io e IO

secco

Biker incredibilis
30/10/02
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nomade sui M.ti Pisani
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Spesso in questo sport si compiono azioni non utilizzando assolutamente la parte razionale che c’è in noi.
Lo scorso inverno, durante un’uscita in solitario……………


Esco di casa verso le ore 11.00 pur sapendo che metereologicamente non sarà una stupenda giornata.
Dopo una decina di km percorrendo un sentiero immerso in una lecceta ricevo dal cielo la prima goccia di pioggia sul viso ignaro che sarebbe stata solamente la miliardesima parte si ciò che mi sarebbe precipitato addosso.
Proseguo la mia ascesa verso la meta prefissata alla partenza e dopo alcuni minuti ecco la seconda goccia.
Nel frattempo mi fermo per mangiare ½ banana e,mi accorgo che a sud_ovest la situazione non è delle migliori.Il cielo ha quasi il colore della note e le nubi si stanno avvicinando molto rapidamente nella mia direzione.
Faccio finta di non vedere perché non vorrei avere la tentazione di tornare a casa e rimonto subito sulla biga…..VIA!!
Dopo i primi metri,una volta riemerso nel bosco, la parte cosciente di me incomincia a discutere con il lato irrazionale cercando di convincermi a tornare a casa.
Ma non c’è niente da fare.
IO (che da ora sarà la parte irrazionale) ha già preso il controllo delle gambe ed ormai i muscoli sono sotto sforzo per cercare di raggiungere la vetta.
“Ma non vedi che sei un’incosciente,guarda che sta arrivando un brutto temporale,torniamo indietro”.
IO non ne vuole sapere, prosegue per la sua meta, come potrebbe tornare indietro per pochi schizzi.
??!!
Intanto mentre i due continuano a scrivere, ci troviamo fuori dal bosco sullo sterrato che sale fino al valico, faccio notare a IO che oramai è iniziato a piovere.
Ma non è tanto la pioggia che mi preoccupa, non sarebbe la prima volta di fare un’uscita bagnata, ma è la situazione metereologica che va peggiorando minuto dopo minuto che mi fa pensare.
Il cielo è completamente buio, sembra sera,gli unici bagliori sono i lampi che ci illuminano in lontananza….o forse sarebbe meglio dire in vicinanza.
Continuiamo a salire e la visibilità diminuisce sempre più, ormai siamo bagnati fradici, la pioggia aumenta d’intensità.
Il gelido vento mi entra nella mantella e mi fa raggelare, maledico IO e il suo dannato orgoglio, ma lui dicendomi di stare zitto prosegue imperterrito.
Siamo sotto ad un vero e proprio diluvio,l’acqua mi cade addosso da ogni lato aiutata dal forte vento. Siamo arrivati al valico ora dobbiamo scendere attraverso un bosco di castagni fino al primo centro abitato.
Inizio la discesa ma non riesco a tenere gli occhi aperti, bestemmio contro IO che mi ha trascinato fin quassù, ho poca sensibilità nelle mani a causa del freddo e la mia visibilità non supera i 10m.
Le gocce di pioggia mi arrivano negli occhi ad una velocità incredibile.
Incredibilmente la situazione peggiora.
Sono sotto un vero e proprio nubifragio, scendo di bici perché è impossibile rimanere saldi in sella.
Il sentiero ormai è diventato un rigagnolo d’acqua,non riesco a vedere niente, sono in mezzo al bosco, ho un freddo terribile ed incomincio ad avere paura.
In mezzo al panico proseguo passo dopo passo accompagnato dall’assordante rumore dei tuoni che sembrano cadere a pochi metri da me.L’acqua ce l’ha con me, ogni gelida goccia sembra voler cascare per forza sul mio già fradicio corpo, non posso continuare così non arriverò più a valle….vengo soprafatto dal panico e quasi non riesco a muovere le gambe.
Ad un cero punto IO prende la situazione in mano “ ma ci vuoi far crepare entrambi di freddo!!!!”
Monto sulla bike e incomincio a scendere.Non sento quasi più le leve dei freni, mi rendo conto che è molto pericoloso scendere in quelle condizioni ma ormai non ci posso fare più niente, IO mi ordina di stare zitto perché ha bisogno di rimanere concentrato.
Mi sembra di essere infilato in un iceberg, sono veramente stremato.IO invece sembra impermeabile.Saldato alla bike, sguardo fisso sul sentiero (vorrei tanto sapere cosa vede) e sulla sua ruota anteriore.
Va giù deciso, imperterrito, non ha paura di niente.La sua incoscienza mi preoccupa, non so se è in grado di coordinare tutti i movimenti ma sembra molto a suo agio.
Credo che non senta neppure il freddo, ormai sono alla sua mercè.
Giungiamo in paese e mi vorrei fermare in qualche abitazione ma IO mi fa notare che mancanocirca 8km a casa e ormai la strada è tutta asfaltata.
Non ho più la forza di obiettare, ma credo che anche se ne avessi avuta sarebbe stato lo stesso.
IO continua a pedalare portandosi dietro il mio peso e giunti ad un tornante rischiamo di cadere ma IO con un cambiamento repentino di posizione evita il peggio.
Arriviamo a Calci, la strada d’ora in poi sarà tutta pianeggiante.
Sento IO che si congratula con se stesso, ormai i km che ci separano dalla nuova meta sono pochi.
C’è mia mamma sulla porta che mi aspetta terrorizzata, prima che arrivi a tiro di voce inizia ad inveire (non posso assolutamente trascrivere le sue parole).
Vorrei spiegarle che il pazzo non sono io ma non capirebbe mai.
Mi infilo sotto una doccia bollente ed una volta eliminata tutta la tensione e l’adrenalina accumulata ripenso a ciò che mi è appena accaduto.
Rivolgo un sorriso a IO e gli dico “ SEI VERAMENTE UNA TESTA DI CAZZO”
 
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Reactions: Fabio87Roma

guica

Biker novus
2/9/03
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BRESCIA
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Mi hai fatto venire in mente una storia simile: me l'ero scritta quando mi è capitata. La riporto qui per chi avrà la pazienza di leggerla:

titolo: Demenza senile in anticipo o incoscienza adolescenziale in ritardo?

Sabato mattina mi sveglio a Brescia baciato da uno splendido sole. Da buon motociclista comincio subito ad immaginare la bellezza della giornata in qualche bel posto di montagna. Faccio una frugale colazione e via, in sella. Direzione valle Camonica, poi Ponte di Legno e Passo Gavia, nonostante alcuni cartelli lo annunciassero già chiuso. Arrivo fino alla frazione di Sant’Apollonia e le transenne con divieto di transito per neve mi convincono a non proseguire oltre. Strano, mi dico, una volta ci avrei almeno provato. Da un lato soddisfatto della mia inaspettata saggezza, dall’altro deluso da questo atteggiamento troppo arrendevole, torno verso Ponte di Legno e decido di andare a provare il passo del Mortirolo, immaginandolo completamente sgombro dalla neve. In effetti arrivo fino al passo con la strada pulita e qualche spruzzata di neve solo nei pianori circostanti. Aria di cristallo, paesaggi incantevoli, i colori dell’autunno stagliati contro il blu intenso del cielo: un paradiso. Alla sommità devo decidere se scendere verso la Valtellina o proseguire in quota verso l’Aprica. Visto che al passo non c’è neve e non ci sono cartelli che la preannunciano, opto per l’Aprica. Ricordo che lungo quella stradina c’è un rifugio in mezzo ai prati e decido che mi fermerò a mangiare qualcosa proprio là. Ma ho fatto i conti senza l’oste, o meglio, senza la neve ed il ghiaccio che mi aspettano dietro l’angolo. La strada inizia infatti ad essere in ombra ed in alcuni punti la neve ed il ghiaccio la ricoprono. Convinto che si tratti solo di pochi e brevi tratti, mi metto in mezzo alla strada, nella neve fresca per evitare il ghiaccio che si è formato dove sono passate le auto e comincio ad andare sempre più avanti, con la convinzione che duri poco e sicuro di non dover tornare indietro. La neve si fa sempre piu’ alta ed è sempre presente, ma la strada quasi pianeggiante non mi fa ancora pensare a tornare indietro. Comincio però a presagire che non sto facendo una cosa molto saggia. Infatti ad un certo punto sotto la neve doveva esserci del ghiaccio duro, la ruota davanti ci si infila e in un attimo mi trovo la moto sdraiata, in quanto neanche con i piedi riuscivo a non scivolare. Io, che non ho mai sdraiato una moto in tanti anni di onorata carriera, mi trovo lì con il mio motone per terra e tutto ghiaccio e neve intorno. Comincio ad autoinsultarmi ma so che non serve a nulla. Naturalmente la strada è deserta e non passa nessuno. Ricordo che da qualche parte ho letto come rialzare la moto senza troppo sforzo e ce la faccio, ma la fatica è notevole, anche perché non ho nessun appoggio stabile. Valuto sommariamente i danni, quasi inesistenti: si è solo rotta la protezione in plastica, schiacciata dal tubo del paracilindri contro il cilindro stesso. A questo punto mi sembra di averne combinate abbastanza, ma scarto subito l’idea di tornare indietro, visto che avevo già percorso molta strada, nella parte centrale senza ghiaccio c’ero già passato e speravo non mancasse molto per uscire dalla zona in ombra. Proseguo ancora, sempre più attento ad eventuali tracce di ghiaccio, ma la neve le nasconde bene e mi ritrovo ancora una volta con la moto per terra. Altra serie di improperi nei miei confronti, altro sforzo sovrumano per sollevare la creatura e avanti ancora. Dopo un po’ senza che nulla cambiasse, Guido cadde per la terza volta. Si ripete il ritornello ma si continua ancora. Ritenevo davvero più pericoloso tornare indietro che non proseguire. Infatti comincio a trovare alcuni tratti di strada sgombra e l’illusione di avercela fatta comincia a farmi tornare il buon umore. Se non che la strada che era pianeggiante comincia a scendere in ripidi e stretti tornanti. Sul primo c’è poca neve e lo faccio discretamente, poi sul secondo aumenta e con quella pendenza non riesco più a frenare la moto. Non so come faccio ma riesco a non cadere ed a fermarmi in un punto non scivoloso. Parcheggio la moto e scendo a piedi per qualche tornante in modo da rendermi conto di cosa mi aspetta; in alcuni punti fatico anche a stare in piedi, la pendenza è troppa per osare: devo tornare indietro. Nel risalire a piedi penso a tutta la strada che devo fare a ritroso per uscire da quell’inferno. La fatica comincia a farsi sentire. Devo stare calmo, con la calma, senza fretta devo farcela. Risalgo in sella e riparto. Supero non senza difficoltà il primo pezzo di salita e poi ricomincia il falsopiano; la traccia che ho lasciato in precedenza mi complica non poco la guida. La ruota ci si infila e mantenere l’equilibrio richiede uno sforzo incredibile. Fa freddo ma ho un caldo esagerato e nel frattempo continuo a darmi del cretino e ad impormi la calma. In un tratto in leggera salita incrocio un fuoristrada. Mi devo fermare e non riesco più a ripartire, la ruota dietro slitta e non fa presa, oltretutto scarta a destra e sinistra per il ghiaccio che si forma una volta pressata la neve. Dal fuoristrada escono due persone gentili che mi danno una spinta che mi aiuta a ripartire. Nel frattempo penso che se mi capita di dovermi rifermare da solo non riparto più. Comincia a dolermi il polso della frizione che devo continuamente azionare per non prendere troppa velocità. Nonostante l’impegno a cercare di mantenere l’equilibrio la moto cade per la quarta volta. Già provato dalla stanchezza e dalla tensione faccio sempre più fatica a risollevarla, ma ce la faccio anche stavolta e, dopo aver riposato un po’ faccio per ripartire, ma non c’è contatto elettrico. Serie supplementare di auto-rimproveri e comincio a pensare di dover chiamare l’assistenza, finchè mi scappa l’occhio sul pulsante di massa: nella caduta si è ruotato. Lo giro e la moto riparte. Grazie moto, sei troppo carina con me, non meritavo ripartissi un’altra volta, dopo quello che ti sto facendo passare. Avanzo lentamente, sempre più attento, stremato, ma con la consapevolezza che ne uscirò da solo, con tanti sforzi e tanta calma ce la farò. Proprio mentre faccio questi pensieri arrivo in un tratto di leggera salita, la ruota posteriore comincia a slittare e non vuole più saperne di fare presa. Constato che la pendenza e la consistenza non sarebbero di quelle da far slittare la ruota e penso all’anteriore bloccato. Isso la moto sul centrale e la ruota anteriore è completamente bloccata. Siccome oltre alla neve la strada era disseminata di aghi di pino mi viene il sospetto che abbiano bloccato le pinze dei freni o abbiano fatto spessore fra disco e pastiglie. Niente di tutto ciò: una mistura di neve ghiacciata ed aghi di pino si è compressa fra la ruota ed il parafango. Un’auto arriva in senso contrario, la mia moto è parcheggiata nel bel mezzo della strada e non la posso spostare finchè la ruota è bloccata; ci vuole un quarto d’ora di fatica per poter rimuovere il ghiaccio dalla ruota, urto lo scarico con il dorso della mano e mi scotto; anche l’automobilista scende e mi dà una mano. Ora capisco perché facevo così fatica a mantenere la direzione, la ruota anteriore era sempre quasi bloccata e appena trovava ghiaccio scivolava scartando improvvisamente. Finalmente riparto, con la ruota libera riesco anche a non dover usare continuamente la frizione, sento di avercela quasi fatta. La neve diventa sempre meno, anche il ghiaccio si fa meno spesso. In alcuni tratti riesco anche a rimettere i piedi sulle pedane. Comincio a rilassarmi. Ne sono uscito.
 

Sergio

Biker tremendus
30/10/02
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Verona-Montorio
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Verissimo!!!!!!!
A me è successa una assolutamente analoga con la bici da strada, mi sono cacciato in un temporale montano dei peggiori perche IO voleva fare il giro che aveva deciso....Non vi dico della discesa nel bitume torrentizio: sassi, erba e acqua, 15 cm di acqua ceh correva a 30 km/h....
Mi sa che i nostri IO sono un po' tutti TDC.....
 

Mau

Biker infernalis
30/10/02
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Olera - Bergamo
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Secco ... mi hai fatto venire la pelle d'oca ... per il freddo :smile:
grande mi capita spesso di arrendermi al mio IO
anzi per essere sincero alzo le mani prima di partire
sai com'è lui è il saggio ed io il tdc :smile: :smile:
 

sputnik

Biker marathonensis
15/4/03
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Sardegna
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Caro secco, anche il mio IO è testardo come un mulo, ma grazie a lui ho scoperto tanti di quei sentieri nascosti......! :free:

grazie per il racconto e l'esternazione
 

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