Prologo
Io so,
so come andarono i fatti, perché c'ero.
Lui, l'innominabile "xx", non era così, ce lo fecero addiventare.
Povirazza la sventura che dovette abbatterglisi sopra!
Ma cominciamo dal principio...
Uno
Era una notte buia e tempestosa....
Pioveva già da parecchie iornate che pareva che lassù qualcuno volesse fare lo spiritoso trasformandoci tutti in triglie di scoglio; o forse s'erano scordati un rubinetto aperto immersi com'erano a risolvere le disumane facenne.
Tant'è che oramai nisciuno ci capiva una mazza del tempo, e le stagioni giocavano a saltacavallo fottendosene una beneamata minchia di tutto l'ordine creato.
E così, anche se si era in piena estate, il cielo portava carrico, e la corrente elettrica mancava già da qualche orata. Così, per non continuare a sbattere la faccia stipi stipi, quel disgraziato di Cicco pensò bene d'addrumarsi il cero che sua madre aveva messo di lato per san calò.
La sua era ragione ragionevolmente bastevole in quanto era dalla nascita impossibilitato a sognare ad occhi chiusi come la grande maggioranza dei cristiani vattiati: lui invece era "costretto" a stare alla luce, con gli occhi sbarricati, per fare si che la confusione di figure volanti che gli firriava per la testa diventasse quadro bastevolmente quieto per accapirci un qualunquè.
Quella mattina sua madre gli aveva comunicato che prima di sera sarebbe addivenuto "frati di un fratidduzzo nicu e beddu", ma a lui non gliene catafotteva niente: era stanco picchì aveva tirato fino all'alba assieme ai soliti 4 skunkumiddati girgentani solo per tentare d'amminkiuliare l'esistenza della professoressa Diblasi Melchiorra, in forze alla scuola media statali intitolata a Savvatore Vasassai (emerito omo siculiano imparpagliato per metà nella politica e per metà nel malaffare, solo che oramà non si accapiva come distinguere le due felle che gli circumnavigavano la facciazza).
I 4 avevano passato la notti appizzati al citofono della diblasi, sperando così che all'indomani, vittima della sò stissa stanchizza, non si presentasse a scuola, rompendo l'incantesimo che durava da 43anni e che la voleva giornalmente presente e onnipresente, con la matita rossa e blu nella mano mancina ed un libretto nivuru nella dritta laddove, si diceva, stavano impressi i segreti di tutto il paisi.
E si che una vota quel cornutazzo di totò runnolo s'era miso di santa pazienza con l'intenzioni di entrare nei favori della Diblasi, e un sorriso oggi, uno domani era arrinisciuto a guadagnarisi la so fiducia, tant'è che una matina la Diblasi fu chiamata dal bidello Scasazza e, dovendo interrompere la lizioni sui motivi della strage di portella, affidò la classe nelle mani di runnolo.
Era il momento: sincronizzati in anni di minkionerie, cicco, totò e il piccolo ignaZzio, diedero inizio alle grandi manovre!
totò raprì la borsetta in finta pelle di coccodrillo, o forse era di vera pelle di finto coccodrillo;e tirò fora il libretto nivuro e principiò a leggere in silenzio.
Ma la facenna era complicata assai: la diblasi usava un codice di cifratura a doppia mandata, un modo ingegnoso per mannare a fanculo qualunque curioso si fosse attrovato a posare occhi e ciriveddo sulle sue pagine.
totò però era tipo assai tosto e, tosto che ebbe messo le mani sul libretto, ne parve interamente assorbito: se ne stava muto e impassibile ai richiami di ignazio, ormai in preda a pura crisi istericomestruale nel vedere che la diblasi avanzava nel corridoio.
Nello stesso istante in cui la porta fu aperta, i tre trigghiuluna riuscirono a ritornare ai loro posti: il libretto era nella borsetta, la pelle salva.
Tutto pareva tornato normale, solo totò sembrava cangiato, gli occhi lontani anni luce, sprizzavano energia ma dentro di essi si vedevano i neuroni avvampare ancora supra a quel geroglifico.
Nel frattempo la diblasi aveva chiamato cicco e ignazio in cattedra per il rituale dell'interrogazione.
Ammatula i due se l'erano presa comoda cercando dapprima di mimetizzarsi dietro a borse e libri, e adducendo poi inverosimili giustificazioni che manco quel minkione di piersilvio sarebbe riuscito a inventare .
La tortura però durò poco: cicco e gnazio non seppero reggere alle prime bordate, e affondarono inesorabilmente aggrappati ad una pietra che tanto ricordava uno zero.
Intanto totò continuava il suo viaggio a bordo della mente lungo le righe del libretto.
I sensi erano totalmente alienati.
Numeri, lettere, simboli piano piano diventavano sempre più chiari, finchè di botto totò accapì la chiavi.
Per la cuntintizza afferrò il braccio della sua compagna di banco, che subito si Mise ad urlare di scanto.
La diblasi dovette accorrere a fermare quell'incosciente, e suo malgrado lo spedì per punizione dalla preside Tura Trimmu,che, fosse dipeso da lei e non dal regolamento, lo avrebbe messo a nuovo in meno di cinco minuti , rovinandolo per sempre.
Passarono le ore e solo nel pomeriggio i 4 si riunirono al bar aurora.
Totò arrivò per ultimo, con la faccia stravolta.
Cicco gli fu subito addosso per farsi dire se ci aveva capito qualcosa del libretto...la risposta lo stese: "u librettu...ci su tutti i prezzi!..."
"i prezzi ri chi?"
"i prezzi...p'ogni cosa: vò na fimmina biunna pi na sira? 200euri.
Vò un brasiliano pì tri uri?..."
"ma davveru?, e tu viri ddra santa donna..."
L'unica attività extra scolastica della diblasi sembrava riguardare il volontariato al centro accoglienza per stranieri, ma il libretto scombinava tutto.
Cosa stavano a significare quelle indicazioni? Perché le aveva lei, e perché nisciva tutto fora aora?
Ma la cosa più stramba era un nome: "xx".
La diblasi l'aveva perfino sottolineato due volte con la penna rossa.
Totò ebbe finito di contare quando...(continua)