Sarò breve…
Sabato mattina, ore sette e trenta. Al suono della sveglia la voglia di alzarsi è nulla. Penso al motivo che mi ha fatto puntare la sveglia ad un tale orario e raduno le poche forze disponibili. Non ho assolutamente voglia di pedalare, perché lo faccio? Come sempre la risposta arriverà a fine giornata e ogni volta al suono della sveglia mi farò questa domanda.
Mio fratello dorme tranquillo, mi vesto silenziosamente e scendo dalla camera in bagno. Mia madre è già sveglia a fare le pulizie della casa. Beata lei che si diverte così ogni giorno!
Pipì e sciacquata al viso, mi sto svegliando ed incomincia a salire la voglia di pedalare anche se, guardando fuori dalla finestra, si scorge un cielo plumbeo. Cinque minuti e l’acqua del te messa a bollire in precedenza inizia a gorgogliare insistentemente, nel mentre tutto il kit della colazione è stato preparato con cura, scatola dei biscotti e vasetto di nutella. La sequenza è semplice, si prende un biscotto, lo si infila nel barattolo della nutella, lo si estrae e lo si pucia nel tè , giusto per smollarsi un po’. Ripeto la delicata operazione (rischio di rottura del biscotto nel tè dato l’elevato peso del “modesto” quantitativo di nutella)un po’ di volte, circa una decina, alla fine non so ancora dove andrò e per quanto tempo starò in giro.
Ripiglio dalla pappetta di nutella in bocca, rapida sciacquata ai denti e via verso il garage ad abbigliarsi. Il freddo non è eccessivo, ci saranno tra i cinque e i dieci gradi, opto per un’ abbigliamento medio-pesante, controlli di routine a gomme, catena e marsupio, rifornimento alla borraccia e via, si inforca la biga!
Subito la prima salita fuori dal cancello di casa. Non importa la meta, ovunque si voglia andare quella salita è da affrontare, un lato negativo, un pessimo riscaldamento, un lato positivo, si capiscono molte cose delle proprie condizioni fisiche della giornata….sono in condizioni non molto buone ma la voglia di andare sta salendo di brutto.
Per ora basta salita, opto per la discesa, anche se ciò vorrà dire concludere la passeggiata con la salita Pescate-Galbiate, nulla di che, ma a fine giro non è mai bello.
Ciò sarà; so solo che ora non voglio fare altra salita, voglio ripigliarmi un po’ in discesa all’arietta fresca che preannuncia l’arrivo dell’ inverno. Direzione Lecco, il giro prende il via, decido di affrontare la salita che si dirige alla partenza della funivia che porta ai Piani D’Erna, una strada che non tira molto ma che sale grazie ai numerosi tornanti. Le possibilità, una volta raggiunta la cima, sono svariate, dalla semplice discesa fino ad interminabili giri in Valsassina e più. La copertura pre-invernale inizia a farsi sentire, la strada inizia a salire bene così come il sudore inizia a scendere. Poco a poco prendo quota, vado verso il mio mondo, lontano da quegli esseri incolonnati davanti ad una lampadina rossa, chiusi nelle loro scatolette di lamiera. La città vista da qui pare un’enorme plastico, sembra di poterlo schiacciare tuffandocisi sopra (no forse è troppo….va bè ho reso l’idea). Mille e più pensieri mi accompagnano durante la salita dandosi battaglia l’un l’altro per venire a galla. Bivio decisivo, che faccio? Sono ancora un po’ indeciso, decido di prendere tempo e arrivare veramente in cima alla salita, tre tornanti. Cosa faccio? Otto euros di funivia….non è una cattiva idea anche se un po’ esosa, alla fine non l’ho ancora fatta quest’anno la discesa di Erna…
La funivia sale, si alza, un puntino giallo che penetra la coltre di nubi, all’interno cinque persone, un biker, tre tipi e una tipa, chi è il più deficiente di loro che sale in quel posto con un tempo del genere? Difficile a dirsi.
Dall’interno del puntino giallo galleggiante non si vede nulla, grigio. Si discute sulla possibile presenza di neve e, intanto l’arietta di montagna inizia a farsi sentire, decido dunque di bardarmi con tutto ciò che ho a disposizione oltre a quello che già indosso….il K-way.
Si aprono le porte, non si vede nulla, tutto è immerso in un grigio alone di mistero. Il termometro della stazione di arrivo segna ben un grado, è la prima volta che esco con questa temperatura. Fa freschino ed il bello è che mi aspetta una interminabile discesa.
Dato il clima decido di fare la discesa più breve ma più tecnica via sentiero, un modo per scaldarsi. Ho vaghi ricordi del sentiero, quello a destra no, era troppo in pendenza e non si riusciva a fare, sì sì è quello di sinistra. Fango appiccicoso, passaggi su radici, ruote semi-slick..Bello bello! Discesa, fiume secco, salita. Salita. Salita? No, non è questo il sentiero che ricordavo, dovrei essere sotto al Resegone ma non ne sono convinto, la visibilità è ridotta ad un raggio di venti metri. Meglio tornare a fare la via veloce conosciuta.
Biga in spalla e si ritorna sui propri passi.
Giunto al bivio di partenza e scaldato a puntino grazie alla camminata, inforco la strada bianca che scende verso la Val Boazzo. Devo rifarmi del pezzo con la biga in spalla.
Prendo facilmente velocità, rettilineo, cambio di pendenza con leggero stacco da terra, staccata in leggera derapata, tornante a sinistra, due rapide pedalate, altra staccata per un tornante a sinistra, velocità, strada larga e sconnessa, evito i sassi grossi, cambio di pendenza in curva, il fondo diventa di cemento, poi di terra, ampia curva in appoggio sulle carrengie del trattore, allungo con due stacchi da terra sulle canaline dell’acqua che tagliano trasversalmente la strada, prato, strada e…fine discesa, si sfrutta l’inerzia per affrontare un breve tratto di salita che conduce ad un sentierino.La sella resta bassa, non ho voglia di alzarla anche se c’è un po’ da pedalare, mi pare di essere seduto sul cesso a fare cyclette.
Bivio. Questo è la prima volta che lo vedo, l’indicazione riporta “Forcella di Olino”….Sì, sì, ho presente dove può sbucare, però non l’ho mai fatto, giusto qualche centinaio di metri della presunta fine a piedi, non è male.
[exploration mode=on]
Il bivio è ormai alle mie spalle da qualche centinaio di metri, il sentiero è sempre meno battuto, attraverso ruscelli secchi con grossi sassi, pedalare diventa quasi impossibile, passaggi tecnici, alcuni trialisitici, altri impossibili. bisogna spingere. Mi guardo intorno per cercare di capire a che punto del cammino sono.
Nulla.
Tutto grigio.
Nessun riferimento.
Ma sì, alla fine la forcella di Olino ed Erna sono vicine! Non è del tutto vero, ho appreso in seguito.
Continuo imperterrito ma dei dubbi iniziano ad assillarmi, ad esempio penso a quanto realmente possa essere lungo quel sentiero. Non voglio saperlo, vivo nella mia illusione che da lì a poco finirà. Prendo una decisione, se entro poco tempo non vedo cenni di miglioramento torno indietro ancora una volta e mi faccio la solita vecchia strada anche se il ritorno è lungo. Penso, infatti, di aver camminato già per una buona mezz’ora…ma….un segnale mi dà la forza di proseguire. Sì, è proprio lui, un cartello a punta che indica nella mia direzione con scritto MTB! Probabilmente era solo questo primo pezzo impossibile.
Non so quanto tempo ho passato in quel bosco. So solo che ho trovato un sentiero così stretto ed esposto che, sul lato a monte, hanno messo una catenella per reggersi, la pendenza arrivava tranquillamente al cento per cento. Le solite nubi grigie filtravano lo sguardo e non permettevano di vedere la fine dello strapiombo, la biga appoggiata sulla spalla a valle sorretta da una mano, con l’altra mi tenevo aggrappato alla catenella, prima o poi finirà. Nel mentre pensavo, tanto per cambiare, a come possono esistere delle persone così ignoranti da segnalare quel percorso con cartelli MTB, e non pochi! Forse che era la sigla di qualcos’altro tipo Mountain Trek Brianza?
Dopo salite impossibili e un paio di altri passaggi esposti una luce nel grigiore, una zona che conosco! Finalmente da qui si può incominciare a pedalare, anzi si scende! Purtroppo la gioia della discesa è breve ma il sentiero è molto vario e divertente.
[exploration mode=off]
Giunto finalmente all’asfalto, dopo una sorsata d’acqua fresca (e ad un grado di temperatura esterna l’acqua è molto fresca!), mi trovo davanti all’ennesima possibilità di scelta, ritorno verso casa con discesa da Val Boazzo, ovvero tutto questo sbattimento per fare una discesa, bella sì, ma che non vale così tanta fatica o dall’altra parte? La scelta è scontata, inforco dunque la strada asfaltata in direzione Morterone, poche centinaia di metri e si inforca il primo sterrato a sinistra, si sale, e anche intensamente, tuttavia, almeno questa volta, si riesce a pedalare. Una volta questa strada bianca era un bel sentiero, ora la civiltà si è fatta viva anche in questo posto. Temo al pensare che, sicuramente, tra qualche anno, ci sarà una striscia di nero conglomerato bituminoso qui in mezzo alla natura quasi incontaminata, a parte qualche sporadico casolare e qualche rovina. Qui in questo luogo ignoto alla massa delle scatolette di lamiera mobili. Qui sopra al grigiore omogeneo dove si possono scorgere distintamente le nubi ondeggiare nel cielo blu. Esse, ad intermittenza celano e mostrano il sole che illumina le fronde degli alberi che mi circondano. Qui sono a casa mia. Questo è un paradiso. L’inferno è da poco passato, lo sento ancora addosso, il sentiero di prima mi ha risucchiato notevoli energie…non ci vedo più dalla fame, così prontamente trangugio una Fiesta! No, del normale cioccolato, che basta, avanza ed è molto meglio!
Mi sento Heidi, mancano le caprette che pascolano beate intorno a me. Me ne torno a casa da mio nonno, là in fondo a questa strada dove riesco a scorgere quel casolare. Sì è proprio lui, sapeva che uscivo in bici ed ora sta preparando un pranzetto, polenta fatta sul fuoco e cinghiale, quello che ha cacciato l’altro giorno. Non è così. La stanchezza aiuta molto a divagare….ancora un po’ e andavo veramente al casolare a vedere se mi offrivano un piatto di quella ipotetica polenta.
Mi muovo in un mondo galleggiante sulle nuvole. Questa è l’isola che non c’è. Non posso tornare nel mondo dei comuni mortali, sto bene qui.
Estasiato da questo senso di libertà giungo in un baleno alla Culmine S.Pietro (probabilmente quel”baleno” è stato un sacco di tempo) da dove parte la vera discesa.
Il primo tratto promette bene, un sentiero largo e poco battuto in mezzo ad immensi prati verdi. Più giù l’ingresso nella selva coincide con l’inizio (o il ritorno) delle nubi e con l’inizio del tracciato insidioso. Al verde prato si sostituiscono grossi sassi disseminati un po’ ovunque, si intravede una traccia di sentiero liscia e pulita lasciata grazie (o a causa) ai motociclisti.
Si susseguono rapidamente brevi rettilinei a numerosi tornanti che, velocemente, fanno perdere quota. Finisco questo tratto molto ripetitivo ma molto guidabile, ora la strada è meno costretta dalle montagne e prende uno sviluppo più lineare, i brevi rettilinei diventano degli allunghi molto vari con curve, saltini, passaggi su roccia viva. Natura più “selvaggia”. Persino le persone in questo punto scarseggiano, ciò poiché il cammino da Cremeno (o Maggio che sia) alla Culmine è molto lungo e in macchina si riesce a fare solo una piccolissima parte di strada. Per fortuna.
Io la mia biga e la natura, quel mondo in cui veramente mi sento me stesso, dove mi sento sempre a mio agio, in pace con i turbamenti interiori e quelli esteriori. Una cosa che so fare bene e che mi fa stare bene.
L’uscita dal bosco in un prato verde mi preannuncia l’inevitabile avvicinarsi della fine della discesa. Così come era iniziata la discesa si conclude, nella foresta incantata tutto è possibile.
Affronto l’ultimo tratto di strada bianca cercando di ricavarne il massimo, le curve sono tutte sfruttabilissime con un sacco di appoggi, il fondo è misto terra e ghiaia. Una vera goduria. In fondo a quest’ ultimo tratto una fontana, finalmente. La mia borraccia è già vuota da un po’ di tempo. Ritorno alla civiltà cinque, sei persone in coda per riempire le bottiglie di casa con l’ acqua di questa sorgente, ovviamente per riempire una borraccia non me ne sto in coda e con gentilezza passo avanti a tutti e me la riempio. Mi aspetta una “bella” bitumata fino a Lecco, la giusta occasione di ripensare all’incredibile varietà della mattinata. Dei bitumari mi sfrecciano accanto. Proprio non li capisco. Costretti su di un nastro d’asfalto dove, inevitabilmente, incontreranno sempre delle macchine, va bè fai tanta strada in poco tempo…..no, non esiste proprio, solo come mezzo di trasporto, non di svago.
Un altro carretto di pensieri trainato da un simpatico asinello passa per la mia mente, l’asfalto finisce, o meglio decido di farlo finire non appena ne ho la possibilità. Devio verso Montalbano su di una strada “asfaltata” che, poco a poco, si restringe sempre più fino a diventare sentiero. Spettacolare. Molto breve ma di una intensità incredibile. Veloce, stretto, curve su radici, curve in appoggio, velocità, due rapide curve si alternano, pratone che crea una riva, dislivello e salto concludono questo single-track. Da qui i sentieri diventano più “civili” con tratti in terra alternati a tratti costruiti con quei sassi arrotondati incastonati nel terreno (tanto simpatici quando sono umidi), qualche ripida scalinata si alterna a qualche sporadico attraversamento della strada principale.
Inizia il pezzo di “street” (a modo mio, visto che non è che faccio chissà cosa), si cambia panorama, il sentiero non è più circondato da alberi e prati ma dai muri di cinta delle case; da qui si riesce ad arrivare in centro Lecco immersi in quell’atmosfera da Bravi dei Promessi Sposi che tanto bene sa descrivere il Manzoni. Rapide curve, qualcuna in appoggio, brevi rettilinei, tutto in discesa e notevoli velocità. A volte un flash balza prepotentemente nella mente, una ipotetica persona dietro ad una curva…OP! OP! OP! Anche questa volta nessuno. c......e che sono!
Discesa dei Bravi, quella del famoso incontro tra Don Abbondio e i Bravi, slalom tra qualche cacca di cane, in parte anche queste sono natura! Chissà quante ne ho già prese senza accorgermi lungo i sentieri.
Rampa di scale da saltare, curva secca a novanta gradi che finisce su una rampa di scale da saltare o scendere con la biga in piega, ancora un paio di cappellate ad anche Lecco è finita. Ancora rampe di scale da saltare e da fare in curva, passaggi al pelo dei muretti. E’ finita
Passato.Una scarica di adrenalina.
Inizia la pianura che, inesorabilmente, mi porterà all’imbocco della salita finale di circa tre chilometri. Una vera tortura. Un brutto ritorno alla realtà cittadina con le macchine che ti passano a quindici centimetri.
Un’escursione unica, come ogni altra escursione. Un segno lasciato dentro (e un po’anche fuori) in modo indelebile, emozioni indescrivibili. Ci si sente al di fuori dalla visuale della usuale realtà dove molti si trovano a proprio agio. Una sfida con se stessi, un momento di introspezione, gioia, spensieratezza, libertà.
Libertà. Tutti invocano questo parolone. Io ho trovato la mia. Pedalando sento di non avere limiti, nessun vincolo, tutto è alla mia portata. Solo, in pace con il mondo, via da tutto e da tutti, solo poche persone sono ammesse, quelle che sono in grado di condividere il mio stesso pensiero e la mia stessa passione, persone con cui sto bene sia parlando sia in silenzio a contemplare la quiete.
Partire dal punto dove tutti stanno nel grigiore accontentandosi o dovendosi accontentare.
Superare le difficoltà andando avanti per la propria fottuta convinzione, imperterriti. Raggiungere la vetta con le proprie forze e scoprire quanto colore c’è fuori dal grigio. Cambiando prospettiva cambia il modo di affrontare le cose e di vivere.
Tutto questo è in grado di offrirmi una semplice pedalata del sabato mattina.
Ride Fast, ride Free!
Sabato mattina, ore sette e trenta. Al suono della sveglia la voglia di alzarsi è nulla. Penso al motivo che mi ha fatto puntare la sveglia ad un tale orario e raduno le poche forze disponibili. Non ho assolutamente voglia di pedalare, perché lo faccio? Come sempre la risposta arriverà a fine giornata e ogni volta al suono della sveglia mi farò questa domanda.
Mio fratello dorme tranquillo, mi vesto silenziosamente e scendo dalla camera in bagno. Mia madre è già sveglia a fare le pulizie della casa. Beata lei che si diverte così ogni giorno!
Pipì e sciacquata al viso, mi sto svegliando ed incomincia a salire la voglia di pedalare anche se, guardando fuori dalla finestra, si scorge un cielo plumbeo. Cinque minuti e l’acqua del te messa a bollire in precedenza inizia a gorgogliare insistentemente, nel mentre tutto il kit della colazione è stato preparato con cura, scatola dei biscotti e vasetto di nutella. La sequenza è semplice, si prende un biscotto, lo si infila nel barattolo della nutella, lo si estrae e lo si pucia nel tè , giusto per smollarsi un po’. Ripeto la delicata operazione (rischio di rottura del biscotto nel tè dato l’elevato peso del “modesto” quantitativo di nutella)un po’ di volte, circa una decina, alla fine non so ancora dove andrò e per quanto tempo starò in giro.
Ripiglio dalla pappetta di nutella in bocca, rapida sciacquata ai denti e via verso il garage ad abbigliarsi. Il freddo non è eccessivo, ci saranno tra i cinque e i dieci gradi, opto per un’ abbigliamento medio-pesante, controlli di routine a gomme, catena e marsupio, rifornimento alla borraccia e via, si inforca la biga!
Subito la prima salita fuori dal cancello di casa. Non importa la meta, ovunque si voglia andare quella salita è da affrontare, un lato negativo, un pessimo riscaldamento, un lato positivo, si capiscono molte cose delle proprie condizioni fisiche della giornata….sono in condizioni non molto buone ma la voglia di andare sta salendo di brutto.
Per ora basta salita, opto per la discesa, anche se ciò vorrà dire concludere la passeggiata con la salita Pescate-Galbiate, nulla di che, ma a fine giro non è mai bello.
Ciò sarà; so solo che ora non voglio fare altra salita, voglio ripigliarmi un po’ in discesa all’arietta fresca che preannuncia l’arrivo dell’ inverno. Direzione Lecco, il giro prende il via, decido di affrontare la salita che si dirige alla partenza della funivia che porta ai Piani D’Erna, una strada che non tira molto ma che sale grazie ai numerosi tornanti. Le possibilità, una volta raggiunta la cima, sono svariate, dalla semplice discesa fino ad interminabili giri in Valsassina e più. La copertura pre-invernale inizia a farsi sentire, la strada inizia a salire bene così come il sudore inizia a scendere. Poco a poco prendo quota, vado verso il mio mondo, lontano da quegli esseri incolonnati davanti ad una lampadina rossa, chiusi nelle loro scatolette di lamiera. La città vista da qui pare un’enorme plastico, sembra di poterlo schiacciare tuffandocisi sopra (no forse è troppo….va bè ho reso l’idea). Mille e più pensieri mi accompagnano durante la salita dandosi battaglia l’un l’altro per venire a galla. Bivio decisivo, che faccio? Sono ancora un po’ indeciso, decido di prendere tempo e arrivare veramente in cima alla salita, tre tornanti. Cosa faccio? Otto euros di funivia….non è una cattiva idea anche se un po’ esosa, alla fine non l’ho ancora fatta quest’anno la discesa di Erna…
La funivia sale, si alza, un puntino giallo che penetra la coltre di nubi, all’interno cinque persone, un biker, tre tipi e una tipa, chi è il più deficiente di loro che sale in quel posto con un tempo del genere? Difficile a dirsi.
Dall’interno del puntino giallo galleggiante non si vede nulla, grigio. Si discute sulla possibile presenza di neve e, intanto l’arietta di montagna inizia a farsi sentire, decido dunque di bardarmi con tutto ciò che ho a disposizione oltre a quello che già indosso….il K-way.
Si aprono le porte, non si vede nulla, tutto è immerso in un grigio alone di mistero. Il termometro della stazione di arrivo segna ben un grado, è la prima volta che esco con questa temperatura. Fa freschino ed il bello è che mi aspetta una interminabile discesa.
Dato il clima decido di fare la discesa più breve ma più tecnica via sentiero, un modo per scaldarsi. Ho vaghi ricordi del sentiero, quello a destra no, era troppo in pendenza e non si riusciva a fare, sì sì è quello di sinistra. Fango appiccicoso, passaggi su radici, ruote semi-slick..Bello bello! Discesa, fiume secco, salita. Salita. Salita? No, non è questo il sentiero che ricordavo, dovrei essere sotto al Resegone ma non ne sono convinto, la visibilità è ridotta ad un raggio di venti metri. Meglio tornare a fare la via veloce conosciuta.
Biga in spalla e si ritorna sui propri passi.
Giunto al bivio di partenza e scaldato a puntino grazie alla camminata, inforco la strada bianca che scende verso la Val Boazzo. Devo rifarmi del pezzo con la biga in spalla.
Prendo facilmente velocità, rettilineo, cambio di pendenza con leggero stacco da terra, staccata in leggera derapata, tornante a sinistra, due rapide pedalate, altra staccata per un tornante a sinistra, velocità, strada larga e sconnessa, evito i sassi grossi, cambio di pendenza in curva, il fondo diventa di cemento, poi di terra, ampia curva in appoggio sulle carrengie del trattore, allungo con due stacchi da terra sulle canaline dell’acqua che tagliano trasversalmente la strada, prato, strada e…fine discesa, si sfrutta l’inerzia per affrontare un breve tratto di salita che conduce ad un sentierino.La sella resta bassa, non ho voglia di alzarla anche se c’è un po’ da pedalare, mi pare di essere seduto sul cesso a fare cyclette.
Bivio. Questo è la prima volta che lo vedo, l’indicazione riporta “Forcella di Olino”….Sì, sì, ho presente dove può sbucare, però non l’ho mai fatto, giusto qualche centinaio di metri della presunta fine a piedi, non è male.
[exploration mode=on]
Il bivio è ormai alle mie spalle da qualche centinaio di metri, il sentiero è sempre meno battuto, attraverso ruscelli secchi con grossi sassi, pedalare diventa quasi impossibile, passaggi tecnici, alcuni trialisitici, altri impossibili. bisogna spingere. Mi guardo intorno per cercare di capire a che punto del cammino sono.
Nulla.
Tutto grigio.
Nessun riferimento.
Ma sì, alla fine la forcella di Olino ed Erna sono vicine! Non è del tutto vero, ho appreso in seguito.
Continuo imperterrito ma dei dubbi iniziano ad assillarmi, ad esempio penso a quanto realmente possa essere lungo quel sentiero. Non voglio saperlo, vivo nella mia illusione che da lì a poco finirà. Prendo una decisione, se entro poco tempo non vedo cenni di miglioramento torno indietro ancora una volta e mi faccio la solita vecchia strada anche se il ritorno è lungo. Penso, infatti, di aver camminato già per una buona mezz’ora…ma….un segnale mi dà la forza di proseguire. Sì, è proprio lui, un cartello a punta che indica nella mia direzione con scritto MTB! Probabilmente era solo questo primo pezzo impossibile.
Non so quanto tempo ho passato in quel bosco. So solo che ho trovato un sentiero così stretto ed esposto che, sul lato a monte, hanno messo una catenella per reggersi, la pendenza arrivava tranquillamente al cento per cento. Le solite nubi grigie filtravano lo sguardo e non permettevano di vedere la fine dello strapiombo, la biga appoggiata sulla spalla a valle sorretta da una mano, con l’altra mi tenevo aggrappato alla catenella, prima o poi finirà. Nel mentre pensavo, tanto per cambiare, a come possono esistere delle persone così ignoranti da segnalare quel percorso con cartelli MTB, e non pochi! Forse che era la sigla di qualcos’altro tipo Mountain Trek Brianza?
Dopo salite impossibili e un paio di altri passaggi esposti una luce nel grigiore, una zona che conosco! Finalmente da qui si può incominciare a pedalare, anzi si scende! Purtroppo la gioia della discesa è breve ma il sentiero è molto vario e divertente.
[exploration mode=off]
Giunto finalmente all’asfalto, dopo una sorsata d’acqua fresca (e ad un grado di temperatura esterna l’acqua è molto fresca!), mi trovo davanti all’ennesima possibilità di scelta, ritorno verso casa con discesa da Val Boazzo, ovvero tutto questo sbattimento per fare una discesa, bella sì, ma che non vale così tanta fatica o dall’altra parte? La scelta è scontata, inforco dunque la strada asfaltata in direzione Morterone, poche centinaia di metri e si inforca il primo sterrato a sinistra, si sale, e anche intensamente, tuttavia, almeno questa volta, si riesce a pedalare. Una volta questa strada bianca era un bel sentiero, ora la civiltà si è fatta viva anche in questo posto. Temo al pensare che, sicuramente, tra qualche anno, ci sarà una striscia di nero conglomerato bituminoso qui in mezzo alla natura quasi incontaminata, a parte qualche sporadico casolare e qualche rovina. Qui in questo luogo ignoto alla massa delle scatolette di lamiera mobili. Qui sopra al grigiore omogeneo dove si possono scorgere distintamente le nubi ondeggiare nel cielo blu. Esse, ad intermittenza celano e mostrano il sole che illumina le fronde degli alberi che mi circondano. Qui sono a casa mia. Questo è un paradiso. L’inferno è da poco passato, lo sento ancora addosso, il sentiero di prima mi ha risucchiato notevoli energie…non ci vedo più dalla fame, così prontamente trangugio una Fiesta! No, del normale cioccolato, che basta, avanza ed è molto meglio!
Mi sento Heidi, mancano le caprette che pascolano beate intorno a me. Me ne torno a casa da mio nonno, là in fondo a questa strada dove riesco a scorgere quel casolare. Sì è proprio lui, sapeva che uscivo in bici ed ora sta preparando un pranzetto, polenta fatta sul fuoco e cinghiale, quello che ha cacciato l’altro giorno. Non è così. La stanchezza aiuta molto a divagare….ancora un po’ e andavo veramente al casolare a vedere se mi offrivano un piatto di quella ipotetica polenta.
Mi muovo in un mondo galleggiante sulle nuvole. Questa è l’isola che non c’è. Non posso tornare nel mondo dei comuni mortali, sto bene qui.
Estasiato da questo senso di libertà giungo in un baleno alla Culmine S.Pietro (probabilmente quel”baleno” è stato un sacco di tempo) da dove parte la vera discesa.
Il primo tratto promette bene, un sentiero largo e poco battuto in mezzo ad immensi prati verdi. Più giù l’ingresso nella selva coincide con l’inizio (o il ritorno) delle nubi e con l’inizio del tracciato insidioso. Al verde prato si sostituiscono grossi sassi disseminati un po’ ovunque, si intravede una traccia di sentiero liscia e pulita lasciata grazie (o a causa) ai motociclisti.
Si susseguono rapidamente brevi rettilinei a numerosi tornanti che, velocemente, fanno perdere quota. Finisco questo tratto molto ripetitivo ma molto guidabile, ora la strada è meno costretta dalle montagne e prende uno sviluppo più lineare, i brevi rettilinei diventano degli allunghi molto vari con curve, saltini, passaggi su roccia viva. Natura più “selvaggia”. Persino le persone in questo punto scarseggiano, ciò poiché il cammino da Cremeno (o Maggio che sia) alla Culmine è molto lungo e in macchina si riesce a fare solo una piccolissima parte di strada. Per fortuna.
Io la mia biga e la natura, quel mondo in cui veramente mi sento me stesso, dove mi sento sempre a mio agio, in pace con i turbamenti interiori e quelli esteriori. Una cosa che so fare bene e che mi fa stare bene.
L’uscita dal bosco in un prato verde mi preannuncia l’inevitabile avvicinarsi della fine della discesa. Così come era iniziata la discesa si conclude, nella foresta incantata tutto è possibile.
Affronto l’ultimo tratto di strada bianca cercando di ricavarne il massimo, le curve sono tutte sfruttabilissime con un sacco di appoggi, il fondo è misto terra e ghiaia. Una vera goduria. In fondo a quest’ ultimo tratto una fontana, finalmente. La mia borraccia è già vuota da un po’ di tempo. Ritorno alla civiltà cinque, sei persone in coda per riempire le bottiglie di casa con l’ acqua di questa sorgente, ovviamente per riempire una borraccia non me ne sto in coda e con gentilezza passo avanti a tutti e me la riempio. Mi aspetta una “bella” bitumata fino a Lecco, la giusta occasione di ripensare all’incredibile varietà della mattinata. Dei bitumari mi sfrecciano accanto. Proprio non li capisco. Costretti su di un nastro d’asfalto dove, inevitabilmente, incontreranno sempre delle macchine, va bè fai tanta strada in poco tempo…..no, non esiste proprio, solo come mezzo di trasporto, non di svago.
Un altro carretto di pensieri trainato da un simpatico asinello passa per la mia mente, l’asfalto finisce, o meglio decido di farlo finire non appena ne ho la possibilità. Devio verso Montalbano su di una strada “asfaltata” che, poco a poco, si restringe sempre più fino a diventare sentiero. Spettacolare. Molto breve ma di una intensità incredibile. Veloce, stretto, curve su radici, curve in appoggio, velocità, due rapide curve si alternano, pratone che crea una riva, dislivello e salto concludono questo single-track. Da qui i sentieri diventano più “civili” con tratti in terra alternati a tratti costruiti con quei sassi arrotondati incastonati nel terreno (tanto simpatici quando sono umidi), qualche ripida scalinata si alterna a qualche sporadico attraversamento della strada principale.
Inizia il pezzo di “street” (a modo mio, visto che non è che faccio chissà cosa), si cambia panorama, il sentiero non è più circondato da alberi e prati ma dai muri di cinta delle case; da qui si riesce ad arrivare in centro Lecco immersi in quell’atmosfera da Bravi dei Promessi Sposi che tanto bene sa descrivere il Manzoni. Rapide curve, qualcuna in appoggio, brevi rettilinei, tutto in discesa e notevoli velocità. A volte un flash balza prepotentemente nella mente, una ipotetica persona dietro ad una curva…OP! OP! OP! Anche questa volta nessuno. c......e che sono!
Discesa dei Bravi, quella del famoso incontro tra Don Abbondio e i Bravi, slalom tra qualche cacca di cane, in parte anche queste sono natura! Chissà quante ne ho già prese senza accorgermi lungo i sentieri.
Rampa di scale da saltare, curva secca a novanta gradi che finisce su una rampa di scale da saltare o scendere con la biga in piega, ancora un paio di cappellate ad anche Lecco è finita. Ancora rampe di scale da saltare e da fare in curva, passaggi al pelo dei muretti. E’ finita
Passato.Una scarica di adrenalina.
Inizia la pianura che, inesorabilmente, mi porterà all’imbocco della salita finale di circa tre chilometri. Una vera tortura. Un brutto ritorno alla realtà cittadina con le macchine che ti passano a quindici centimetri.
Un’escursione unica, come ogni altra escursione. Un segno lasciato dentro (e un po’anche fuori) in modo indelebile, emozioni indescrivibili. Ci si sente al di fuori dalla visuale della usuale realtà dove molti si trovano a proprio agio. Una sfida con se stessi, un momento di introspezione, gioia, spensieratezza, libertà.
Libertà. Tutti invocano questo parolone. Io ho trovato la mia. Pedalando sento di non avere limiti, nessun vincolo, tutto è alla mia portata. Solo, in pace con il mondo, via da tutto e da tutti, solo poche persone sono ammesse, quelle che sono in grado di condividere il mio stesso pensiero e la mia stessa passione, persone con cui sto bene sia parlando sia in silenzio a contemplare la quiete.
Partire dal punto dove tutti stanno nel grigiore accontentandosi o dovendosi accontentare.
Superare le difficoltà andando avanti per la propria fottuta convinzione, imperterriti. Raggiungere la vetta con le proprie forze e scoprire quanto colore c’è fuori dal grigio. Cambiando prospettiva cambia il modo di affrontare le cose e di vivere.
Tutto questo è in grado di offrirmi una semplice pedalata del sabato mattina.
Ride Fast, ride Free!