Non sembrava di essere in una montagna, il Nanos pareva quasi un mondo a sè! Alla partenza si notava una nube posata comodamente sopra la vetta. La sua tenacia con il passare del tempo non mutava anzi, sembrava quasi volersi ostinare. La salita, molto panoramica, permetteva comunque di apprezzare piacevoli vedute sui rilievi prospicienti e sull'ampio fondovalle, punteggiato dai piccoli centri abitati. Dai rigogliosi e diversificati boschi delle quote più basse (con le loro sorprese) si passava gradualmente ad uno scenario sempre più roccioso, in cui le praterie andavano sovrapponendosi agli alberi, oramai più radi. I versanti, a seconda dell'esposizione, parevano come i colori del caleidoscopio: mutavano forme ed aspetto con naturalezza incredibile, per non parlare della moltitudine di sculture calcaree scolpite con pazienza indefessa dal tempo: candidi merletti, irti pinnacoli e guglie aguzze sembravano emergere in superficie come le vestigia di antiche città dimenticate. Si, il tempo: è proprio quest'ultimo che in luoghi del genere pare congelarsi, quasi a voler conservare in un'istantanea le immagini da lui stesso create. I sentieri sul Nanos si sprecano, cosi come i molti visitatori i quali, anche con meteo non sempre promettente, non rinunciano a trascorrere una piacevole giornata in montagna. Dopo aver attraversato spazi aperti, foreste dal tappeto rosso in cui gli affioramenti carsici contendono il primato solo alle molte doline, salite e discese, bivi in quantità infinita, oasi deserte che si alternano a luoghi brulicanti di vita, ecco ricomparire i paesi. I piccoli centri operosi dalle case in pietra e legno, in cui il passato sembra fare breccia da ogni angolo. La montagna mostra ora la sua lunga dorsale, ricordando quanto piccoli ed insignificanti siano gli esseri umani, mentre i tenui raggi del tramonto irrorano il dirupato versante meridionale, le cui geometrie mutevoli non tradiscono mai una nota stonata, neanche fossero un'orchestra perfetta, capace però di improvvisare e sorprendere. Un ultimo sforzo ed ecco apparire il sentierino: timido, esile, completamente immerso tra le possenti querce ed i carpini, ogni tanto prova ad affacciarsi in ambiente aperto, rivelando erbose schiarite tinte dalla pallida luce della luna, divenuta nel frattempo padrona indiscussa poichè così chiara da rendere l'ambiente spettrale. Le enormi fiumane detritiche posate sui ripidi fianchi, tra cui la vegetazione sembra cercare disperatamente di far breccia, paiono quasi dei giganti coricati, dei muti testimoni dei lenti cambiamenti che avvengono attorno a loro. Le pupille sorprendentemente si adattano alla nuova situazione, neanche fossero quelle di una lince che deve destreggiarsi felpata e silenziosa tra le ombre. La discesa dal Nanos infatti non si è rivelata così breve: alla notte non è parso vero di aver trovato compagnia, così ha deciso di intrattenere il più possibile; voleva giocare e si manifestava con forme indefinite, celate dal tappeto di stelle e lasciate quindi solo intuire. Ritrovare la strada in un mondo a sè equivale un pò a ritrovare se stessi, dopo che è stata concessa ospitalità nella dimora della notte a cui, piace pensare, si è carpito qualche segreto che resterà custodito per sempre nelle emozioni e nella memoria.