Passata è la tempesta. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombra la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra...
Anche il mio cuore si rallegra quando alle 8.30 di ieri mattina, destandomi da un lungo sonno, sento le prime note di "dropping out of school, bella canzone di Brad sucks, che mi fa da sveglia da qualche settimana.
Guardando fuori della finestra vedo un cielo azzurro e terso che per tre lunghi giorni era stato oscurato da una coltre di nubi impenetrabile e tormentato da minacciosi lampi.
Mi alzo dal letto e mi sento stanco e spossato come dopo una giornata di duro lavoro, mi trascino in cucina e divoro mezzo pandoro ed una superba tazza di latte freddo.
Ho la pancia in subbuglio, la causa è la smoderatezza insuperabile che ha caratterizzato i miei pasti nell'ultima settimana o poco più.
Passa qualche minuto e mi accorgo che mi sento proprio una chiavica.
Al diavolo, non mi farò fermare da uno stupido mal di pancia, mi preparo per uscire in bici.
I miei movimenti sono simili a quelli di un bradipo, dopo un interminabile tempo fatto di: mamma dove sono i pantaloncini? e di: ma dove vai, non vedi che freddo che fa?, mi accingo a partire per il mio giretto.
Una volta messomi in sella i dolori e la fiacchezza spariscono, per giunta, senza che possa accorgermene; pedalo verso una direzione sconosciuta, non ho programmato nulla e dopo pochi minuti mi caccio in una stradina deserta in mezzo ai campi.
I campi sono allagati, merito delle piogge cadute incessantemente fino a stanotte, oggi tuttavia, il sole sembra voler padroneggiare questa strana domenica post festività natalizie, e per fortuna aggiungerei, dato che questo venticello gelido che soffia in direzione contraria alla mia (qualunque direzione io prenda), risulterebbe ben più molesto se non ci fosse questa palla infuocata ad irradiarmi.
Passano i minuti, e continuo a pedalare per i campi, passo da una sterrata piena di fango ad una strada imbrecciata con innumerevoli pozzanghere; non sto spingendo forte, perché da una parte il vento che sembra tenermi fermo come una gigantesca mano che mi spinge sul petto, e dall'altra la spossatezza che dal mio risveglio mi tormenta mi impediscono di tenere un ritmo sostenuto. La cosa non mi dispiace, da mesi ormai ho imparato a non badare alle prestazioni, ho smontato il conta km e non guardo l'orologio, mi faccio trasportare dalle mie sensazioni e guidare dalla mia coscienza.
Tuttavia non mancano gli sprint, quelle poche volte che il vento soffia alle mie spalle, non disdegno degli scatti improvvisi sui pedali ed una volta raggiunta una buona velocità mi sembra di viaggiare sospinto dalle vele, le ruote come sollevarsi dal terreno e l'animo fondersi con il ritmo delle pedalate.
Un normale giro in bici, nulla di più e nulla di meno, il giro di un biker pigro o meglio non particolarmente ben disposto ad affrontare il minimo dislivello e che gira tra i campi della sua campagna, senza gloria e senza infamia.
Fino a quando non accade l'imprevisto, entro in una pozzanghera, una gran bella pozzanghera, ne avrò attraversate una moltitudine di cosi' grandi, due pedalate e l'acqua mi arriva fino al ginocchio. La bici si impantana e rimango in mezzo a questo laghetto, con un balzo raggiungo il margine e mi abbandono ad una risata liberatoria.
Riprendo a pedalare e dopo un paio di curve eccomi naufragare in una nuova pozza d'acqua, sembra addirittura piacevole, l'acqua che è entrata nelle scarpe è diventata tiepida e non mi infastidisce alquanto.
Ma questa stradina ormai, non mi riserva altro che acqua!
E' completamente allagata e la sensazione di piedi bagnati, man mano che questi si inzuppano diventa assai meno piacevole.
L'ultimo sforzo, dopo questo fiumiciattolo vedo la provinciale, la fine, la salvezza.
Una quindicina di km da fare in volata (di bolina), mi separano da casa, il sole è sparito dietro le nubi e non desidero altro che una doccia calda, i miei piedi sono congelati, il vento freddo penetra attraverso le scarpe e mi regala emozioni delle quali farei volentieri a meno.
Come ogni volta, alla fine di un giro in bici, mi sento un po' sfinito, finito forse.
Pronto per ricominciare a vivere, magari un po meglio.
grazie e scusate la lungaggine.
Domenico
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombra la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra...
Anche il mio cuore si rallegra quando alle 8.30 di ieri mattina, destandomi da un lungo sonno, sento le prime note di "dropping out of school, bella canzone di Brad sucks, che mi fa da sveglia da qualche settimana.
Guardando fuori della finestra vedo un cielo azzurro e terso che per tre lunghi giorni era stato oscurato da una coltre di nubi impenetrabile e tormentato da minacciosi lampi.
Mi alzo dal letto e mi sento stanco e spossato come dopo una giornata di duro lavoro, mi trascino in cucina e divoro mezzo pandoro ed una superba tazza di latte freddo.
Ho la pancia in subbuglio, la causa è la smoderatezza insuperabile che ha caratterizzato i miei pasti nell'ultima settimana o poco più.
Passa qualche minuto e mi accorgo che mi sento proprio una chiavica.
Al diavolo, non mi farò fermare da uno stupido mal di pancia, mi preparo per uscire in bici.
I miei movimenti sono simili a quelli di un bradipo, dopo un interminabile tempo fatto di: mamma dove sono i pantaloncini? e di: ma dove vai, non vedi che freddo che fa?, mi accingo a partire per il mio giretto.
Una volta messomi in sella i dolori e la fiacchezza spariscono, per giunta, senza che possa accorgermene; pedalo verso una direzione sconosciuta, non ho programmato nulla e dopo pochi minuti mi caccio in una stradina deserta in mezzo ai campi.
I campi sono allagati, merito delle piogge cadute incessantemente fino a stanotte, oggi tuttavia, il sole sembra voler padroneggiare questa strana domenica post festività natalizie, e per fortuna aggiungerei, dato che questo venticello gelido che soffia in direzione contraria alla mia (qualunque direzione io prenda), risulterebbe ben più molesto se non ci fosse questa palla infuocata ad irradiarmi.
Passano i minuti, e continuo a pedalare per i campi, passo da una sterrata piena di fango ad una strada imbrecciata con innumerevoli pozzanghere; non sto spingendo forte, perché da una parte il vento che sembra tenermi fermo come una gigantesca mano che mi spinge sul petto, e dall'altra la spossatezza che dal mio risveglio mi tormenta mi impediscono di tenere un ritmo sostenuto. La cosa non mi dispiace, da mesi ormai ho imparato a non badare alle prestazioni, ho smontato il conta km e non guardo l'orologio, mi faccio trasportare dalle mie sensazioni e guidare dalla mia coscienza.
Tuttavia non mancano gli sprint, quelle poche volte che il vento soffia alle mie spalle, non disdegno degli scatti improvvisi sui pedali ed una volta raggiunta una buona velocità mi sembra di viaggiare sospinto dalle vele, le ruote come sollevarsi dal terreno e l'animo fondersi con il ritmo delle pedalate.
Un normale giro in bici, nulla di più e nulla di meno, il giro di un biker pigro o meglio non particolarmente ben disposto ad affrontare il minimo dislivello e che gira tra i campi della sua campagna, senza gloria e senza infamia.
Fino a quando non accade l'imprevisto, entro in una pozzanghera, una gran bella pozzanghera, ne avrò attraversate una moltitudine di cosi' grandi, due pedalate e l'acqua mi arriva fino al ginocchio. La bici si impantana e rimango in mezzo a questo laghetto, con un balzo raggiungo il margine e mi abbandono ad una risata liberatoria.
Riprendo a pedalare e dopo un paio di curve eccomi naufragare in una nuova pozza d'acqua, sembra addirittura piacevole, l'acqua che è entrata nelle scarpe è diventata tiepida e non mi infastidisce alquanto.
Ma questa stradina ormai, non mi riserva altro che acqua!
E' completamente allagata e la sensazione di piedi bagnati, man mano che questi si inzuppano diventa assai meno piacevole.
L'ultimo sforzo, dopo questo fiumiciattolo vedo la provinciale, la fine, la salvezza.
Una quindicina di km da fare in volata (di bolina), mi separano da casa, il sole è sparito dietro le nubi e non desidero altro che una doccia calda, i miei piedi sono congelati, il vento freddo penetra attraverso le scarpe e mi regala emozioni delle quali farei volentieri a meno.
Come ogni volta, alla fine di un giro in bici, mi sento un po' sfinito, finito forse.
Pronto per ricominciare a vivere, magari un po meglio.
grazie e scusate la lungaggine.
Domenico