Pedalando verso il lago....cent'anni fa

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nonnocarb

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Merano
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Pedalando verso il lago....cent'anni fa*



Sulla cima di una ariosa collina, coltivata a vigneti sul versante meridionale, spuntarono uno dopo l’altro, pedalando agilmente come fosse cosa facile, due giovani in tenuta da viaggio, portando ciascuno sulle spalle il proprio zaino in stile transalp.
“Ehi, sono io il primo!”, gridò Jonas ridendo trionfante giacchè era il trionfatore di quella scherzosa gara in salita, avendo appunto raggiunto per primo la cresta del colle e scorto per primo il lago di Garda.




L’amico, che Jonas chiamò voltandosi, gli era già alle spalle e, accaldato dalla scalata e ansimante, gli si affiancò sorpreso alla vista dell’enorme distesa d’acqua che arretrava dinanzi a lui.
“Il lago di Garda!”, disse a bassa voce più che altro a se stesso, felice e confermandosi con aria incredula di avere in verità davanti agli occhi e quasi raggiunto quel lago di cui fin da fanciullo aveva tanto udito.




“Già il lago di Garda”, lo interruppe Jonas, “A ricompensa adesso ci concediamo un quarto d’ora di sosta e ci guardiamo con tutta calma questa magnificenza”.
Posarono delicatamente le bici, si levarono gli zaini e sedettero sul muretto coperto di muschio che correva lungo il ciglio sopraelevato della strada.




Entrambi stavano compiendo il primo viaggio abbastanza lungo della loro giovane vita, pieni di impaziente predisposizione ad accogliere la bellezza del mondo, disponibili al totale abbandono e all’ammirazione e nel medesimo tempo animati da spirito di conquista e dalla certezza della vittoria. Da quattro giorni di ora in ora si era dischiuso loro un nuovo pezzo di mondo del quale dianzi non sapevano nulla, o solo per sentito dire, o quel poco che fornisce l’odiata erudizione scolastica. Avevano percorso valli e varcato fiumi dal nome a loro noto da anni, senza che però essi avessero immaginato alcunché udendone il suono straniero, e col passare dei giorni si erano rallegrati, ansiosi com’erano di raggiungere presto il confine e il grande lago e di entrare quindi in nuovi paesi stranieri.




Poiché il loro proposito era, attraversate le alpi seguendo certi sentieri montani, di vedere l’Italia dove da lungo tempo la loro nostalgia aveva trasferito il paradiso.
Per quanto durante il precedente cammino ne avessero parlato molto e per quanto cullassero nell’animo con struggente desiderio la loro Italia, la terra della loro nostalgia, una volta raggiunta la cima spaziosa di quell’altura essi se ne dimenticarono per qualche attimo smarrendosi nell’ebbrezza del loro primo incontro con la vastità e la varietà del panorama, che in un tripudio di colori si allargava sotto di loro in direzione di tutti e quattro i punti cardinali.




Davanti ai loro occhi il terreno digradava in delicate terrazze, con vigne e frutteti, verso il lago, la cui superficie azzurra, e in certi punti accecante, splendeva pressoché immobile nella sua grande estensione, rendendo il paesaggio incredibilmente ampio, luminoso e chiaro. Alte cime con morbidi pendii boscosi accerchiavano a destra l’enorme bacino lacustre; Intorno rilucevano rocche medievali, monasteri e masserie, mentre in basso l’acqua celeste abbracciava affettuosamente la terra formando rotonde insenature appena sfumate.




In queste baie qua e là i villaggi, piccoli, calmi e lindi, riposavano all’ombra dei frutteti, ma c’erano anche paesi con campanile e castello e qualche isolata villa sognante, piccola e sorprendentemente chiara e vedersi, mentre sul lago, scaglionate con parsimonia, nuotavano le imbarcazioni da regata e le tavole a vela.



http://g.imageshack.us/img230/windsurf2c.jpg/1/
“Oh, un kitesurf!” Esclamò Gustav estasiato, giacchè era la prima volta in vita sua che vedeva, sfolgorante nel suo nitido contorno, il colorato attrezzo sospeso nell’aria e trattenuto da invisibili cavi che solo di rado rilucevano alla luce del sole.
Allora l’amico Jonas gli sfiorò appena il braccio e con il gesto della mano gli indicò a sud la lontananza e le altitudini, e Gustav lo segui con lo sguardo gaiamente impaurito e tacendo, il braccio intorno alle spalle del compagno, si avvide della catena montuosa da tempo attesa, sognata e oggetto frequente delle loro conversazioni, ma ora nuova e insperata.




Dall’altra parte una foschia di nubi spumeggianti, grigie e bianche, formava un anello intorno ai piedi e a metà delle alpi e solo le vette sporgevano delicate e vitree in taciturna, dignitosa successione sfociando nell’azzurro del cielo estivo, irreali, affini nella forma e nel colore più al regno dell’aria che alla terra e nondimeno possenti e quasi minacciose.




Istintivamente erano balzati in piedi e a lungo ristettero, felici e ammaliati, in quello stato assai eccitante, silente, misteriosamente doloroso in cui il cuore si gonfia, perché cosi l’esploratore risponde agli spettacoli naturali e alle esperienze potenti e sorprendenti.
Si erano staccati l’uno dall’altro e, quasi oppressi dalla vastità dello scenario, guardarono a lungo in basso, sotto di loro, ma lasciando anche che il loro sguardo corresse sulla superficie del lago e lungo le insenature e, con frequenza anche maggiore, dal lato opposto, in direzione delle alpi, dove gli scuri pinnacoli di roccia e i bianchi nevai, dove le creste, le forcelle e le cime specchiatisi nella luce del sole, offrivano al presentimento le loro forme e i loro segreti infiniti.





Additando la catena montuosa esclamò con entusiasmo: “Deve essere il Brenta, quello davanti, alto e appuntito, e proprio là a sinistra passa la nostra strada; domani saremo nel cuore delle Alpi. Sai, è tutto come me l’ero immaginato sempre, anzi ancora più bello!”




(Continua.......)
 
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Rialzarono le bici, indossarono gli zaini e lentamente ripresero a pedalare, scendendo giù dal monte incontro al lago, che a mano a mano si faceva di un azzurro più terso;



e per quanto assetati di lontananza e felici di quella grande bellezza che desideravano dominare, non trovarono più tuttavia nel loro intimo quella disposizione interiore alla tregua e alla sosta contemplativa ma, sospinti dall’ebbrezza dell’impegnativo ma scorrevole sentiero, sentirono dentro di se l’urgenza di pedalare veloci, sempre più veloci, per arrivare presto anch’essi là in mezzo a quelle montagne.



Dopo poco la catena montuosa innevata e la lontananza scomparvero dietro le corone degli alberi che si ammassavano alle loro spalle sempre più stretti e di un verde sempre più scuro, finchè il sentiero scosceso si fece piano e comodo conducendoli lentamente verso la calda sponda del lago.



Qui la porta e il vicolo di una piccola, graziosa cittadina accolse i bikers con un saluto affabile, con vie lastricate e vasi fioriti, con pochi rumori di lavoro artigiano e invitanti insegne di osterie.
Ma, nonostante che la viuzza invasa dal sole fosse ridente e carina, i giovani passarono via spediti con un’ impazienza concorde, diretti al lago. E dal fondo di un vicolo laterale il lago inviò loro sulla faccia dei segnali luminosi, sicchè essi imboccarono rapidi quella strada e, usciti all’aperto, accecati dalla luce, si arrestarono davanti all’acqua sfavillante.




Li furono avvolti da quel fantastico profumo di lago, per loro nuovo e deliziosamente forestiero, e dalla vita sul lido a loro poco conosciuta: ragazzini scalzi con lunghe canne da pesca, leggere imbarcazioni a remi legate al palo e, ancora un po’ più al largo, windsurf e barche a vela che si lasciavano dolcemente cullare dall’acqua; Sulla spiaggia molte persone in costume da bagno erano dedite alla prima tintarella di sole.



E più in là, nelle mille colorazioni della madreperla, c’era l’imponente lago che i due giovani volevano attraversare. Anche se quello non era il porto di Genova e se il lago non era il mare Mediterraneo, la vastità della distesa d’acqua, il profumo di lago, le sagome delle barche e delle vele anticiparono in loro una forte sensazione di mare, e senza comunicarlo e senza peraltro esserne consapevoli, i giovani pensarono ad Omero e al navigatore Ulysse.


http://g.imageshack.us/img187/miacovolodietro.jpg/1/



*(racconto liberamente tratto da “Una giornata di cammino cent’anni fa”, Hermann Hesse, 1910. Da L'azzurra lontananza, Sugarco editore)

(immagini tratte dall’archivio personale del poeta):sborone:
 
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*(racconto liberamente tratto da “Una giornata di cammino cent’anni fa”, Hermann Hesse, 1910. Da L'azzurra lontananza, Sugarco editore)

Mi pareva che avessi una vena un po' troppo poetica in questo racconto. Comunque complimenti per l'adattamento e naturalmente per le foto.
Ciao
 
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bellissimo, bellissimo bellissimo!!

foto fantastiche, penso ke dal vivo mozzino il fiato le prime volte e anke le altre... mamma mia ke sogno deve essere arrivare in cima, sganciare i pedali, fare quei 3 o 4 passi e avere lo sguardo ke precipita giù verso queste immagini quasi irreali!


grazie carb!! o-o
 

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