Si dice che sia più importante il viaggio della meta, e io concordo.
Così come ritengo spesso più importante lo strumento del fine.
Prendiamo la mia bici, ad esempio.
Spoleto è il paese di mia madre e lei nei mesi estivi degli anni della mia infanzia e preadolescenza mi sbolognava volentieri a sua sorella Maddalena, che lì viveva.
Io da piccolo ero un solitario nellanimo, nel senso che ero carino, socievole ed educato ma se potevo stavo solo, e lì a Spoleto potevo.
Maddalena, che con letà più di una nonna che di una zia, indigena e villana, non si è mai sposata, mi adorava senza miei particolari meriti, me le faceva passare tutte e il mercoledì cenavamo con i bigné.
Come avrete capito me la spassavo.
Il sabato poi arrivavano da Roma i miei, non li vedevo da abbastanza tempo perché mi mancassero, e la domenica andavamo a fare un picnic a Monte Luco, che è il monte di fronte a Spoleto, al quale è collegato dal maestoso Ponte delle Torri.
In quei picnic pranzavo con fettine panate fredde e patatine PAI, e vivevo tutte quelle esperienze che senza girarci troppo intorno facevano di me un piccolo Siddartha.
Naturalmente ci fu unultima volta a Monte Luco, e fu decenni fa.
Eppure, qualcosa di incompiuto era rimasto tra me e quel monte, mi sembrava di averlo abbandonato allimprovviso e stavo anche cominciando a scordarmelo.
Così venerdì scorso ho preso un giorno di ferie, ho caricato la bici in macchina e sono andato a Spoleto.
Ho parcheggiato e sono salito in bici fin dove facevamo i nostri picnic.
Me la sono goduta, mi sono fermato a guardare i ricordi e ho fatto un selfie dove mio padre fotografava me e mio fratello davanti a un cespuglio per vedere quanto crescevamo.
Ora quel cespuglio è un albero, daltronde cresce anchesso.
Non avrei potuto fare quello che ho fatto senza la bici, non sarei potuto salire in macchina, sarebbe stato troppo facile e soprattutto troppo struggente per una mente non distratta dalla fatica.
Così invece è andata, avevo la scusa del sudore e il pretesto della bici.
Ci sono cose che a una certa età puoi fare soltanto in sella, ti vesti da matto, fatichi da matto, fai quello che vuoi, tipo guardare un cespuglio, e nessuno ti dice niente.
Sali, pensi, ti fermi, ricordi, riparti, rifletti, cambi rapporto.
E quando un pensiero non lo riesci proprio a sostenere, ti alzi sui pedali, o molli i freni, e in un attimo non ci pensi più.
Tecnicamente venerdì ho fatto unescursione in mountain bike in solitaria, 45 chilometri per 1.200 metri di dislivello, però la bici è stato il mezzo, e non il fine.
Così come ritengo spesso più importante lo strumento del fine.
Prendiamo la mia bici, ad esempio.
Spoleto è il paese di mia madre e lei nei mesi estivi degli anni della mia infanzia e preadolescenza mi sbolognava volentieri a sua sorella Maddalena, che lì viveva.
Io da piccolo ero un solitario nellanimo, nel senso che ero carino, socievole ed educato ma se potevo stavo solo, e lì a Spoleto potevo.
Maddalena, che con letà più di una nonna che di una zia, indigena e villana, non si è mai sposata, mi adorava senza miei particolari meriti, me le faceva passare tutte e il mercoledì cenavamo con i bigné.
Come avrete capito me la spassavo.
Il sabato poi arrivavano da Roma i miei, non li vedevo da abbastanza tempo perché mi mancassero, e la domenica andavamo a fare un picnic a Monte Luco, che è il monte di fronte a Spoleto, al quale è collegato dal maestoso Ponte delle Torri.
In quei picnic pranzavo con fettine panate fredde e patatine PAI, e vivevo tutte quelle esperienze che senza girarci troppo intorno facevano di me un piccolo Siddartha.
Naturalmente ci fu unultima volta a Monte Luco, e fu decenni fa.
Eppure, qualcosa di incompiuto era rimasto tra me e quel monte, mi sembrava di averlo abbandonato allimprovviso e stavo anche cominciando a scordarmelo.
Così venerdì scorso ho preso un giorno di ferie, ho caricato la bici in macchina e sono andato a Spoleto.
Ho parcheggiato e sono salito in bici fin dove facevamo i nostri picnic.
Me la sono goduta, mi sono fermato a guardare i ricordi e ho fatto un selfie dove mio padre fotografava me e mio fratello davanti a un cespuglio per vedere quanto crescevamo.
Ora quel cespuglio è un albero, daltronde cresce anchesso.
Non avrei potuto fare quello che ho fatto senza la bici, non sarei potuto salire in macchina, sarebbe stato troppo facile e soprattutto troppo struggente per una mente non distratta dalla fatica.
Così invece è andata, avevo la scusa del sudore e il pretesto della bici.
Ci sono cose che a una certa età puoi fare soltanto in sella, ti vesti da matto, fatichi da matto, fai quello che vuoi, tipo guardare un cespuglio, e nessuno ti dice niente.
Sali, pensi, ti fermi, ricordi, riparti, rifletti, cambi rapporto.
E quando un pensiero non lo riesci proprio a sostenere, ti alzi sui pedali, o molli i freni, e in un attimo non ci pensi più.
Tecnicamente venerdì ho fatto unescursione in mountain bike in solitaria, 45 chilometri per 1.200 metri di dislivello, però la bici è stato il mezzo, e non il fine.