo anche lui, prevedendo che non lo rincontreremo. Durante la siesta (di tipo “dormiente” per Claudia) faccio un po’ di manutenzione alle bici: i portapacchi sono un po’ allentati, le catene sono secche. Un ragazzo che abita lì vicino mi offre dell’olio e la sua simpatia: è un maniaco di minimoto: ne ha sei, e ci corre da matto.
Ripartiamo controvento e controvoglia. Siamo stanchi e abbiamo bisogno di riposare.
La strada è sempre uno sterrato quasi piatto, con qualche saliscendi.
Passiamo da Boadilla del Camino dove entro in un bar a comprare qualcosa da bere…il paese è vuoto e nel bar ci sono solo uomini…
Giriamo intorno alla chiesa – centro del paese e riprendiamo il camino. La strada diventa sassosa e il tremolizzo ci stressa i polsi ed il … culo. Pedaliamo accanto ad un fiume. Qui ci fermiamo ad aiutare due bikers in difficoltà con una ruota (non hanno una pompa!). la strada “sul” fiume termina con l’attraversamento di una chiusa.
Oggi Claudia non ne vuole sapere di fermarsi, ed alla fine saranno 76 i Km percorsi.
Fromista, Villarmenteros e Carrion de los Condes “passano” ad alta velocità: la voglia di fermarci “ci” spinge ad andare più forte; il desiderio di riposare mi fa pedalare oltre i miei limiti. Claudia si aiuta aggrappandosi alla mia spalla ed io tiro me e lei. Arriviamo così a Carrion: ho le gambe che sono diventate di legno; un ragazzo ci accompagna dal Convento / Albergue dove due suore ci sistemano per la notte. La doccia mi restituisce le energie. Siamo “arrivati”! l’atmosfera nello stanzone è bella. Rincontriamo due tizi olandesi che ci avevano superato sulla strada per Carrion, solo che loro sono andati fuori strada, noi abbiamo chiesto info e siamo riusciti ad accorciare.
Usciamo a fare due passi, ed in un giardino, stesi nell’erba, consumiamo la nostra cena…è stata una giornata dura.
Torniamo presto al convento e facciamo amicizia con degli spagnoli, uno dei due inizia la notte martellandosi il torace mentre ascolta musica in cuffie. Pazzo, lucente, schizzato pellegrino spagnolo. Ma viene la notte, la notte calma; ed il sonno si adagia nel letto, portandosi seco i miei pensieri. Dormo, pesante, ma la mattina arriva troppo presto: nel buio i pellegrini a piedi si preparano ed escono, ma fanno rumore e svegliano tutti, anche quelli che vogliono dormire. Ci ho provato a farli silenziare, ma con l’unico effetto che diventando più cauti, fanno ancora più rumore.
Ci alziamo per ultimi e ripartiamo per ultimi. La giornata è bella, fresca e pulita.
Un nuovo giorno ci aspetta e noi gli andiamo incontro. La strada è piatta, più precisamente è un lungo dritto sentiero pieno di pietre da evitare; ma molto pedalabile. Già nella prima ora superiamo tutti i pellegrini a piedi: in pianura la bici equivale ad un aereo.
Andiamo…muoversi è la vita che ti scorre dentro. Siamo, nel movimento, al piano estatico dell’essere. Qui non ci sono vuoti, ci siamo solo noi. Pedalando cerchiamo di stare attenti a dove passano le nostre ruote (l’unico gommoso contatto con la terra): il peso delle bici è rilevante, anche se abbiamo l’essenziale; e basta una pietra per spaccare un copertone.
I primi 20 km passano in fretta e ci fermiamo a fare colazione a Calzadilla de la Cueza, nell’unico bar aperto. La giornata è soleggiata ma è solo arrivati al bar che decidiamo di alleggerire l’abbigliamento.
Il paesaggio è bellissimo e ci sono pochissime persone ora in giro. Proseguiamo tratto dopo tratto e a pranzo siamo a Sahagun. Entriamo in paese assieme ad una coppia (padre/figlio) che è pure “sul” cammino, ma per divorarlo con l’unico obiettivo di esserne alla fine divorati. Ci tengono a farci sapere quanti km hanno percorso con le loro bici da bitume. Non vediamo l’ora di perderli.
Fatta la spesa in un supermercato andiamo a cercare un posto alberato per desinare…lo troviamo poco lontano, nella parte bassa del paese: un ritaglio di verde nella città di cemento, proprio accanto ai resti di una chiesa romanica come tante ve ne sono.
Ci caliamo tutto e ci mettiamo subito a riposare avendo cura di stendere la biancheria. Ma a me oggi non mi va di stare fermo. Ho voglia di viaggiare, e finisco col convincere Claudia a ripartire subito. Usciamo da Sahagun sotto un sole cocente, ma il mio esperimento dura meno di 15km, e siamo costretti a fermarci: Claudia è “arrivata”, si stende, si addormenta; io la seguo a ruota.
A svegliarmi è il richiamo di una ragazza, “no, sto sognando!”, invece è tanto vera quanto bella, alla guida di una jeep viaggia lungo il cammino per dare una mano ai pellegrini in difficoltà.
Ripartiamo nel pomeriggio: ci aspetta il paese fantasma di El Burgo Ranero. Non c’è anima viva (ma dove sono tutti?). Pedaliamo nel silenzio tra case basse e decorate a fiori…
Ad un tratto scorgiamo una chiesa, l’unico edificio con la porta aperta; entriamo sospinti dalla curiosità e all’interno, dopo qualche istante, si materializza una ragazza immersa, manco a dirlo, in un religioso silenzio: non ci rivolge la parola e solo quando lasciamo la chiesa si prodiga in un saluto sforzato.
Il tratto successivo è davvero impegnativo se non altro per il caldo: raggiungiamo due pellegrini a piedi in piena crisi, tanto che hanno difficoltà pure ad accettare il nostro aiuto che si presenta sotto forma di acqua; li forziamo a bere dalle nostre borracce: a piedi è fondamentale programmare bene le tappe in funzione delle proprie risorse, sbagliare si paga a caro prezzo.
La strada corre veloce e pare perdersi in un orizzonte piatto e lontano. Ogni tanto un cambiamento di pendenza ci ricorda che non stiamo sognando, liberandoci da un torpore mentale che annebbia i sensi: ma anche questo è “cammino”.
Arriviamo nel tardo pomeriggio a Mansilla de las mulas, ma nell’albergue ci viene detto che non c’è posto letto: ci accolliamo di dormire nella lavanderia assieme ad altri due bicipellegrini spagnoli. Preso posto a terra ci rendiamo conto delle nostre “tristi” condizioni, ma è solo dopo essere usciti nei corridoi che notiamo che a terra prendono posto quelli arrivati dopo di noi, e la nostra tristezza diventa “fortuna”.
Dopo la doccia ci mettiamo a passeggiare per il paese: c’è una festa e c’è pure una gara per l’auto meglio elaborata; è miele per i miei neuroni: mi avvicino con fare interessato al vincitore e gli dico di essere particolarmente affascinato dallo sviluppo del suo concetto di “carretto siciliano ad Altavilla Milizia” che si concretizza nell’elaborazione di una automobile dai colori sgargianti. Gli chiedo se ha parenti ad Altavilla, lui nega ma a me resta il dubbio.
Andiamo a cenare in un ristorante accanto all’albergue, e la cucina è al solito deliziosa e abbondante.
La sera ci vediamo con i bikers con i quali condividiamo la lavanderia: sono ciclisti di professione.
La notte è dura stesi sul pavimento a sentire la resistenza elettrica del grosso boiler in funzione, ci vuole poco a staccare la spina…(che riattacco la mattina dopo).
La sera inizia a tirare vento. Siamo qa 20km da Leon e abbiamo superato la metà del cammino.
La notte giunge veloce e ci abbraccia mentre riposiamo dentro i nostri saccoletti. Domani è un altro giorno.
Manco il tempo di sparire nel sonno che l’alba di un nuovo giorno si affaccia ai nostri occhi gonfi. Giusto il tempo di ingollare qualcosa e stiamo pedalando in direzione Leon. La strada è in discesa, veloce, facile: appena il tempo di passare qualche paesino e siamo dentro alla città che non ci aspetta, ma ancora dorme. Per terra sparsi i segni della fiesta della notte appena sparita. Giriamo e rigiriamo per la città seguendo le frecce gialle, poi le lasciamo per seguire l’istinto. Ci ritroviamo a Plaza Major.
Ci sono pochissime auto e tanti turisti a piedi. Salutiamo i vari pellegrini che incontriamo, con molti dei quali scambiamo un unico eterno saluto.
Visitiamo la cattedrale e l’ex albergue do pellegrinos (oggi trasformato in hotel di lusso).
Uscire da Leon significa attraversare la sua periferia di casupole, ipermercati e grandi autovie.
Il pensiero va a quei pellegrini che iniziano il loro cammino da qui, perdendo quanto da noi sperimentato nelle tappe precedenti.
Ad aspettarci ore e ore di “pedalazioni” nella meseta arroventata al limite della noia. Sperimentiamo con successo l’andatura a trenino, filando via quasi senza stancarci (il nostro modo di procedere fatto di piccole e frequenti soste ristoratrici comincia a funzionare). Ovviamente dopo pranzo c’è sempre la siesta, che a 30km dopo Leon facciamo su una panchina nella sperduta San Miguel.
È bello non sapere dove ci fermeremo a pranzare o a dormire, sconoscere la nostra meta relativa al giorno, lasciando al caso il compito di guidarci; e concentrandoci, per parte nostra, solo ed esclusivamente sul cammino…akuna matata!
Pedavolando giungiamo a Hospital d’Orbigo; l’entrata nel paese è bellissima perché si attraversa un ponte medioevale di notevole fattura. Il paese tutto pare incantato e abbiamo l’impressione che da un momento all’altro arrivino guerrieri a cavallo…una favola!
Il pomeriggio è già passato ed io sono propenso a fermarmi, mentre Claudia vuole proseguire; quando però ci imbattiamo nell’albergue di Matì, vicino a quello parrocchiale, entrambi siamo sospinti alla sosta: si respira un’atmosfera distesa e piacevole e ci sono tutti i confort di cui necessitiamo: docce pulite e letti comodi. Matì l’hostellero diventa subito un amico e ci raccontiamo le nostre vite. Con noi pure Fabio, un ciclopellegrino col quale a sera andiamo a cenare in un locale con un bel pergolato. Una trota appena pescata e un buon vino rosso mi predispongono all’attacco di loquacità di Fabio che nel suo cammino si porta appresso il bagaglio sempre troppo ingombrante che è la sua vita quotidiana…a volte servirebbe solo ….stare in silenzio ad ascoltarsi!
Tornati in albergue cerchiamo subito il letto.
La colazione super di Matì ci da il benvenuto; c’è di tutto e Matì ci dona una scorta di frutta per il giorno. Pochi km e siamo ad Astorga dove non possiamo non fermarci ad ammirare le architetture di Gaudì…e poi vogliamo prendere fiato prima del picco di Foncebadon.
La strada sale costantemente ma non è mai troppo ripida. Incontriamo molti più pellegrini che nei giorni precedenti probabilmente per la riunificazione delle strade per Santiago o forse per il fatto che molti pellegrini scelgono di percorrere solo gli ultimi km (ne mancano 300!).
Saliamo quindi fino a Rabanal dove ci fermiamo per fare spesa e pranzare. In giro per il paese solo pellegrini. Poi dal portone della Chiesa fuoriescono tutti gli 80 abitanti di Rabanal. Oggi ricorre la festa del pellegrino e i festeggiati siamo “noi”. Ci vengono offerti vassoi di tortillas e panades al tonno e cipolla, tanto squisiti quanto resistenti a qualsiasi succo gastrico. Mi appanados! Mentre tra la folla i paesani ballano e cantano. La siesta che segue vede Claudia sdraiata e dormiente e io appoggiato al muro in catalessi intestinale.
Ripartiamo da Rabanal forse troppo presto: il sole è molto forte e la digestione in atto.
Una nuvola fantozziana ci viene sopra e ci aiuta non poco…ancora la provvidenza!
Percorriamo al coperto i km iniziali poi da est cominciano ad arrivare nubi con tutt’altre intenzioni: sono nere e accompagnate da forti tuoni, e noi siamo in montagna…
Arriviamo finalmente a Foncebadon…la tempesta è vicina e chiedo ai paesani quanto credano durerà: “tres dias!”. Andare e rischiare o restare e aspettare!
Stavolta Claudia non ha incertezze: si va!
Il solo fatto di aver deciso di andare ci da una forza notevole e saliamo di lena. Un biker non si vive bene il sorpasso di Claudia e spingendo rapportoni lunghissimi ci risupera. Ma il nostro ritmo è il passo veloce di chi vuole spomparsi, di chi pedala pure con la ragione: pochi metri ancora e il biker cede. Ora però siamo schiavi della nostra forza e ci abbandoniamo ad una corsa sfrenata verso la Cruz de hierro, il punto significativamente più importante per un pellegrino in bici. Tra grida di gioia e frenate a ruote bloccate arriviamo alla croce. Due folli schegge di umanità in delirio cui è concesso di toccare il loro sogno.
Il tempo di uno scatto e siamo già sui pedali con la croce alle spalle…
La strada scende solo per qualche km, poi sotto nuvole, pioggia e freddo scolliniamo in Galizia.
Ci aspettano 20km di discesa a volte impegnativa (penso a Dino e alla sua bici).
Voliamo spettatori di un paesaggio che cambia, ai boschi di montagna fa spazio l’aridità delle valli.
Gli abitati di Manjarin e El Acebo ci fanno pensare d’essere tornati indietro nel tempo.
La vista di una bici a pezzi su una stele ci lascia perplessi: vuoi vedere che qualcuno è finito in qualche burrone?
Sempre in discesa arriviamo a Molinaseca. Il fiume pieno di gente che fa il bagno e l’albergue con i letti all’aperto mi inducono a fermarmi! Ma al solito…qualcuno non è d’accordo. E dire che bastano pochi km a costringerci ad “unire” le forze per andare avanti…mentre i miei pensieri nuotano nel fiume…
Ponferrada comunque non è lontana e ci arriviamo in poco tempo, l’albergue però è dei più grandi: ci toccherà dormire nello scantinato e fortunatamente vicino alla porta.
A compenso la cena al ristorante Mencia è da sogno: il cameriere, notato il nostro appetito, richiama in anticipo il cuoco/proprietario (possibile?) che ci propina piatti squisiti a volontà…
Torniamo all’albergue col sorriso in faccia e ci immergiamo nei nostri posti letto sperimentando di lì a poco l’utilità dei tappi per le orecchie quando ci si trova in mezzo ad un concerto notturno per russatori professionisti…
Claudia però non riesce a dormire e al mattino per poco non se la prende con l’hostellero che la invita sgarbatamente ad uscire dall’albergue.
Il passo è segnato da continue soste per i motivi più assurdi: controllo sella, qualcosa nell’occhio, mancanza di qualcosa nell’occhio (la lentina), una foto qua, e una là no?...tanto siamo veloci se serve!
La strada è in pianura e i paesini sono splendidi; arriviamo a Villafranca del Bierzo.
Vorrei continuare subito ma Claudia mi convince a visitare la Chiesa di Santiago: entrare nella chiesa significa entrare in una dimensione mistica…non ci sono affreschi, nessuna statua, nessuna luce…solo un crocifisso tra i raggi di sole che filtrano dalle strette aperture dell’abside. Non ho parole. Perfino i miei pensieri si fermano e ogni respiro diventa una preghiera…se uno mi chiedesse un luogo dove poter vivere la presenza di Dio, quello sarebbe un posto sicuro.
Esco dalle mura della chiesa semplicemente diverso, con quell’immagine senza contorni che si è fissata nell’anima.
Ci rimettiamo a pedalare seguendo il corso di un fiume che scorre dentro un vallone…
Molti biker scelgono di tagliare per la pedalabile strada statale appena realizzata, ma noi siamo pellegrini: il tempo è una dimensione che è funzione del nostro essere, non del nostro arrivare.
Lungo questo strano tratto di strada immerso nella terra veniamo bloccati da una signora che deve indicarci la via (tra l’altro dentro ad un canyon non si può sbagliare!) tant’è che ci lasciamo “guidare” e lei se ne va felice…e noi pure.
Trovata un’area de descanso mi approprio della bici di Claudia e vado a fare spesa nel paesino successivo. Tornando indietro contromano rispetto al cammino.
Ci prepariamo alla salita alimentandoci a pane e salame…e tanta frutta.
Dopo la siesta riprendiamo il cammino e lo spettacolare paesaggio ci lascia senza fiato…anche perché la salita ce ne toglie già abbastanza.
Non è un tratto facile , con pendenze che superano il 25%. Saliamo a piedi…non spingendo ma sollevando le bici. Ma andiamo, provando di tanto in tanto a pedalare, ma preferendo camminare.
Superata La Laguna, dove facciamo acqua, ci aspetta O’Cebreiero dove giungiamo felici e soddisfatti.
Le pallozze, tipiche abitazioni col tetto di paglia, sono interessanti e ci fermiamo a visitarle.
Poco fuori dal paese ci aspetta una “casa aperta” nei pressi di Hospital de Condesa, un rifugio con docce, cucina e lavanderia sempre aperto…c’è freddo anche perché siamo molto oltre quota 1000m.
La cena la gustiamo nell’unico ristorante dove facciamo amicizia con due enormi spagnoli bonaccioni che mettono allegria al primo sguardo: stanno percorrendo solo gli ultimi 150km del camino e si sono caricati 5kg di frutta secca, 1kg di gatorade in polvere, due saccoletti giganti e a compenso due asciugamani dei puffi…
Dopo aver dormito per terra nel soggiorno assieme ad altri pellegrini ripartiamo nell’aria fresca e pungente. Pochi metri e Luis finisce sottosopra predisponendoci al buonumore.
Scendiamo a Tricastela nel freddo immersi in un bosco vastissimo. Da qui fino a Santiago resteremo sempre dentro ai boschi della Galizia.
La discesa in bici non permette di scaldarci, il sole è lontano e basso, così ogni tanto ci fermiamo ad alitare sulle dita congelate. A Tricastela rincontriamo Luis e Hornie che però decidono di proseguire per la carrettiera, noi optiamo per la favola del cammino...le felci ora sono sopra di noi, il sentiero è tagliato dentro al bosco che a tratti ci sovrasta lasciandoci a bocca aperta.
Non c’è più fatica ormai nel nostro andare, c’è solo l’essere una cosa sola col mondo che ci avvolge: il cammino è diventato un susseguirsi di alberi dalle forme più strane; cresciuti liberamente essi sono opere dell’arte della natura.
La nebbia non si dirada che per brevi tratti e fanno la loro comparsa i torrenti da guadare a piedi.
Non c’è più salita, non c’è più discesa, non c’è pianura! Esiste solo l’incedere senza monotonia, collina dopo collina, e poi una valle e dopo un’altra valle ancora.
Sempre meno spesso percorriamo i tratti in ripida salita a piedi ma quando lo facciamo sentiamo di riprendere un contatto più profondo e concatenato ai tempi del nostro essere.
A pranzo giungiamo a Sartia, ormai a soli 120km da Santiago.
Pranziamo in un giardino ma senza poter riposare per l’entusiasmo dei bambini….
Usciamo dalla cittadina e subito il bosco ci riaccoglie immenso. Non si vedono automobili, solo noi e gli altri pellegrini.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Portomarin, un piccolo paese costruito sulle rive del fiume. Siamo stanchi per gli 80km di saliscendi nei boschi. L’albergue è pieno e ci sistemano nella palestra comunale. Siamo in tanti compresi i due spagnoloni.
La sera, dopo cena, facciamo sempre una passeggiata. Stavolta assieme ai nuovi amici. Senza dubbio il cammino accomuna, a prescindere dai motivi per i quali lo si percorre.
Il cammino svuota, libera, amplificando il nostro essere unici.
La notte passa in silenzio solo grazie ai tappi e al mattino siamo i soliti…ultimi a partire.
La temperatura aumenta subito e continuiamo ad essere immersi nel bosco.
Dopo qualche km raggiungiamo i due spagnoli; Luis getta subito la spugna ma Hornie non ci sta ad essere superato da Claudia; iniziano così a correre tra pellegrini impauriti mentre io li seguo a ruota.
Ormai però Claudia ha imparato che per restare veloci serve utilizzare rapporti corti e mai pesanti…dopo un po’ Hornie crolla e alza bandiera bianca a Claudia sorridente.
Il pranzo lo mangiamo a Melide, città del polpo bollito.
Nel primo pomeriggio siamo di nuovo esseri pedalanti. Il paesaggio è semplicemente bellissimo.
Le steli a bordo strada ci dicono che siamo a meno di centokm da Santiago, sempre di meno.
Se da una parte l’allenamento degli ultimi giorni ci permette di essere più veloci, dall’altro comincia a farsi largo il dispiacere che tutto quello che sto vivendo potrà finire.
Capirò solo dopo che il Cammino non finisce…ma continua dentro di me, giorno dopo giorno.
Percorriamo alla fine della giornata quasi 90km fino ad Arca o Pedron, siamo a ventikm.
L’albergue è grande e ben tenuto. Ci sono posti solo a terra ma poco importa.
L’hostellera ci permette di usare il bagno privato e una doccia calda ci rimette in sesto.
In albergue rincontriamo due bikers olandesi che avevamo incontrato a Carrion…li abbiamo raggiunti senza correre. Cosa stiamo diventando?
Ceniamo con una ottima zuppa galiziana e lenticchie! Sento il cibo divenire parte di me, saziarmi pure lo spirito…ed è il cibo di mia nonna, quei sapori forti, semplici, puri.
Mi vengono in mente i suoi pentolini sul fuoco e quegli odori che ti proiettavano lontano, in alto.
Anche qui, dopo mangiato mi è concesso di sognare! Che bella la vita!
Ci svegliamo con una strana senzazione e un solo pensiero: tra poco saremo a Santiago!
Abbiamo giusto il tempo di montare le borse sulle bici e siamo di nuovo nel cammino, ancora per l’ultimo giorno, ancora in mezzo ad una natura spettacolare.
Claudia fila alla grande superando ogni biker che incontra…la mente all’ultima salita di Monte Gozo.
La affrontiamo di corsa come tradizione vuole…ultreya et suseya!
Poi giù verso Santiago…entriamo piano in città, senza lasciare il filo invisibile segnato dalle frecce gialle.
Arriviamo davanti alla cattedrale. È sabato. Siamo arrivati!
Leghiamo le bici e andiamo a ritirare le nostre Compostelas al Vescovado mettendoci in fila tra pellegrini che non sembrano stanchi…
Ottenuta la Compostela andiamo subito in Cattedrale per la messa del pellegrino che si celebra ogni giorno alle 12. e qui rincontriamo Sonia e Ivan. È un piacere ritrovarsi.
Lo spettacolo offerto dal botafumiero attira gli sguardi dei turisti…
Usciamo dalla cattedrale e riprendiamo le bici, ma nella confusione abbiamo riperso Ivan e Sonia, che non rivedremo più almeno nel cammino di Spagna.
Ci rechiamo allora al Seminario per avere un alloggio, tagliamo da un cantiere per fare prima, ma è tardi e ci tocca aspettare 3 ore prima che ci venga assegnato un letto.
Sistemate le bici dentro al Seminario avendo cura di togliere borsette e orologi (li fregano!), ci vestiamo in abiti civili e facciamo il primo giro per Santiago.
A sera siamo stanchi, ma ciò che più sentiamo è il legame che si è creato tra noi.
Andiamo a dormire sapendo che all’indomani non dovremo alzarci per pedalare. La nostra esperienza è finita oggi, dopo 755km; pochi, tanti, non lo so e non importa.
In questi 12 giorni abbiamo attraversato la Spagna lungo la rotta pura della Via Lattea, pedalando su strade battute ogni anno da migliaia di pellegrini in cerca di qualcosa.
Noi abbiamo ottenuto molto di più dell’immaginato: il cammino ci ha restituito emozioni che resteranno con noi per sempre, come per ogni attimo vissuto intensamente.
Il Cammino ha contribuito poi a temprare il nostro rapporto tra di noi e con gli altri.
Non credo di essere più credente di quanto non lo fossi prima di partire, certo però confido molto di più nella “provvidenza” e nella capacità di ogni uomo di saper tirare fuori il meglio di se nelle condizioni peggiori.
Ho potuto sperimentare costantemente l’aiuto che ci veniva offerto nei momenti di necessità.
Qualcuno potrebbe “leggere” con altri parametri quanto scritto e ancor prima vissuto. Non importa. Vale comunque ( e comunque in ogni caso).
La domenica prendiamo l’autobus per Finisterre. È una tappa necessaria per chiudere il cammino.
Fino all’acqua dell’oceano, per una nuova ripartenza.
Mi colpisce una frase scritta su una roccia che “guarda” il mare sormontata da una freccia gialla: “5000km ultreya!”.dapprima sorrido; poi penso a tutte quelle persone, a ciò che hanno fatto, a noi…e leggo in quelle due righe che nulla è cambiato, che il Cammino è la vita di ognuno a prescindere dall’essere stato in Spagna, che le frecce sono l’indicazione lasciata da chi ci ha preceduto per evitare di farci “perdere tempo” e darci al contempo la possibilità di spingerci oltre, che Santiago non è un arrivo ma solo una tappa, che laddove Finis-terrae comincia l’oceano, che voglio Claudia accanto a me!
A Finisterre facciamo a piedi i 3km per raggiungere il faro. È pieno di gente e di qualche pellegrino che “lascia” qualcosa che ha segnato il suo Cammino.
Restiamo ad ammirare l’oceano, la sua vastità, la sua bellezza. Ci chiama e sento che prima o poi lo andremo a trovare.
Tornando in paese entriamo in una chiesetta, è l’ultima chiesa del Cammino. Ci dicono che è una scelta far finire il Cammino a Santiago o a Finisterre, allora se scelgo che non finisca nemmeno qui?
Può andar bene. Non finisce qui.

Epilogo
In autobus l’indomani sera sistemiamo le bici. Il viaggio di ritorno a Bilbao è bello. Facciamo solo una tappa a Lugo per cambiare bus e per rifocillarci. Con l’occasione facciamo un giro in bici.
Verso sera ripartiamo. L’autobus viaggia veloce e alle 4.30 siamo a destinazione.
Ci sistemiamo su una panchina e aspettiamo il sole, mentre una pioggia leggera scende a bagnare le strade di Bilbao.
Alle 8 inizia la ricerca di un alloggio. Piove. Tutti ci rimandano alle 12…continuo a cercare mentre Claudia aspetta in un bar. Trovo una pensione ma non ha parcheggio bici. Ok, troverò un parcheggio.
Mi rimetto in strada con l’intenzione di trovare un parcheggio e incontro invece la persona più gentile di Spagna. Senza chiedere nulla in cambio, solo con la sua bontà d’animo Xavier diventa il nostro amico in Spagna. La sua esperienza poi, mista alla sua calda dialettica, è una spinta ad aprire il cuore.
Resterà nei nostri cuori l’amico sincero, la grande persona che è.
Dopo una settimana dedicata al riposo e al turismo, con lui chiudiamo la nostra avventura spagnola.
È Xavier che si presta per accompagnarci all’aeroporto.
Ringraziando lui, ringraziamo tutta la Spagna, tutti i volontari che giorno dopo giorno rendono possibile il Cammino.
Non serve la fede religiosa, non è necessario partire cristiani; basta aprire il proprio cuore e andare.
Andare è il verbo.
E andare poi è amare.

M.T.

 

Allegati

  • VERSO SANTIAGO.doc
    86 KB · Visite: 6

Classifica mensile dislivello positivo