Se capitate dalle parti dellAmiata, quella solitaria montagna ricoperta da foreste di faggi che domina la Maremma grossetana, date uno sguardo anche alle alture circostanti, che a vederle sembrano quasi insignificanti rispetto alla maestosa imponenza dellantico vulcano spento.
Ebbene, a guardia del versante amiatino rivolto verso il mare, cè una montagna il cui profilo già da lontano si distingue dalle altre; sarà per la sua non trascurabile altezza, sarà forse perché il candore delle rocce calcaree contrasta decisamente con il verde cupo delle vicine faggete, ma il Monte Labbro non può non farsi notare.
Verso la sua cima si arrampicano comode strade ghiaiose, lunghe salite battute dal sole e spazzate dal vento; percorrono pascoli ondulati, aggirano costoni di roccia, superano casolari e poderi solitari, e finalmente, metro dopo metro, con un ultimo sforzo finale, guadagnano la cima della montagna solitaria.
Quassù il ciclista che ha avuto lardore di affrontare questa prova di resistenza può finalmente tirare il fiato, ma per poco; stavolta è il panorama che si apre a 360° tutto intorno che toglie il respiro: se da una parte la cupa faggeta dellAmiata occupa buona parte dellorizzonte, alle spalle un susseguirsi di colline ondulate guida locchio verso il luccichio del mare, con i profili frastagliati del Giglio, dellArgentario, dellIsola dElba.
E ancora, piu lontano, lappennino, il Casentino, la città di Siena, il Gran Sasso avvolto nella foschia.
La curiosità del solitario viandante è ora concentrata su quelle pietre sovrapposte fino a formare una torre; una rudimentale scala consente di salire sul tetto della costruzione, dove sembra di volare, di toccare con un dito i rapaci che ancora più in alto volano e stridono.
Strana storia quella del Monte Labbro. Geologicamente non ha niente a che fare con le rocce laviche del vicino cono amiatino; qui la roccia ha perso il grigiore della trachite per assumere il colore bianco abbagliante dei calcari.
E nessuna foresta copre con il suo manto ombroso questi sassi sui quali si accanisce il vento di tramontana o i raggi impietosi del sole estivo.
Eppure proprio queste pietre solitarie sono state il teatro di una storia umana breve, intensa e drammatica, una delle tante scintille che animano il vivere comune delle genti di questo mondo.
Una storia ormai vecchia, buona per i libri di scuola; una di quelle tante vicende sociali, politiche e religiose che hanno animato il nostro passato.
Camminando tra le antiche strade dei due paesi sui quali il Monte Labbro getta le sue ombre - Arcidosso e Santa Fiora - troverete ancora gli echi di queste antiche vicende: nei nomi della gente, nella sensibilità con la quale le comunità locali ancora oggi sostengono e si vantano di quella che, nel loro piccolo, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale.
Perché questa è una storia locale, una storia di povera gente.
Ma che ha anticipato, pur non influenzandola affatto, la storia del secolo che sarebbe venuto, quel movimento politico immenso che ha trovato nel marxismo la sua espressione maggiore.
La storia è questa.
Ebbene, a guardia del versante amiatino rivolto verso il mare, cè una montagna il cui profilo già da lontano si distingue dalle altre; sarà per la sua non trascurabile altezza, sarà forse perché il candore delle rocce calcaree contrasta decisamente con il verde cupo delle vicine faggete, ma il Monte Labbro non può non farsi notare.
Verso la sua cima si arrampicano comode strade ghiaiose, lunghe salite battute dal sole e spazzate dal vento; percorrono pascoli ondulati, aggirano costoni di roccia, superano casolari e poderi solitari, e finalmente, metro dopo metro, con un ultimo sforzo finale, guadagnano la cima della montagna solitaria.
Quassù il ciclista che ha avuto lardore di affrontare questa prova di resistenza può finalmente tirare il fiato, ma per poco; stavolta è il panorama che si apre a 360° tutto intorno che toglie il respiro: se da una parte la cupa faggeta dellAmiata occupa buona parte dellorizzonte, alle spalle un susseguirsi di colline ondulate guida locchio verso il luccichio del mare, con i profili frastagliati del Giglio, dellArgentario, dellIsola dElba.
E ancora, piu lontano, lappennino, il Casentino, la città di Siena, il Gran Sasso avvolto nella foschia.
La curiosità del solitario viandante è ora concentrata su quelle pietre sovrapposte fino a formare una torre; una rudimentale scala consente di salire sul tetto della costruzione, dove sembra di volare, di toccare con un dito i rapaci che ancora più in alto volano e stridono.
Strana storia quella del Monte Labbro. Geologicamente non ha niente a che fare con le rocce laviche del vicino cono amiatino; qui la roccia ha perso il grigiore della trachite per assumere il colore bianco abbagliante dei calcari.
E nessuna foresta copre con il suo manto ombroso questi sassi sui quali si accanisce il vento di tramontana o i raggi impietosi del sole estivo.
Eppure proprio queste pietre solitarie sono state il teatro di una storia umana breve, intensa e drammatica, una delle tante scintille che animano il vivere comune delle genti di questo mondo.
Una storia ormai vecchia, buona per i libri di scuola; una di quelle tante vicende sociali, politiche e religiose che hanno animato il nostro passato.
Camminando tra le antiche strade dei due paesi sui quali il Monte Labbro getta le sue ombre - Arcidosso e Santa Fiora - troverete ancora gli echi di queste antiche vicende: nei nomi della gente, nella sensibilità con la quale le comunità locali ancora oggi sostengono e si vantano di quella che, nel loro piccolo, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione culturale.
Perché questa è una storia locale, una storia di povera gente.
Ma che ha anticipato, pur non influenzandola affatto, la storia del secolo che sarebbe venuto, quel movimento politico immenso che ha trovato nel marxismo la sua espressione maggiore.
La storia è questa.