La 24 ore di Roma: impressioni

  • La Pinarello Dogma XC è finalmente disponibile al pubblico! Dopo averla vista sul gradino più alto del podio dei campionati del mondo di XC 2023 con Tom Pidcock (con la full) e Pauline Ferrand-Prevot (con la front), Stefano Udeschini ha avuto modo di provarla sui sentieri del Garda
    Iscriviti al canale se non l'hai ancora fatto (clicca qui).


FRWalter

Biker urlandum
17/6/08
505
1
0
Sulle nuvole
Visita sito
Perdonatemi il titolo da tema di liceo, ma ho finito la fantasia. Premetto che non ho messo la descrizione del tracciato perchè avrebbe dato al racconto una piega estenuante: già è lungo così, figuratevi un po'...

24 H ROMA 2009

“ANCORA UNO”


Giovedì 24 Settembre, ore 19.30 circa

Contrariamente anche al più roseo pronostico, sono il primo ad arrivare nel cortile di Claudio. La mia entrata è stata quanto mai pittoresca: il “mezzo aziendale” (IVECO Daily dell’89 con ribaltabile trilaterale) è un mezzo ideale per portare una bici: non la devi smontare. Chiaro, un furgone tipo quello del panettiere sarebbe ancora meglio, da lì puoi scendere proprio pedalando, ma mi posso benissimo accontentare. Gli arrivi in anticipo degli ospiti, scene già viste, non sono proprio la passione di Claudio, ma tant’è, oramai il danno è fatto…

Di lì a poco si aggiungerà Michele, che ci mostra con orgoglio il suo nuovo navigatore, comprato a prezzo stracciato. Tornerà molto, ma molto utile.

I preparativi prima della partenza di una 24 h. hanno sempre il sapore di un‘impresa: la roba da portarsi è davvero tanta, tutte le volte un trasloco. Da ammirare come sempre Massimo e Omar che non solo hanno procurato il furgone a noleggio, ma anche costruito la scaffalatura interna atta a contenere lo sfacelo di roba che abitualmente ci portiamo, e lo hanno caricato sopra. La cosa preoccupante è che il “minimo indispensabile” riempie metà vano di carico di un Mercedes Sprinter a passo lungo e furgonatura alta.

Nell‘altra metà del vano, croce e delizia, ci sono le nostre bici. Tutti a gioiarsi dei pesi piuma raggiunti cambiando “questo” piuttosto che “quel” componente, tranne me. Essendo solido io, mi serve una solida bici, anche se 2 kg. di scarto tra un mezzo e l’altro fanno una differenza impressionante.

Comunque sia, i nostri eroi arrivano all’incirca verso le 20.00, si caricano le ultime cose, e si parte Con loro, ospite graditissima, un “volto noto” della 24 h. cup: Ausilia “Biancaneve” Vistarini, paladina della filosofia single speed, e dotata di un monumentale spirito di adattamento. Conoscendo i soggetti che vedrà nei due giorni successivi, ne avrà un bisogno disperato…

Destinazione Roma, stando al navigatore ci aspettano circa 547 km. di autostrada. Il viaggio trascorre liscio come l’olio, compresa una splendida digressione a Parma. Ci siamo fermati in un bel locale a due passi dal casello per un’ottima pizza, pausa veloce e via. Non potevamo viaggiare meglio: poco traffico, compagni di viaggio coi miei stessi interessi, ottima colonna sonora. Il solito abbiocco da passeggero che abitualmente mi carpisce tarda a farsi vedere, sopraggiunge solo verso le 3 del mattino, alle porte di Roma.

L’ARRIVO

Parigi sarà anche la “Ville Lumière”, ma la Città Eterna in quanto ad illuminazione ha poco da invidiare. Il fascino metropolitano di roma si irradia già dal grande raccordo anulare, che di giorno appare invece come una cattedrale consacrata allo squallore. Arriviamo in breve sulla Tuscolana, e da lì all’ingresso del parco degli acquedotti, che fino al pomeriggio di Domenica 27, sarà la nostra casa, a cielo aperto. Non si può fare a meno di notare come il clima sia splendidamente mite, fin troppo per me, che ho addosso la tuta felpata e il sospetto (poi diventato certezza) di aver dimenticato i calzoncini corti. Sono le 4 e 40 del mattino, lancio la mia tenda che sarà dimora mia, di Massimo e Omar, Ausilia lancia la sua che però non è del modello autoportante, e dormirà infatti nella tenda “smontata”: si parlava di spirito di adattamento…

Sveglia puntata per le 7.45, i miei coinquilini dormono già come sassi, comunicandomi una certa invidia, mentre Claudio e Mike passano una “quasi nottata” folle a bordo della Twingo, tra pedate al cruscotto e reciproche gomitate. Una canzone diceva: “ho visto anche zingari felici”, e noi lo siamo a pieno titolo.

CHI BEN COMINCIA…

Venerdì 25 Settembre: ore 8.00 circa. Sembriamo delle api operaie, indaffarate alla costruzione del nostro “campo base”. Arrivare prima ha significato poterci piazzare a lato del tracciato, scelta premiante per motivi che chi corre le “24” conosce fin troppo bene, quindi evito di annoiarvi. Picchetta, stendi il telone, stendi la prolunga, monta i gazebi, monta le tende… Novità: la radio, gradita compagna delle nostre eroiche gesta. Intanto arriva Cristian “Turi” Rizzato, partito da Orio al Serio a mezzo aereo, e si aggiunge all’allegra combriccola. Il suo compagno di merende (Juri), arriverà più tardi: per cause professionali, gli toccherà farsi il viaggio in macchina da solo: un piano definito “folle” dai più. Parte praticamente dopo pranzo, e ci raggiunge in serata.

La temperatura sale molto, troppo rapidamente. Dicevo: niente calzoni corti, bravo fesso. E ho dimenticato anche l’accappatoio, catastrofe. E oltre a quello anche i salamini che avevo comprato. Qualcuno mi chiede se ho portato il cervello, non afferro la domanda. Comunque i pantaloni della tuta si possono benissimo arrotolare, la tendopoli è quasi completa e alle ore 11.00 il termometro segna 32 gradi: un clima praticamente da Luglio.

Per fortuna che tira un pelo d’aria, allietando il momento di relax che tutti si godono dopo le operazioni di facchinaggio. Davanti a noi un campo brullo, ruotando lo sguardo ci si gode oltre al villaggio-tenda anche le tensostrutture create per la partenza, il palco dello speaker e dei soliti concerti, e in lontananza la sagoma maestosa degli acquedotti, che da centinaia di anni dominano le campagne circostanti. A poca distanza una piccola pineta, la Tuscolana e gli studi di Cinecittà. Non potevano sceglierlo meglio, il posto. Con buona pace delle critiche che ho letto su MTB-Forum, ho un buon ricordo di tutta la manifestazione.

Ritiriamo il pacco gara, poi si va tutti a pranzo. Scegliamo il locale di una nota catena poco distante (o meglio: qualcuno l’ha scelto, non chiedetemi chi), e ci si va tutti in bici. Se si riuscisse ad aumentare del 50 % il numero dei ciclisti capitolini, Roma non sarebbe solo la città più bella del mondo, ma senz’altro la più vivibile. Il fatto è che non riesco a non farmi affascinare: ogni angolo di Roma mi dice qualcosa, mi sembra di esserci già stato, forse ci ho vissuto in una vita precedente.
Riassaporo dopo qualche anno i tonnarelli cacio e pepe, inarrivabile prelibatezza romana. Il clima tra di noi è come sempre disteso e pacifico, la bici, le gare, la fatica, gli interessi comuni, il reciproco confronto sono degli argomenti troppo convincenti per farsi ostacolare dalle tensioni: ci passano sopra, come fanno le ruote artigliate di una MTB sopra l’ostacolo, e senza voler togliere nulla agli stradisti, come le sottili 28 pollici di una bici da corsa fanno con le impercettibili asperità dell’asfalto.

Chiaro, qualche battutina vola, ma sempre col sorriso sulle labbra: capirsi bene, capirsi sempre, non capirsi mai del tutto per capirsi meglio la volta dopo. Quando avrò un figlio e comincerà (povero lui) a darmi retta, sarà una delle prime cose che gli insegnerò.

STRESS-FREE-EXPERIENCE


Ore 14.00 circa
Ringrazio i signori della Chrysler per avermi fornito questo slogan che copio pedissequamente. Come si descrive un’attesa, senza annoiare chi è davanti al foglio (o al monitor) in questo momento? C’è chi beve una birra, con tutta la mia invidia, visto che mi sono autoimposto l’embargo alcoolico (poi infranto) fino al 30 Settembre. Io opto per della sana musica in auricolare.

Comunque, Relax fino alle 16.00 circa, ora in cui partirà quella che sul sito della 24 h. viene descritta come “pedalata nella storia”. Praticamente un giro turistico per Roma, a mezzo bici. Esperienza sconvolgente, non solo per chi ama Roma, ma per chi abbia anche un minimo di amore per la vita all’aria aperta: di tutte le mie esperienze ciclistiche, questa, senza nessuna difficoltà a livello di percorso (salite, discese ecc.), è quella che mi ha lasciato più sbalordito: Roma era nostra, di un gruppo di ciclisti. Nell’occasione conosciamo Norberto, in arte “Turbo”, uno dei Kulamula. I “Regalati siam cari” lo additano simpaticamente come adepto della concorrenza, io da solitario sono al di sopra delle parti. Comunque, tornando al discorso di prima, un giro in bici per Roma mentre il tramonto (che già ho definito da cartolina) ti accompagna, è una cosa che non si può descrivere a parole. L’aria a mano a mano più fresca, la pausa al circo massimo con Red Bull gentilmente offerta da delle graziose e simpatiche “Redbulline”, gli sguardi ora stupiti ora entusiasti dei passanti: qualcosa di esaltante, da provare assolutamente. Il rientro al campo base mi lascia quasi deluso: sarei rimasto in giro tutta notte, addentrandomi tra i vicoli di Roma e vagando senza meta, ma non potevo dimenticarmi che l’indomani, a mezzogiorno, avremmo cominciato a “fare sul serio”, ovvero la gara ci avrebbe fagocitato. Con ritmi diversi per i solitari e per le varie batterie, ma comunque in un unico boccone.

Si va a cena al “Coccodrillo”, locale carino a pochi metri dal parco, con noi il nuovo acquisto “Turbo”. Il soprannome se lo deve essere meritato sul campo, perché in bici è veramente tosto. Io continuo con la mia rinuncia all’alcool, e devo dire che, nonostante l’iniziale sacrificio, alla fine la scelta ha pagato, con gli interessi. Finalmente riesco ad assaggiare i maccheroni “alla Gricia”, che da tempo mi avevano incuriosito. Gli altri optano chi per l’Amatriciana, chi per la Carbonara. Del resto, siamo in una delle capitali del cibo. Rientro non tardissimo, e si “affilano le armi” per la giornata successiva, con una bella dormita.

PRONTI, VIA

Alle 9.00 del mattino la tenda è già invivibile per il caldo, ne approfitto per andare a fare la spesa con Ausilia. Tutti controllano alacremente il corredo tecnico della bici, in particolare Michele, che mette il liquido antiforatura nei copertoni. Direi che ha una certa sfiga dal punto di vista dei pneumatici, ma sono costretto a tenermi la frase tra i denti: da lì a poco avrei forato anch’io. La sua Olympia, però, ha anche un curioso problema di allineamento della ruota, da cui non si riesce a venire a capo. Io mi accorgo solo a mezz’ora dalla partenza di avere il disco del freno posteriore storto come una banana. Claudio cerca di raddrizzarlo, qualcosa di meglio, ma i dischi dritti sono un’altra cosa, le mie pastiglie posteriori sono consumate malissimo, ma decido di portarle ugualmente a fine gara. Massimo e Omar lavorano in squadra montando il rapporto giusto sulla Singlespeed di Ausilia, Turi e Juri dopo aver sistemato le ultime cose tentano un assalto al pasta-party a un quarto d’ora dalla partenza, faccio altrettanto, ma le cucine (anzi: LA cucina) non è ancora pronta. Si langue in fila sotto un sole che spacca le pietre, i tempi sono rispettati al minuto, ma la pasta è praticamente cruda. Poco male, mangiamo con l’imbuto, giù mezzo litro d’acqua, e poi a prendere le bici. Una volata, perché i partecipanti cominciano ad affollare la partenza.

Bici abbandonata come da copione in un angolo (io e Juri facciamo che una sia il cavalletto dell’altra, in una specie di Tetris ciclistico), si parte dietro un lungo striscione tenuto da dei volontari. A mezzogiorno esatto si aprono le ostilità. Partenza in puro stile 24 ore: breve corsa a piedi (senza accanirsi come i primi tempi: serve molto di più se sei in squadra), i capitani delle batterie partono come dei missili, i solitari chiudono lo schieramento. Nella mia mente si delinea un unico imperativo: regolarità. Trovare il passo giusto, usare sempre il rapporto giusto, frenare poco, pedalare quanto serve. La sella distrutta nella caduta di Idro rompe le palle, non per modo di dire, e stavolta mi toccherà abbandonarla per sempre. La fortuna ha voluto che finissi la gara prima del suo totale collasso. Il mio istinto da ciclista domenicale mi dice che è ora di mettere mano anche al manubrio: così è troppo alto, e la parte alta delle spalle dopo circa due ore mi farà male. Stesso discorso per la sella, andrebbe tirata giù ancora di un centimetro. Ma non ho né il tempo né la voglia di perdermi in puerili aggiustamenti di tipo meccanico: meglio calarsi nella parte al 100 % e soffrire in silenzio.

Comincio a capire come funziona, infatti mi faccio “pronti/via” otto giri del tracciato, che col mio passo “bradipoide” si traduce in qualcosa meno di quattro ore di sella, sufficienti a svuotare completamente un hydrapack da due litri da cui suggevo idratazione con vampiresca avidità, e la borraccia che ho passato tutto il tempo a farmi colare in testa, come fanno i ciclisti “veri”. Il mio primo stop dura circa mezz’ora, sono circa le 16.30 di uno splendido Sabato. Fa appena appena più fresco, rivedo le scene di Cremona, fortunatamente senza quel diluvio. E rispetto a Idro, questa mia terza esperienza da solitario è vissuta più intensamente. Cerco di minimizzare i tempi morti, ma vedere come fa Ausilia mi fa pensare che sono ancora un principiante: snack consumati in sella, si scende solo per delle brevissime parentesi, altro che le mie blasfeme dormite da tre ore! Lei è una professionista,io recito a soggetto e la parte per il momento mi riesce anche bene. Preferisco saggiamente non forzare sulle pur minime salite, perché mi aspettano ancora 20 ore dalla conclusione, e ho in mente un piano folle: stare a ridosso del “Regalato son caro” di turno per l’ultimo giro. Come ciò non si sia verificato, ve lo spiegherò dopo.

Altri quattro giri, con un clima molto meno feroce e rovente. Arido si, infatti ogni ciclista è una maschera di polvere, le bici assumono una verniciatura mimetica naturale, ma si comincia a sudare e bere meno. A occhio, il mio passo è diminuito leggermente, secondo stop alle 19.00 circa. E’ ora di montare i fanali, mi butto con una veemenza ferina su un panino messo insieme in fretta e furia, do una pulita agli occhiali, il mio fondoschiena comincia a patire, la schiena pure, ma nel complesso sono in gran forma. Esperienza: l’unica maniera per sapere quante energie spendere, come stare in sella, cosa portarsi, cosa mangiare, cosa bere, quanto, come, e perché.

Il pensiero comincia a diventare uno solo: il numero di passaggi al traguardo. E prima di fermarsi, la mente ti dà sempre la stessa risposta: “ancora uno”. Ogni tanto mi incrocio con Turi e Juri, ma i turni di marcia e pausa, miei e loro, seguono una logica completamente delirante, quindi talvolta ci si perde di vista. I RSC passano veloci, un veloce scambio di battute e velocemente si allontanano: loro non vogliono prendersela comoda, perché attualmente sono al terzo posto nella “24h. cup”. Io, nel mio piccolo, sto macinando la migliore performance dell’anno. Sono passati circa 2000 km. sotto le mie ruote, da Febbraio, non è tanto, ma i miglioramenti si sentono, eccome. Altri quattro giri, si fanno le 22.30. Stavolta crollo, lo ammetto. I piedi mi facevano così male che mi capitava di sganciare gli scarpini dai pedali pedalando con le piante anziché con le punte, le spalle sono anchilosate, la schiena è un pezzo di legno, gli occhi due serrande quasi chiuse su un incendio: polvere e lenti a contatto non sono mai andate d’accordo. Via tutto, mi spoglio e mi butto in tenda. Dentro di me, una soddisfazione grandiosa: non essermi perso il tramonto sugli acquedotti. Penombra suggestiva, flash dei fotografi, prime bici con le luci accese, aria appena umida, e gli studi di Cinecittà a 100 metri in linea d’aria: pare un film.

00.22

E’ l’ora che leggo sul display del telefonino appena mi risveglio. Mi faccio quasi schifo per essermi buttato in tenda coperto di polvere come un’anfora babilonese appena recuperata da uno scavo, ma la stanchezza ha avuto la meglio su tutto. Solito calvario, il risveglio. Bisogna prendere la rincorsa e lanciarsi fuori dalla tenda, faccio fatica ad abbandonare il suo tepore, nonostante non mi sia ancora procurato una brandina e abbia il culo praticamente a pezzi. Comunque in un tempo prossimo allo zero sono fuori dalla tenda, addosso casco e guanti, e mi butto sulla bici come un ergastolano si butterebbe sulla moglie che non vede da 15 anni. Il buio fa luce (buona questa) sulle diverse scuole di pensiero riguardo all’illuminazione della bici: dietro LED rosso per tutti, sia esso fisso o lampeggiante, qualche estroso con le fibre ottiche nei cerchioni, che fanno gli effetti di luce con la ruota che gira, davanti chi si affida alla fredda luce dei LED (la maggioranza), che consuma poca batteria, chi è ancora un sostenitore dell’incandescenza, calda come tono ma spendacciona di energia. In particolare rimango sbalordito da un individuo che mi passa a tutta sulla sinistra, e da una coppia di tandemisti: la vicinanza di Cinecittà mi fa pensare che forse la notte prima siano andati a rubare un paio di spotlight da qualche palcoscenico montandolo poi sul manubrio: passavano loro e facevano giorno, una luce del genere finora l’avevo vista solo sulle torri di controllo degli aeroporti. Sta andando tutto bene, è la mia notte più lunga. A Cremona mi sono dovuto buttare in macchina, fradicio, semicongelato e incazzato come una bestia, a Idro sono finito in stato comatoso per più di cinque ore, perdendomi praticamente tutta la notte, ma qua sto battagliando. Pigato, che sarà poi il vincitore di categoria, deve aver già fatto, a quest’ora, una quarantina di giri. Ha la mia ammirazione, ma alla fine mi tocca trincerarmi dietro un “chi se ne frega” di proporzioni bibliche. Sono le due del mattino, e ho già fatto la strada che faccio di solito in tre allenamenti, vado in braccio alla Domenica con dolori in tutto il corpo, ma dentro sorrido…

BUIO AVVOLGIMI

Oramai è diventato il mio copione: quattro giri, poi ci si ferma. La “fiammata” l’avrei data la mattina dopo. In questa occasione ho parlato poco degli altri, il motivo è semplice: pause più brevi e meno frequenti. Starò mica diventando un “enduraider”?!? E poi, ho imparato che la pausa tra un turno e l’altra, tra abbigliamento, raggiungimento della zona cambio e subentro vero e proprio, è più breve di quanto si pensi. Quindi preferisco non turbare il riposo di chi per mezz’ora si è spremuto sui pedali, contando sul fatto che la mia spremitura è più diluita nel tempo. Intanto, registro un curioso inconveniente tecnico: sono circa le quattro del mattino, e ho la batteria del fanale quasi scarica: mai successo. Ne ho una di scorta, ma preferisco esaurire completamente questa. La luce non è neanche lontana parente di quella fornita dalla batteria carica, ma tutto sommato ci si vede. Allargo, e di parecchio, solo una curva, infastidito dalle chiacchiere di una coppia di ciclisti che arriva alle mie spalle. Interrompo le operazioni di pellegrinaggio notturno alle quattro e mezza, la luce prodotta dal fanale fa pietà, la mia integrità fisica fortemente in discussione. Piombo per la seconda volta in tenda. Eh, ma ce la farò il prossimo anno a farne una dove dormo solo mezz’ora alla volta, buttato nel sacco a pelo davanti alla tenda come un salame, ce la farò. Mezz’oretta, tre quarti d’ora alla volta, poi in bici ancora mezzo rincoglionito: un’emozione che farò mia.

CAFFEINA

E’ quello che il mio corpo chiede, brama, sospira: tappa numero uno, ai servizi igienici, lavata di mani, vorrei mettere su le lenti a contatto, ma me ne cade una.Poco male, si fa senza. Vado alla tenda-bar e mi faccio un caffè: la sensazione che provo è di venire al mondo alle 7.45 di Domenica 27 Settembre 2009. La reazione è talmente positiva che mi tocca rincarare la dose. Arrivo al campo-base e dal provvidenziale minifrigo del Turi prendo una lattina di Red Bull. E’ un’imitazione, a dirla tutta, ma proprio come la bevanda da cui trae ispirazione, contiene della sana caffeina. Sarà la scarsità di cibo incamerato, ma dopo questa seconda dose-urto mi sento come un pupazzo che viene gonfiato all’istante con un compressore: recupero sembianze umane, e mi lancio per l’ennesima volta in bici. Altri due giri. Il tracciato l’ho percorso oramai talmente tante volte che ho l’impressione che la bici lo sappia meglio di me.

IL PANINO DELL’ULTIMO GIRO

All’incirca verso le ore 11.00, sosta tecnica. Dopo aver conosciuto Jenny, la ragazza di Turi, arrivata in mattinata con l’aereo (e immagino quasi impaurita dai nostri aspetti: dei cowboys dopo la traversata del deserto avrebbero avuto un aspetto più fresco e pulito), metto in cantiere una cosa che desideravo fare fin da prima della gara: prepararmi all’ultimo giro (gli ultimi due, in realtà), con un panino al salame piccante. Michele, che sarà l’ultimo dei RSC a partire, fa la stessa cosa. Nel frattempo c’è in corsa Claudio, e io riparto facendo più strada guardando dietro che guardando davanti: volevo che mi sorpassasse per poi stargli a ridosso per tutto il giro. Può sembrare una cosa folle dopo 23 ore e 27 giri, ma io voglio provarci. Ma qualcosa, non deve aver funzionato.

Tengo una media ridicola, quindici all’ora, faccio attenzione a chiunque mi sorpassi: ma dove cavolo è finito? Ripasso davanti al traguardo, non mi fermo, ma non c’è niente da fare: forse i nostri tempi di partenza ed arrivo sono troppo diversi, e non ci siamo incrociati. Lui torna “ai box”, entra Michele, ma io ho fatto le 11.53 sotto il traguardo. Concedersi un altro giro sarebbe una follia visto che il giro migliore è il 12.15 di Folcarelli, quindi mollo. Arrivo davanti al traguardo con qualche minuto di anticipo, e appena lo speaker annuncia il mezzogiorno, mi sfilo i guanti e mi spello le mani in un applauso, anche a me stesso.

Volendo trarre un bilancio sono ventinove giri in tutto, per una percorrenza pari a 203 km., oltre dieci ore su una sella che sarebbe stata troppo anche per un fachiro (appena arrivato a casa l’ho buttata), un sacco di polvere mangiata e tanta acqua bevuta, e una certezza: posso ancora fare meglio. Non ho fatto granchè, visto che i “Regalati” in batteria hanno fatto in totale ventiquattro giri a testa con tempi molto migliori, ma rispetto alle mie prime gare c’è un abisso.

Mi riecheggia ancora nella mente quel pensiero, quella (se vogliamo) fissazione, il “distinguo” tra una performance normale e una decisamente più tua, la prima volta che lo senti dentro, diventa un obiettivo, lo vuoi fare tuo:

“Ancora uno!”
 

Clab04

Biker grossissimus
25/8/08
5.305
21
0
Roma Est
Visita sito
Fantastico.
Scritto bene, leggero ma profondo, scorre che è una meraviglia.
tanto che quasi scordavo che era una cronaca e mi sembrava un romanzo.
Quindi un plauso anche a ciò che hai fatto, e allo spirito di come l'hai fatto, ma d'altronde se non avessi avuto questo spirito non l'avresti neanche scritto con lo stesso spirito.
Infine ti ringrazio per quell'apertura mentale non così scontata di questi tempi che hai mostrato tributando così tanti complimenti alla mia città.
Ciao
Claudio
 

margherita7642

Biker infernalis
31/12/08
1.975
-11
0
47
Bergamo
Visita sito
Fantastico.
Scritto bene, leggero ma profondo, scorre che è una meraviglia.
tanto che quasi scordavo che era una cronaca e mi sembrava un romanzo.
Quindi un plauso anche a ciò che hai fatto, e allo spirito di come l'hai fatto, ma d'altronde se non avessi avuto questo spirito non l'avresti neanche scritto con lo stesso spirito.

quoto!!!!!
molto molto bello!!!!:celopiùg:
 

ConCubina

Biker immensus
6/4/08
8.256
23
0
83
alla neuro di roma
Visita sito
Bike
Numero 29
La città dei sette colli, la Roma dei papi e dei fori romani, è un soggetto così vario . C'è una Roma archeologica, una Roma vaticana, la Roma popolana, la Roma delle grandi cattedrali e delle piccole chiese, il Tevere, la Roma del Ventennio, le antiche vie imperiali,la mia prima 24h. E poi c'è il resto del Lazio, una terra tra le più feconde e interessanti dello Stivale, e del Mediterraneo intero,insomma in poche parole amo Roma,porterò con me tutti i piu bei ricordi della mia vita vissuta qui.

grazie roma
dimmi cos'è
che ci fa sentire amici anche se
non ci conosciamo
Dimmi cos'è
che ci fa sentire uniti
anche se siamo lontani
Dimmi cos'è, cos'è
che è forte, forte, forte
forte in fondo al cuore
Che ci toglie il respiro
Che ci parla d'amore
Grazie Roma
che ci fai piangere e abbracciarci ancora
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire ancora
una persona nuova
Dimmi cos'è, cos'è
quella stella grande
grande in fondo al cielo
che brilla dentro di te
e grida forte, forte dal tuo cuore
Grazie Roma
che ci fai piangere e abbracciarci ancora
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire ancora
una persona nuova
Dimmi cos'è
che me fa sentì importante
anche se nun conto niente
Che me fa re
quando sento le campane
la domenica mattina
Dimme chi è, chi è
che me fa campà 'sta vita
così piena di problemi
E che me dà coraggio
se tu nun me voi bene
Grazie Roma
che ci fai piangere e abbracciarci ancora
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire ancora
una persona nuova
una persona nuova
 

Classifica mensile dislivello positivo