La sfiga più grande.

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Solcavo, ormai da ore, mai pago, il mare di foglie che si apriva sotto le mie ruote, un solco netto, diritto, come la prua di una nave che si fà strada tra i ghiacci; d'un tratto, inaspettato, il lamentoso sibilo del nero budello che perforato si affloscia, nella mia mente echeggia disordinata la sua nota dolente. Che fare? Riparo, il sudore e l'argilla si mescolano sul mio volto senza soluzione di continuità, ormai una maschera appaio e anche i pochi animali che transitano sembrano non riconoscermi più come essere umano.
Riparto, di slancio, gagliardo e attento, pochi metri ancora e di nuovo, severo, quel sibilo appare, stavolta é di dietro, l'assetto é perduto, di colpo mi schianto.
Mi fermo e constato, il telaio é incrinato, il manubrio divelto, la sella sdrucita, un raggio solitario fà capolino da dietro un albero, un mite cerbiatto piange insieme a me.
Ahh, mia amata bicicletta, non avrai più fretta nè destino, solo il ricordo del tuo sfortunato meschino.
 

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