In attesa che smetta di piovere ...

  • Cannondale presenta la nuova Scalpel, la sua bici biammortizzata da cross country che adesso ha 120 millimetri di escursione anteriore e posteriore in tutte le sue versioni. Sembra che sia cambiato poco, a prima vista, ma sono i dettagli che fanno la differenza e che rendono questa Scalpel 2024 nettamente più performante del modello precedente.
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Non so se ricordi, fedele lettore (cit.).

Qualche mese fa mi sono imbrancato con altri simpatici un pò attempati che ho battezzato "gli eroici", ed ho scoperto che, goliardia a parte, avevano una buona gamba oppure era la mia ad essere pessima.

Da quel momento, li ho visti quasi tutte le settimane, covid permettendo. Abbiamo fatto giri lunghi, corti, talvolta simbolici. Ma mi sono sempre divertito, e quindi ho perseverato. Di nascosto, poi, ho fatto qualche "uscita" sui rulli. Non so perchè, ma sui rulli faccio molta più fatica che fuori, sudando come una bestia. Ma, evidentemente, serve.

Un paio di settimane fa arriva il messaggio. "eroici, solito posto domenica alle 10". Il capo spirituale del gruppetto propone un giretto sui colli, una roba leggera pre-prandiale. Ci infiliamo in val di zena, saliamo quanto basta, caffè, discesa e piadina finale.

Io avevo in mente un altro giro più ambizioso, ma viene cortesemente cassato perchè non implica l'irrinunciabile piadina. Io taccio, 'che sono l'ultima ruota del carro. E poi la piada piace pure a me.

Partiamo. Le gambe si sciolgono mentre chiacchero con Ivo della sua bici nuova.

E' divertente parlare con Ivo. Tra l'altro, lui indossa il medesimo completino invernale che ho addosso anche io, solo che lui è secco secco, taglia S, mentre io sono un omino michelin di taglia XL. Visti insieme, sembriamo Stanlio ed Ollio, e gli altri non mancano di farcelo notare.

Tra frizzi e lazzi scendiamo lungo via Murri, poi via degli Orti ed eccoci a San Lazzaro, all'imbocco della valle.
Piano piano, senza accorgerci, aumentiamo l'andatura. Non so se siano le chiacchere, non so se siano i rulli, ma mi sento particolarmente bene. Gli altri ci seguono, ma un poco a distanza. Quando ce ne accorgiamo rallentiamo ma poi riprendiamo la testa del gruppo. Le nostre gambe oggi vanno in sincrono, ed ammiriamo la campagna che ci sfila accanto vagheggiando di casette sui colli.

Abbiamo entrambi figli, Ivo ed io. Io gli racconto i fatti dei gemelli, e lui contraccambia col racconto della figlia che vuole trasformare la cantina in una palestra di kickboxing. Già ci immaginiamo a tirar pugni e mangiar salami, magari accompagnati da buon vino.

Qualche tempo dopo arriviamo a Zena, che nella mia testa costituisce il confine tra la Val di Zena facile ed il mondo esterno sconosciuto.
Da li in avanti la strada si inerpica in salita, non tremenda ma lunga, fino a Quinzano. E dopo Quinzano c'è Loiano, e quei tre ultimi chilometri sono duri.

A Quinzano son già salito ad ottobre, con la pioggia e il freddo, tenendo duro ma sputando l'anima. All'epoca fui salvato da A., che senza farmelo pesare mi fece da balia nella parte terminale del percorso. A Zena, però, A. decide di mollare. Non avevamo programmato di proseguire e lui deve prodursi in una serie di incastri per visitare il parentame prima della serrata natalizia. Anche C. è per tornare indietro, visto che l'ora di pranzo si avvicina.

Io e Ivo ci guardiamo intorno. E' una splendida giornata di sole. Faceva freddo alla partenza, ma ora siamo caldi e ci sentiamo gagliardi. Io, in particolare, mi sento un tutt'uno con la bici, come una sorta di centauro coi pedali al posto delle zampe. Sarebbe tardi, e i figli ci aspettano, ma guarda che giornata che si è aperta. Qualche cauta telefonata per ricevere le muliebri benedizioni ed è deciso. Si va a Quinzano, poi si torna di volata e siamo a casa subito dopo pranzo.

Si riparte. La Val di Zena, prima affollata di macchine incazzose, che ci suonavano spesso e volentieri si è svuotata. Sulla strada ci siamo solo noi e pochi altri ciclisti, coi quali scambiamo complici cenni di saluto e intesa.
La strada è nostra, vogliono dire i cenni. Là sotto, Bologna ponza sul divano, e in altri momenti quei tizi in macchina potremmo essere noi.
Ma non ora. Qui, adesso, il mondo è nostro. Noi siamo i tizi che, a forza di pedali, si stanno guadagnando sul campo il diritto di veder le valli dall'alto.

Come sto bene. Non se se sia la compagnia di Ivo o se chiaccherando si senta meno la fatica.
A ottobre, sullo stesso percorso, stringevo i denti combattendo con la pulsione a trovare una scusa e tornare indietro. Oggi mi sembra molto meno duro, e pur tenendo un ritmo che per i miei standard è decoroso riesco a trovare il fiato per parlare con Ivo delle rispettive professioni, che presentano complessità del tutto simili. Solo alla fine cedo, tanto che Ivo arriva al baretto di Quinzano con un centinaio di metri di vantaggio.

Il tempo di due foto commemorative, e si comincia la discesa. Va bene che le mogli ci hanno dato il libera uscita, ma siamo entrambi mariti esperti che sanno quanto tirare la corda. Inoltre è pomeriggio, c'è sempre il sole ma scalda molto meno. Insomma, è tempo di rientrare.

Facciamo cauti le prime curve, ma in giro non c'è veramente proprio nessuno. Allora sproniamo i cavalli, e per la prima volta scopro il significato dell11, e capisco perchè i biciclettari si ostinano ad infilarlo in ogni cassetta.

Scendiamo agili, in fila indiana, a pochi metri di distanza lì'uno dall'altro. Il vento della corsa mi taglia la faccia, mentre mi studio di appiattirmi il più possibile in presa bassa. Non so che cosa sti accadendo. Io solitamente sono un prudente, e scendere a perdifiato con la bicicletta tagliando le curve di una strada mezza marcia non è una grande idea. Ma non importa, oggi va così. Pedalo come un matto per poi staccare all'ultimo secondo prima della curva. Arretro il sedere per contrastare al meglio la decelerazione che i dischi trasmettono alla bici. Non voglio sapere cosa succede se quel disco di metallo, che sarà spesso in tutto 3 millimetri, decidesse di mollare sotto la pressione dei miei 90 chili lanciati ai 1000 all'ora. Sono un tutt'uno con la biga e so, d'istinto, che non succederà.

Guardo Ivo, e c'intendiamo con lo sguardo. Sorridiamo entrambi. Lo vedo che pensa le mie stesse cose. Oggi siamo invincibili.
Facciamo l'ultimo curvone ed ecco, ci siamo bevuti in un lampo i 5 chilometri della discesa. Siamo tornati nel mondo, si rivedono le prime macchine, è tempo di rallentare. Ma nessuno vuole, in realtà. Scendiamo a valle dribblando il poco traffico e spingendo il più possibile. Superiamo qualche e-biker di ritorno dal proprio giro, che ci guarda stranito.

Al laghetto dei castori ci separiamo, la moglie e i figli di Ivo lo stanno aspettando li, mentre io devo tornare alla base.
Pedalo come un matto, e nella parte finale della valle, tra Botteghino e San Lazzaro, mi ingarello con un tizio che, vedendosi superato, accellera e mi si mette a ruota.
Ora, lo so che 'sto ingarellamento tra adulti è una cosa idiota, da bambini. Normalmente, lascerei il passo, andandomene con il mio ritmo. ma oggi no, oggi sono fortissimo. Quindi ci tiro il più possibile e - per la prima volta in vita mia - riesco a seminare un ciclista "vero".

Questa cosa mi gasa, ah se mi gasa. Ho seminato un ciclista. Non uno come me, che assomiglia ad un ciclista quanto un trattore a una Ferrari, ma uno abbastanza giovane, con una bella bici, che sembrava sapere quello che faceva.
"Dio, come sono veloce" mi dico. Se ho superato quel tizio, vuol dire che sono velocissimo. Starò polverizzando tutti i miei record su Strava. Cazzo, non vedo l'ora di guardare la traccia. Perchè si, oggi sono veloce. Veloce. Velocissimo.

Attraverso la città e arrivo alla macchina. Non bado al GPS, che è intelligente e si ferma da solo.
Smonto la ruota anteriore e infilo la bici nel bagagliaio. Tolgo gli occhiali da sole, che altrimenti da vicino non ci vedo. Butto i guanti in macchina, fletto le dita e finalmente e guardo l'orologio, pregustando il momento.
Schiaccio il tasto inferiore, per salvare la traccia. Aspetto che compaia la familiare clessidra e .... sorpresa.
Mi sono dimenticato di attivare il GPS. Non ho registrato nulla. Cazzo, niente traccia polverizzatrice di ogni record presente passato e futuro.

Addio, sogni di gloria.

Ci vediamo la prossima volta.
 

emmellevu

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Salsa Bucksaw, Specialized Diverge
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Qualche mese fa mi sono imbrancato con altri simpatici un pò attempati che ho battezzato "gli eroici", ed ho scoperto che, goliardia a parte, avevano una buona gamba oppure era la mia ad essere pessima.

Da quel momento, li ho visti quasi tutte le settimane, covid permettendo. Abbiamo fatto giri lunghi, corti, talvolta simbolici. Ma mi sono sempre divertito, e quindi ho perseverato. Di nascosto, poi, ho fatto qualche "uscita" sui rulli. Non so perchè, ma sui rulli faccio molta più fatica che fuori, sudando come una bestia. Ma, evidentemente, serve.

Un paio di settimane fa arriva il messaggio. "eroici, solito posto domenica alle 10". Il capo spirituale del gruppetto propone un giretto sui colli, una roba leggera pre-prandiale. Ci infiliamo in val di zena, saliamo quanto basta, caffè, discesa e piadina finale.

Io avevo in mente un altro giro più ambizioso, ma viene cortesemente cassato perchè non implica l'irrinunciabile piadina. Io taccio, 'che sono l'ultima ruota del carro. E poi la piada piace pure a me.

Partiamo. Le gambe si sciolgono mentre chiacchero con Ivo della sua bici nuova.

E' divertente parlare con Ivo. Tra l'altro, lui indossa il medesimo completino invernale che ho addosso anche io, solo che lui è secco secco, taglia S, mentre io sono un omino michelin di taglia XL. Visti insieme, sembriamo Stanlio ed Ollio, e gli altri non mancano di farcelo notare.

Tra frizzi e lazzi scendiamo lungo via Murri, poi via degli Orti ed eccoci a San Lazzaro, all'imbocco della valle.
Piano piano, senza accorgerci, aumentiamo l'andatura. Non so se siano le chiacchere, non so se siano i rulli, ma mi sento particolarmente bene. Gli altri ci seguono, ma un poco a distanza. Quando ce ne accorgiamo rallentiamo ma poi riprendiamo la testa del gruppo. Le nostre gambe oggi vanno in sincrono, ed ammiriamo la campagna che ci sfila accanto vagheggiando di casette sui colli.

Abbiamo entrambi figli, Ivo ed io. Io gli racconto i fatti dei gemelli, e lui contraccambia col racconto della figlia che vuole trasformare la cantina in una palestra di kickboxing. Già ci immaginiamo a tirar pugni e mangiar salami, magari accompagnati da buon vino.

Qualche tempo dopo arriviamo a Zena, che nella mia testa costituisce il confine tra la Val di Zena facile ed il mondo esterno sconosciuto.
Da li in avanti la strada si inerpica in salita, non tremenda ma lunga, fino a Quinzano. E dopo Quinzano c'è Loiano, e quei tre ultimi chilometri sono duri.

A Quinzano son già salito ad ottobre, con la pioggia e il freddo, tenendo duro ma sputando l'anima. All'epoca fui salvato da A., che senza farmelo pesare mi fece da balia nella parte terminale del percorso. A Zena, però, A. decide di mollare. Non avevamo programmato di proseguire e lui deve prodursi in una serie di incastri per visitare il parentame prima della serrata natalizia. Anche C. è per tornare indietro, visto che l'ora di pranzo si avvicina.

Io e Ivo ci guardiamo intorno. E' una splendida giornata di sole. Faceva freddo alla partenza, ma ora siamo caldi e ci sentiamo gagliardi. Io, in particolare, mi sento un tutt'uno con la bici, come una sorta di centauro coi pedali al posto delle zampe. Sarebbe tardi, e i figli ci aspettano, ma guarda che giornata che si è aperta. Qualche cauta telefonata per ricevere le muliebri benedizioni ed è deciso. Si va a Quinzano, poi si torna di volata e siamo a casa subito dopo pranzo.

Si riparte. La Val di Zena, prima affollata di macchine incazzose, che ci suonavano spesso e volentieri si è svuotata. Sulla strada ci siamo solo noi e pochi altri ciclisti, coi quali scambiamo complici cenni di saluto e intesa.
La strada è nostra, vogliono dire i cenni. Là sotto, Bologna ponza sul divano, e in altri momenti quei tizi in macchina potremmo essere noi.
Ma non ora. Qui, adesso, il mondo è nostro. Noi siamo i tizi che, a forza di pedali, si stanno guadagnando sul campo il diritto di veder le valli dall'alto.

Come sto bene. Non se se sia la compagnia di Ivo o se chiaccherando si senta meno la fatica.
A ottobre, sullo stesso percorso, stringevo i denti combattendo con la pulsione a trovare una scusa e tornare indietro. Oggi mi sembra molto meno duro, e pur tenendo un ritmo che per i miei standard è decoroso riesco a trovare il fiato per parlare con Ivo delle rispettive professioni, che presentano complessità del tutto simili. Solo alla fine cedo, tanto che Ivo arriva al baretto di Quinzano con un centinaio di metri di vantaggio.

Il tempo di due foto commemorative, e si comincia la discesa. Va bene che le mogli ci hanno dato il libera uscita, ma siamo entrambi mariti esperti che sanno quanto tirare la corda. Inoltre è pomeriggio, c'è sempre il sole ma scalda molto meno. Insomma, è tempo di rientrare.

Facciamo cauti le prime curve, ma in giro non c'è veramente proprio nessuno. Allora sproniamo i cavalli, e per la prima volta scopro il significato dell11, e capisco perchè i biciclettari si ostinano ad infilarlo in ogni cassetta.

Scendiamo agili, in fila indiana, a pochi metri di distanza lì'uno dall'altro. Il vento della corsa mi taglia la faccia, mentre mi studio di appiattirmi il più possibile in presa bassa. Non so che cosa sti accadendo. Io solitamente sono un prudente, e scendere a perdifiato con la bicicletta tagliando le curve di una strada mezza marcia non è una grande idea. Ma non importa, oggi va così. Pedalo come un matto per poi staccare all'ultimo secondo prima della curva. Arretro il sedere per contrastare al meglio la decelerazione che i dischi trasmettono alla bici. Non voglio sapere cosa succede se quel disco di metallo, che sarà spesso in tutto 3 millimetri, decidesse di mollare sotto la pressione dei miei 90 chili lanciati ai 1000 all'ora. Sono un tutt'uno con la biga e so, d'istinto, che non succederà.

Guardo Ivo, e c'intendiamo con lo sguardo. Sorridiamo entrambi. Lo vedo che pensa le mie stesse cose. Oggi siamo invincibili.
Facciamo l'ultimo curvone ed ecco, ci siamo bevuti in un lampo i 5 chilometri della discesa. Siamo tornati nel mondo, si rivedono le prime macchine, è tempo di rallentare. Ma nessuno vuole, in realtà. Scendiamo a valle dribblando il poco traffico e spingendo il più possibile. Superiamo qualche e-biker di ritorno dal proprio giro, che ci guarda stranito.

Al laghetto dei castori ci separiamo, la moglie e i figli di Ivo lo stanno aspettando li, mentre io devo tornare alla base.
Pedalo come un matto, e nella parte finale della valle, tra Botteghino e San Lazzaro, mi ingarello con un tizio che, vedendosi superato, accellera e mi si mette a ruota.
Ora, lo so che 'sto ingarellamento tra adulti è una cosa idiota, da bambini. Normalmente, lascerei il passo, andandomene con il mio ritmo. ma oggi no, oggi sono fortissimo. Quindi ci tiro il più possibile e - per la prima volta in vita mia - riesco a seminare un ciclista "vero".

Questa cosa mi gasa, ah se mi gasa. Ho seminato un ciclista. Non uno come me, che assomiglia ad un ciclista quanto un trattore a una Ferrari, ma uno abbastanza giovane, con una bella bici, che sembrava sapere quello che faceva.
"Dio, come sono veloce" mi dico. Se ho superato quel tizio, vuol dire che sono velocissimo. Starò polverizzando tutti i miei record su Strava. Cazzo, non vedo l'ora di guardare la traccia. Perchè si, oggi sono veloce. Veloce. Velocissimo.

Attraverso la città e arrivo alla macchina. Non bado al GPS, che è intelligente e si ferma da solo.
Smonto la ruota anteriore e infilo la bici nel bagagliaio. Tolgo gli occhiali da sole, che altrimenti da vicino non ci vedo. Butto i guanti in macchina, fletto le dita e finalmente e guardo l'orologio, pregustando il momento.
Schiaccio il tasto inferiore, per salvare la traccia. Aspetto che compaia la familiare clessidra e .... sorpresa.
Mi sono dimenticato di attivare il GPS. Non ho registrato nulla. Cazzo, niente traccia polverizzatrice di ogni record presente passato e futuro.

Addio, sogni di gloria.

Ci vediamo la prossima volta.
La cosa piu' sorprendente e' il livello di dettaglio con cui ti ricordi il sogno dopo il risveglio :smile:
 
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patbici

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Ieri sera la chat del gruppetto con cui esco ronza di attività. Usciamo ? Non usciamo ? I più sono dubbiosi, nevica e fa un freddo cane. Ci lasciamo senza un nulla di deciso.
Stamattina, alla sveglia ci sono 4 o 5 gradi sotto lo zero. La mia macchina, giù in cortile, è accucciata mesta sotto un mucchio di neve, coi ghiaccioli che pendono dallo scarico.
E tuttavia, il cielo è terso, sara' una giornata di sole, di quelle trasparenti giornate invernali che di solito incontri in montagna e non nella mia bassa.
Faccio colazione, sapendo che saremo fuori a pranzo. Guardo luna rossa massacrare ineos insieme ai ragazzi e penso che in altri tempi, pinguini o meno, sarei stato al mare, a far kite.
Ma c'è troppo sole. Vado a fare 2 ore di giro, e giuro a mia moglie, che chiaramente non mi crede, che sarò a casa in tempo per cambiarmi e uscire.
Mi intabarro con intimo termico, felpina, supergiacca, colbacco in pelo d'orso, copriscarpe, bandana, fiaschetta di grappa e alla fine sembro l'omino michelin. Inforco la biga, rischio la vita su di un paio di lastre di ghiaccio e parto.
Farò due ore di pianura, che il tempo e' tiranno, onde evitare di prendere ghiaccio in discesa. Adesso, poi, il sole scalda, le strade sono pulite...
Prima destinazione Molinella, con la sua torre pendente. Faccio questi primi 21 km applicandomi a pedalare bene. Con la pedalata rotonda (cioè spingendo e tirando) aumento progressivamente la frequenza e poi cerco di mantenerla, piegato in avanti per limitare la resistenza. Il respiro è arzillo, ho caldo ma tengo, mi spogliero' dopo.
Ogni tanto do un occhio al GPS, che mi incoraggia restituendo valori sopra ai 30 km all'ora. Faccio chilometri ai 31, 32, 33 ... leggo e trasecolo. E' tanta roba per me. Non me ne capacito e mi gaso, rilanciando la bici ogni volta che posso.
20 e rotti km dopo sono a Molinella, stanco ma felice. Attraverso il paese a passo lento, mi tolgo qualcosa e inizio il semicerchio di ritorno, destinazione Baricella.
Ho una idea solo vaga del modo di arrivarci, quindi seguo i cartelli.
Appena fuori da Molinella la strada piega decisa a sinistra e incoccio il vento.
Dapprima qualche raffica, poi sempre più forte. Quando arrivo a Baricella, 15 km dopo, e' diventato una costante. Intanto io spingo. Spingo, ma non vado. 23, 24, 25... fare i 25 è uno sforzo immane.
Mentre bestemmio sui pedali, sbucano fuori due cani dalla mia destra che si fiondano sulla bici. " cacchio mi mangiano" penso, ma stanno solo giocando a rincorrersi e dopo poco mi ignorano.
A forza di spingere, arriva un dolorino al fianco, che piano piano aumenta. Ma io spingo ignorandolo, sono in quel tipico stato d'animo alla "boia chi molla" che uno dovrebbe riservare a circostanze migliori.
Finalmente il cartello Granarolo, svolto a sinistra e in qualche chilometro sarò a casa. Imbocco lo stradone e... la bici prende la ruzzola, da sola. Io la rilancio, desideroso di sprint finale e arrivo a casa in tromba, ed in perfetto orario. Mi concedo addirittura il lusso di essere docciato e vestito prima di mia moglie. Lei mi guarda stupita: " sei in orario, addirittura in anticipo. Ma chi se tu ? Esci da quel corpo, satana!".
Più tardi, guardando questi 60 km sulla traccia GPS, l'amara verità. Quando facevo i 32 o 33 avevo il vento a mio favore.
Pedalata rotonda o meno, sono la solita pippa.
 
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patbici

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. Mi è venuto in mente che qui, da queste parti, c'è la deviazione che mi fa passare in val di zena, e da li, scendendo a valle, c'è il raccordo che ti fa arrivare a Pianoro, nella Valle del Savena.

Che figata di giro, sarebbe. Il giro delle tre Valli.
Il giro delle tre valli, che bel nome. Suggestivo. Ti da l'idea di dolomiti, boschetti lontani, prati fioriti e, caprette che fanno ciao.
E' da questa estate che ce l'avevo in mente. Ho anche provato più volte a farlo: ogni volta un intoppo mi ha impedito l'impresa.
La prima volta, il mio amico ha dato forfait dopo la prima salita. Un'altra volta, pioveva. Una terza ho bucato e la bomboletta non è servita a niente. Potrei andare avanti delle ore.
Eppure, continuava a girarmi in mente.
Venerdì notte mi sono svegliato a guardare Luna Rossa, e poi non sono riuscito a riaddormentarmi. Mezzo rimbecillito ho visto un'alba nebbiosa e faticosamente, tra le nubi del sonno ho capito che era un bene. Se c'è nebbia c'è caldo, e se c'è caldo, forse viene il sole.
Io ho dormito tre ore e sono totalmente rinco. Nemmeno il caffè serve. Dovrei anche lavorare un pochino, per non parlare della lampadina del bagno che va cambiata e non riesco ad aprire quel cavolo di plafoniera. Non ho tempo per uscire in bici. No, non se ne parla.
...
...
...

Due ore dopo sono in bici.

Vi risparmio la lirica, ma è' stato un giro bellissimo, e verso la fine, mi sono accorto che, se uno decidesse di superare il fondovalle savena ed arrivare al Reno, verso Sasso Marconi, le valli potrebbero essere quattro.

NB: domenica mattina, invece, altro giro col gruppetto che potrebbe essere chiamato il giro dei tre bar. Ne sono uscito alticcio, ma felice. E non so quale sia il ciclismo che mi piace di più.
:-)
 

patbici

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La scorsa settimana è stata difficile.

Siamo entrati in zona rossa, con tutte le complicazioni conseguenti. Inoltre, ho avuto un groppo di lavoro che mi ha assorbito parecchio, per non parlare dei figli in DAD ... insomma, un periodo acido.
In più sabato mattina pioveva, ma le previ erano buone: per domenica era previsto il sole.
Studio le norme e le FAQ ministeriali, e scopro che, per qualche incomprensibile ragione, gli spostamenti in bici oltre i confini comunali sono consentiti anche se si è in zona rossa. Bene allora. Rispetterò il distanziamento e tutto, ma domenica mattina esco.

Alle 7 sono sveglio. Guardo dalla finestra. I vetri delle macchine sono incrostati di brina e fa un freddo porco, ma il sole fa già capolino oltre il palazzo di fronte. Si annuncia una giornata strepitosa, di quelle terse, di inizio primavera, che ti allargano il cuore.

Mi vesto al buio, per non svegliare mia moglie.
Scarto la giacca pesante. C'è giusto una maglietta a maniche lunghe che ho comperato tempo fa, in svendita, da decathlon.
Intimo termico leggero (del deca), maglietta (del deca), calzoni a tre quarti (del deca), scarpe (shimano, ma comperate al deca), guanti medi (del deca), casco, bandana e antivento (indovinate ?del deca). Il deca sta giusto sul percorso tra casa e studio. Col tempo, ho sviluppato una sorta di ossessione per il reparto ciclismo.

Monto sulla biga e mi reco all'appuntamento volante che ho preso con qualche amico. Arrivano, mi accodo al treno di bici di cui sono uno dei vagoni più lenti. Intanto che pompo, urlando saluti per superare la distanza di sicurezza imposta dalle norme, rifletto su quanto il CIVID abbia cambiato i costumi. Una volta, ci saremmo fermati e avremmo passato 10 minuti a stringere mani e dire minchiate. Ora la stretta di mano è andata in disuso, e non ti viene più neanche l'istinto. Perfino il tocco di gomito che l'ha sostituita viene guardato con sospetto.

Ci infiliamo su per la val di zena, e per strada, piano piano, perdiamo pezzi. Un paio di persone hanno necessità di tornare indietro per pranzo, e ci lasciano a zena. Qualcun altro opta per un percorso diverso. Io, però, vorrei continuare. E' stata una settimana intensa, e ho bisogno di far girare le gambe e sgombrare la testa. Mi consulto con Ivo, e decidiamo di continuare. Si va a Quinzano e, se il morale resta alto, a Loiano.

Ora, uno potrebbe dire: "e quindi ? n'do stanno questi posti ?" E mò ve lo spiego.

La Val di Zena è un posto tipico da bici nel bolognese.
Tutta la prima parte della valle è in lieve salita ed adatta a ciclisti di ogni forma, razza, dimensione, peso e preparazione.
Dal paesino di Zena in poi diventa lievemente più dura, e dal paesino di Fornace inizia a salire con maggiore intensità. Quindi, di solito Zena funziona come una sorta di spartiacque. A Zena arrivano tutti, comprese le sciure Pine con la graziella arrugginita. Oltre proseguono solo quelli un pochino più determinati.
Dopo Fornace c'è Quinzano, e in mezzo ci sono un cinque chilometri più impegnativi. La prima volta che li ho fatti, ad ottobre, sono stato parecchio in difficoltà. Ora li ho fatto diverse altre volte, e, seppure impegnativi, non mi danno più problemi.
Dopo Quinzano, infine, c'è Loiano. Da Quinzano in avanti la strada diventa ripida, e il primo pezzo, che i ciclisti "veri" mi dicono essere noto come "il muro di Scanello" ha una pendenza che si aggira dalle parti del 10%.
A me era stata descritta come una salita epica, bastarda e spacca gambe, La semplice idea mi metteva in soggezione. Quando ho deciso di smanettare la cassetta della bici, togliendo l'11 ed aggiungendo un 34 finale, l'ho fatto pensando a Loiano ed al suo muro. Perchè non nascondo che il pensiero di andarci, da tempo, c'era.

Arriviamo a Quinzano e ci fermiamo a bere dalle borracce.
Dalle panchine guardiamo un gruppetto di ragazzini cinesi o filippini, con le bici anche loro, che chiaccherano fitto nella loro lingua.
Che buffo, penso. Non incontro mai ragazzi giovani che vanno in bici, e comunque non sono mai stranieri. Questi hanno la musica sparata a palla dai cellulari, e i manubri pieni di porta tutto. Ogni bici avrà addosso decine di chili di tecnologia superflua. Mentre dentro di me ci penso, quelli montano in bici e si infilano su per Loiano alla velocità della luce. i quintali di tecno-gadget che trasportano, evidentemente, non sono un problema.

Tocca a noi, adesso. io sono teso. Aspetto il famoso muro della morte. Ivo, che pesa la metà di me, mi distacca facilmente, e sale su con il suo passo. Io seguo guardingo, centellinando i rapporti. probabilmente è una tara personale, ma sono riluttante a mettere subito i rapporti leggeri. Il fatto di sapere che, alle brutte, ho ancora un rapporto da inserire mi da una sensazione di sicurezza. Tengo il 27 finchè posso, e poi il 30. E finalmente arriva il muro, e io sfodero il 34 che ho pensato appositamente per lui.

Salgo piano, disciplinando il respiro. Non sono le gambe che mi preoccupano, di solito il mio punto debole è il fiato. Mi concentro sulla respirazione, con lo sguardo fisso sulla ruota anteriore. Dicono che se guardi la salita, che da sotto sembra sempre più ripida, ti perdi d'animo. Io guardo il contachilometri. Siamo intorno a km 51. Quinzano e Loiano stanno a meno di 4 km di distanza. al km 55 sarà tutto finito.

Mentre mi faccio tutti sti conteggi da ragioniere del pedale, salgo. Vado piano, ma il fiato tiene. mi passano tutti, naturalmente, ma non è quello il punto. Quel paese li, in cresta, è Loiano. Da piccolo, i miei mi ci portavano i fine settimana, considerandolo di mezza montagna. Io vivevo queste trasferte come l'entrata in un mondo parallelo, lontanissimo da Bologna. Ora ci sto andando in bici, cioè l'attrezzo che di solito usi al mare per andare da casa in spiaggia. Mi sembra una cosa dotata di qualche significato. Ci rimugino sopra, senza trovarlo. E intanto che rimugino, il muro finisce, e sono a Loiano. E' stato molto più facile del previsto. Ci facciamo un selfie, tutti gasati. per Ivo non è la prima volta, ma comunque anche per lui non è così scontata. Siamo molto orgoglioni.

Da Loiano facciamo una bellissima discesa, passando per Barbarolo, e poi ci dirigiamo a casa.
Verso la fine del giro il cambio comincia a grattare un pochino, si è sregolato qualcosa. Anche nelle mie gambe, negli ultimi 20 km, si è sregolato qualcosa, e arrivato a casa scendo dalla bici sentendomi 30 anni per gamba in più.

Chiudo il contachilometri, che dice 98,8 km. Ho pensato, per un momento, di allungare per il gusto di fare 100 chilometri, cifra tonda. ma non vedo l'ora di scendere, e la cifra tonda la facciamo un altro giorno.

Salgo a casa, zoppicando come un vecchio. Mia moglie mi accoglie radiosa, con le scarpette da tennis, attorniata da rampolli ugualmente intutati e scarpati da sport.

"Eccoti che sei arrivato, padre! hai visto che bella giornata ? Andiamo a fare una passeggiata sulla ciclabile ?"

Due paia d'occhi allegri e minorenni mi guardano carichi d'attesa.
Io ho 110 anni mentali, puzzo come una capra bagnata, mangerei un bufalo crudo e le mie cosce urlano "DIVANOOOOOOOO !".
Ma sono occhi bambini, tutti contenti. Per non parlare di quelli celesti di mia moglie.
Sorrido a 32 denti, sentendomi morire dentro. "Ma certo, ragazzi, faccio una doccetta e sono subito pronto".
10 minuti dopo, cammino allegro sulla ciclabile. Sfoggiando doti da grande attore, riesco anche e non zoppicare.

Il prossimo che mi racconta delle gioie della paternità gli tiro un pugno.
 
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patbici

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La mia mtb è un oggetto bellissimo. Ha una certa severità teutonica, così grigia coi profili verdi. Mette quasi soggezione. Ogni volta che ci monto sopra sento un irrefrenabile impulso ad invadere la polonia (cit.).

La cosa che più adoro e' il cambio, un deore xt con la tripla anteriore. Sempre preciso, mai una sbavatura, perfetto. Anche i dischi idraulici sono ineccepibili.

E' parecchio che pencolo tra l'opportunità di venderla oppure di trasformarla in una "monster". Se la vendessi non ci prenderei niente, la tripla ormai e' fuori moda, e poi mi piace troppo. La trasformerei, se riuscissi a trovare i comandi "da piega" adatti a funzionare col suo deragliatore, la tripla e i freni idraulici. Sono mesi che ci studio senza venirne a capo, e ormai una bici senza piega mi sembra un qualcosa di incompleto.

Oggi pioveva, i ragazzi facevano i compiti e mia moglie il cambio di stagione del suo armadio. E sempre irritabile quando si cimenta in queste cose, quindi ho preso le cuffie, messo barbero in sottofondo e sono sceso in garage.

La mtb mi guarda e io guardo lei.
Bella di papà tuo, le dico. Bella, con quella bella catena brunita.
Hei, un momento. Che catena brunita ?
La guardo meglio. Sembra brunita, ma è sporco.
Tantissimo sporco. Anche il pacco pignoni. E il deragliatore.

Guardo ancora meglio. Tutta la bici sembra coperta da strati alterni di fango e grasso. Provo il cambio, facendo un giro in cortile sotto la pioggia. Tutto funziona alla perfezione, ineccepibile come sempre. E però è sporco, sporchissimo. Very zozzo.
Non lo merita, io la salverò. Tiro fuori gli arnesi ed entro in modalità bicimeccanico.

Treppiede, bici appesa, sgrassante come se piovesse. Il pavimento del garage inizia a coprirsi di gocce nere e grasse, che pian piano svelano un pacco pignoni bello lucente.

Sfrego con lo spazzolino, tirando fuori chili e chili di morchia incastrata nei posti più incredibili. La catena, dopo tanto olio di gomito, torna chiara come mamma l'ha fatta. Insapono, do' di pompa e poi asciugo. Dopo una bella oliata, la mia bici smette di avere quell'aria un po' selvatica che l'ha sempre caratterizzata. Non ricordo da quanto tempo non lo facevo, ma c'è ne era bisogno.

Faccio un giro veloce, e mi ritrovo a fare 1000 volte la salita dei garage coi rapporti più disparati, divertendomi come un bambino.

E tuttavia, adesso che e' pulita, il cambio è meno preciso e gratta. Era disabitata a tutte queste cure, lo shock da manutenzione inaspettata le e' stato troppo forte.

Ora e' sul treppiede, in terapia intensiva. Domani sera opero. Ma è di tempra forte. Si riprendera'.
 
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Mi sveglio alle 4 di mattina, dopo un incubo a base di lavoro, scadenze non rispettate, disastri vari.
A quel punto, il sonno è finito, e rimango a trastullarmi in cucina, facendo zapping fino alle 7.
Sono un cesso, con un sonno bestia ed occhiaie lunghe sempre.

Bevo 82 caffè, che si rivelano inutili. Come uno zombie saluto i ragazzi che vanno a scuola, bacio l'assonnata femmina, che sa di lettone e di buono, e - violentandomi - alle 9 di ieri mattina sono al punto di ritrovo. Avendo deciso che è primavera, sono vestito in maniche lunghe e calzoncini corti, ma leggero.
Fa un freddo becco. Gli altri sono in completo lungo invernale. Qualcuno ha addirittura i coprascarpe.
Niente di male, penso: ora che partiamo, mi scalderò. Mi scalderò tanto, anche, perchè quando FF mi ha convocato, si è dimenticato di dirmi che la parte "bolsa" del gruppetto (di cui mi onoro di far parte) era assente ingiustificata al gran completo. Quindi sono l'unico presente che non va in bici da decenni, non ha scavalcato le Ande in bicicletta e, più in generale, non è uno stangone possente assai ben allenato.

Mi accodo al gruppo, mesto. Ho già fatto l'esperienza, e quindi so cosa mi aspetta.
la cosa che mi consola è che normalmente, quando si fanno carico della zavorra che sono, mi usano le cortesie che i nipoti di solito riservano al nonno. Mi sostengono, mi danno saggi consigli, mi incoraggiano. "ti chiudo la finestra, nonno ? " "ti do una mano ? " "non scendere le scale da solo, appoggiati a me". Solo che questi nipoti hanno più o meno la mia età, quindi risulta tutto un po'strano.

Tuttavia, anche con queste cautele, quando i miei "nipoti" escono in bici hanno solo tre velocità:
- "fermi" (tipo quando arrivi da qualche parte e bevi un caffè);
- "circa 30 all'ora" (in ogni normale circostanza) e
- "a tutta birra" (quando incontrano un altro treno di ciclisti che mostra velleità competitive).
L'unica che mi viene facile è la prima.

Partiamo, direzione Castel dell'Alpi.
Castel dell'Alpi è un ridente paesino di mezza montagna sulle rive di un bel laghetto. C'ero già stato, anni fa, per vedere se ci si poteva fare windsurf. Ero andato in macchina, e conservavo il ricordo di una strada in fondovalle, che saliva piano piano fino a raggiungere, con progressione e dolcezza, il medesimo lago.
Probabilmente, se la rifacessi in macchina, è ancora così. Forse sarebbe ancora così anche se la facessi in bici al mio ritmo.
Invece, se sei il rimorchio pieno di zavorra di un treno di ciclisti allenati, si trasforma in una strada infame, piena di salite inopportune. Ma non divaghiamo.

Partiamo per Castel dell'Alpi, dicevo, Alla rotonda dovremmo girare a destra ma noi giriamo a sinistra, per la Val di Zena, in modo di aggiungere al percorso la salita tra Botteghino e Pianoro.
Non è una gran salita, anche se la prima volta che la feci mi sembrò una scalata epica. Ormai la conosco, e valuto le mie prestazioni dal mio ritardo sui più allenati in un determinato punto del percorso. Se loro son solo alla curva successiva, va bene. Se sono a metà del rettilineo che viene dopo, insomma. Se non li vedo ed hanno già passato il tornante, disastro.
Li vedo sul rettilineo, quindi - tutto sommato - va benino. Io mi sento bene, anche se fa freschino.

Scendiamo a Pianoro, e cominciamo a salire. Sono congelato, ma va benino anche qui. Loro sono a ritmo rilassato, beninteso. Sono io l'unico che si sta impegnando. Però reggo, e inizio quasi a vederla rosea. Forse mi sono allenato a mia insaputa.

Intorno al 40esimo chilometro passiamo il bivio per Loiano. Non sono mai andato oltre, e sarei quasi pronto per tornare. Ma possiamo anche proseguire, mi dico, tanto sto benone.
Mentre rimugino tra me e mè, il capotreno tutto giulivo esclama "daje gente ! mancano solo 13 km! E abbiamo già fatto 550 metri di dislivello!"
ferma un attimo - penso io - il dislivello previsto è intorno a 1100. Quindi ne manca la metà. Da fare in 13 km. Ma io so che alcuni di questi 13 sono in discesa, quindi non sono 13, saranno 10. E dovrei farli dietro a questi, col loro ritmo ? Ma io ci muoio.

Mentre contemplo affranto la mia prossima morte, con tanto di moglie piangenti e lapide intitolata a "P., padre e marito adorato, anche se abbastanza co***one", inizio a rimanere indietro. Dapprima un pochino, poi sempre di più, fino a che non mi ritrovo del tutto solo.

Che bello, però. La strada è immersa in un bosco, sento solo gli uccellini, il ronzio della catena ed il rumore del mio respiro.
Mi rendo conto che la salita non è proprio chissa chè, ma sono io che mi sono speso troppo nella fase di avvicinamento. Scalo i rapporti, grato dell'esistenza del 34 che metto a tratti. Ma sono contento, c'è un buon odore di foglie e tutto sommato ce la faccio bene. Basta andare piano.

Quando arrivo a castello, gli altri stanno bevendo il caffè. Probabilmente hanno anche schiacciato un sonnellino, ma sono grato del fatto che nessuno me lo fa notare.
Foto di rito e si torna. ora è tutta salute, penso io. Siamo in discesa, la bici ci cullerà facendo tutto il lavoro, e noi chiacchereremo senza sforzo di filosofia romanza ed altre cose elevate, mentre la strada ci porta verso Bologna in un tripudio di sole e natura.

E' a quel momento che incontriamo l'altro treno di ciclisti.
Saranno in 20, con le facce coriacee segnate dagli elementi, come lupi di mare. Ci sono giovani tra loro, ma quelli che fanno paura sono i Vecchi. Sono in gran parte 60enni, sulle loro Colnago con cambio elettronico da 40 milioni di dollari. Gente che la guardi e capisci che si fa 100 km al giorno, così come io mangio un grissimo. Sono magri. Abbronzati. Tirati a balestra. Competitivi.

I miei nipoti li vedono e subito scocca la scintilla. Quando sento l'odore di ozono, e vedo FF stringersi le scarpe capisco l'antifona. Addio, filosofia romanza. Sarà la guerra.

I Vecchi mandano avanti i loro giovani, che partono in tromba. Noi sproniamo i cavalli e ci ficchiamo dietro.
Pedalando come un matto, rimpiango di aver sostituito l'11 con il 12, che mi fa andare più piano. Ansimo, cercando di stare a ruota dei nostri. Mettiamo la freccia, e superiamo i giovani. E' stato semplice, mi dico. Ne sono sorpreso.
Ma era un trucco. I giovani non erano il meglio del gruppone, ma solo i menbri più inesperti.
Appena rientriamo sul bordo della strada veniamo a nostra volta passati dal treno di veciotti, che erano poco dietro di me, in silenzioso agguato.

Ci accodiamo a loro, in un silenzio mortale di sguardi assassini. le gambe pompano, nessuno parla. Sono forti anche per lo standard dei miei nipoti. L'obiettivo diventa non farci seminare.
Andiamo avanti così per qualche chilometro. nessuno cede, i giochi sono aperti.
O meglio, no. Qualcuno cede, e quello sono io, perchè girare praticamente in piano ai 36 di media mi fa scoppiare nel giro di pochissimo.
Per fortuna che anche FF rallenta, e mi offre la scusa per accodarmi. Se sono il nonno, faccio il nonno. Non è colpa mia se il treno dei nipoti rallenta ....

Arriviamo a Bologna, poi finalmente a casa. Negli ultimi 3 o 4 km avrei venduto la mamma per un passaggio in auto. Le gambe sono andate. La testa è andata. Siamo stati in giro 4 ore e mezza, facendo 102 km e 1100 e rotti di dislivello. Prima volta che passavo i 100 km, e prima volta che passavo i 1000 di dislivello.
Sono morto, e mi stendo intensamente grato della presenza in casa di un divano.

"ti sei divertito? " Chiede mia moglie.

Mi sono divertito ? Sono stanchissimo, le cosce mi fanno male, ho fatto una fatica porca, non ho dormito niente.
Abbiamo fatto le corse con l'altro treno di ciclisti come bambini idioti.
A Castel dell'Alpi ci si poteva andare pure in macchina. Non c'è ragione di massacrarsi le terga sulla bici per 100 km. Non c'è ragione di farlo in salita, potendo biciclettare giulivi in pianura. E' una cosa da stupidi, irragionevole.
Vorrei spiegarglielo, ma lei non capirebbe. Che uscire in bici senza particolare scopo sia una cosa da babbei, lei me lo ripete spesso. E io, in linea di principio, sono d'accordo con lei.

Mi sono divertito, quindi ?
Alla grande!


NB: mi sa che questo è il mio ultimo post, su questo forum. La scorsa settimana ho venduto la MTB (e le vicende della vendita meriterebbero un post a sè), quindi il mio legame con il mondo off road, già tenue, si è definitivamente rotto. Ma il gravel è dietro l'angolo, quindi: chi può dirlo.
Alla prossima.
 
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patbici

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in effetti, chi se ne impippa se le mie ruote hanno i tasselli o meno. Sempre ruote sono.

Sabato vado a fare un bel giro. Mi produco in una salita che per me è tosta, e arrivato in cima senza mettere piede a terra mi ritrovo tutto galvanizzato alla ricerca del prossimo obiettivo. Mentre scruto l'orizzonte, alla ricerca della prossima collina da "scalare"

(segue video esplicativo del pat che scruta con desiderio i dintorni :
)

la mia vista da falco si sofferma su un paese conosciuto, giù in valle. Ma è Rastignano, la sotto ! E se c'è Rastignano, vuol dire che sono nei dintorni di Via del Paleotto !

Ora, questa Via del Paleotto è una di quelle viuzze di mezza collina, che parte all'apparenza inoffensiva e scorre serena sotto alberi ubertosi. Tuttavia, non appena ti rilassi respirando a piene nari l'odore di fiorellini, la via si impenna. E poi si impenna ancora. E poi arriva ad un tornantino bastardo in cui si impenna ancora di più. Poi, dopo un'ultima fiammata, si mette tranquilla e Ti porta su su fino a Monte Donato.

Io l'ho fatta una sola volta, lo scorso anno, e ho messo il piede a terra almeno 3 volte. E nel pezzo più duro ho spinto. ma ora che sono divenuto un panzociclista formidabile, mi dico, posso scalare qualunque cosa.

Scendo a Rastignano, scovo l'imbocco di Via del Paleotto, prendo la Via del Paleotto. Comincia la salita e io comincio a scalare le marce, nel tentativo di starle dietro.

Pedala che ti pedala, raggiungo una coppia dall'aria atletica che sale di buon passo. Lei cammina a grandi falcate, lui fa una sorta di corsetta quasi sul posto. Li supero a passo d'uomo. Vado talmente piano che abbiamo l'occasione di salutarci e raccontarci la storia delle rispettive vite.

Appena lascio indietro la coppia corridora, arriva la parte mediamente acida. Supero un punto in cui ricordo di aver messo il piede a terra (salita tiè!), svolto l'angolo e vedo il tornante. Lo vedo parecchio da sotto, perchè la strada, in quel punto, diventa veramente ripida, il tornante è a sua volta in salita e dopo c'è un'ulteriore strappoetto. Ma tanto io sono un superatleta ...

La prendo con calma, ripassando le sacre regole della salita.

Prima regola della salita: non guardare la salita. Se guardi a lungo la tua ruota anteriore, potresti convincerti che sei in pianura, e che la fatica porca che stai facendo è tutta un'invenzione. Beh, se per voi funziona, fatemi un fischio. Io guardo la ruota anteriore tirando saracche interiori che mi farebbero vincere qualsiasi gara di bestemmie.

Seconda regola della salita: pensa ad altro. Pensa alla mona, ad esempio. Anche quello non funziona. A parte il fatto che sono sposato dalla notte dei tempi, se in salita penso alla mona la penso in cima alla salita. Il che mi ricorda che sto facendo la salita e quindi non serve a niente.

Terza regola della salita: ricordati di respirare, e gestisci il fiato: ecco, questa funziona. Se non finisco il fiato (e le gambe), ce la posso fare.

E quindi mi gestisco. Mancano 10 metri al tornante. le gambe bruciano. Mi alzo sui pedali per non mettere il piede a terra. Se prendo la curva all'esterno, faccio subito più fatica ma poi posso sfruttare la larghezza della carreggiata per recuperare due secondi di fiato. E dopo, alla peggio, zigzagherò.

Si, penso col cuore in gola, farò così'.

Faccio la curva, svolto e ... mi ritrovo la strada occupata da una mandria di signore anziane che, mascherina in faccia e bastoncini da nordic walking fieramente in mano, scende compatta la collina. Occupano l'intera carreggiata, Avranno tra i 90 e i 130 anni e data la pendenza non so come facciano a stare in piedi. Tra l'altro, c'è venticello, e le pettinature cotonate potrebbero far vela, compromettendo il già delicato equilibrio.

Addio zig zag, non c'è spazio. Però così, dritto per dritto, non ce la faccio.
Maledette vecchie cotonate. Mentre io avanzo, al rallentatore, la mandria inizia ad aprirsi ancora più lentamente. Ce le ho a 30 centrimetri da una parte e dall'altra. Se barcollo, le travolgo tutte. Chiudo gli occhi e pesto sui pedali come se non ci fosse un domani. Il cuore accellera da 100 a 1000 in un nanosecondo, le gambe urlano. Strattono il manubrio per far più forza, data la pendenza la bici tende ad impennare ma ce la fo, e passo la mandria, per puro spirito di volontà, senza fermarmi e senza ammazzare nessuno.

Mentre fendo il gruppone, una signora delle ultime file, che devo dribblare perchè non si sposta di un millimetro, mi guarda e mi fa, con spiccato accento bolognese: "Mo complimenti, ziovanotto!"

la risposta, interiore, è spontanea: "Ma vaffanzum ...."
 

alREdiFos

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grazie della bella lettura e soprttutto grazie degli splendidi ricordi che mi hai sbloccato!
nei miei anni universitari in quel di bolo, decine di anni/chili/capelli bianchi fa, abitavo in zona porta castiglione e, nonostante la mia occupazione primaria durante il giorno fosse ammazzarmi di canne nel tentativo disperato di uccidermi di passera nel corso della notte, le gambe giravano davvero forte ed i polmoni pure. e la mia attività podistica si consumava proprio sulle stradine tra i colli da te citate (oltre alla classica salita a san luchino!): riscaldamento ai giardini margherita, poi si saliva verso i prati di monte donato e da li, attraverso via del poggio, via in direzione del parco del paleotto!!! il ritorno spesso prevedeva il passaggio da monte donato!
erano altri tempi, il podismo come il ciclismo e le camminate nordiche non erano così in voga, e, salvo qualche corridore dalla gamba davvero buona, gli incontri erano piuttosto radi....cmq all'attempata bulugneisa più che un vaffanzum ci stava un classico quanto nostrano invito "mo vammo bain a far dal pugnetti!!", che magari qualche romantico ricordo lo sbloccavi anche a lei!!!
buona vita, ciao
 
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patbici

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più che un vaffanzum ci stava un classico quanto nostrano invito "mo vammo bain a far dal pugnetti!!", che magari qualche romantico ricordo lo sbloccavi anche a lei!!!
Hai ragione da vendere, io sono un bolognese autoctono ma di ascendenza triestina, quindi ... non ci ho pensato.
 
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patbici

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Sabato è stata una giornata senza storia, trascorsa tra impegni di vario tipo. Domenica mattina, però, mi sono svegliato presto per guardare la sintesi del Giro.

Non che me ne freghi nulla, intendiamoci. La gara in sè non la seguo, e tutto il chiacchericcio che ci gira intorno è fastidioso. Ma mi piace vedere le tecniche degli atleti. Mi piace vedere le salite. E soprattutto, adoro l'arrivo, quando finalmente sfoderano gli artigli e, soffrendo, arrivano al traguardo.

In fondo, a me piace quel tipo di ciclismo. Quello che ti porta a spingere un pochino più della volta precedente. Quello che le gambe ti fanno male e allora insisti fino a che non senti di poter onorevolmente rallentare.. Quello che comunque provi ad andare a tutta, esultando come uno scemo per piccoli traguardi personali insignificanti.

Mentre bevo il sempiterno caffè, già inguainato nel mio completino di lycra nera che mi rende un misto tra Nureiev e Bombolo, si avvicina uno dei ragazzi. Si è svegliato presto, e - come sempre la mattina presto - è in stato catatonico.
E' il mio momento preferito. Quando non è ancora in sè dimentica di essere un preadolescente molto adulto, e torna il bimbo che era fino a pochi mesi or sono. Viene in braccio, si strofina contro il suo vecchio. Sbadiglia.
"Padre, esci con le zie ?"
Qui bisogna spiegare. Io la domenica esco con un gruppo di simpatici ragazzi. Tuttavia, il nostro è un gruppo bipolare. C'è un'anima sportiva, impersonata da FF, che ci vorrebbe scattanti e tesi alla prestazione, e c'è un'anima gozzovigliatrice, governata dal Capitano, che ci vuole cicloturisti con tendenza superalcolica.
Una volta, l'anima capitana ha preso il sopravvento, e il nostro giro in bici si è trasformato in un tour particolarmente leggero. Commentandolo, a casa, ho detto ai ragazzi che avevamo fatto "un giro da zie". Inutile dire che i ragazzi non dimenticano niente, e da quel momento il padre esce in bici con le zie. Peraltro, per l'improbabile caso che qualche "zia" mi stesse leggendo, non si deve offendere. Io sono "zia" tanto quanto gli altri. E non mi disturba affatto.

Scendo, controllo le gomme. Il cielo è grigio, sembra che stia per piovere. Mi infilo in tasca l'antivento, che non si sa mai. Parto.

Come sempre, parto a tutta, con le gambe fredde che cercano di farmi ragionare, e io che cerco un'ottima scusa per rallentare senza perdere la faccia con lo gnomo che mi abita nel cervello. Lo gnomo ha scoperto che, sul piano, riesco a stare abbastanza a lungo sopra i 30 all'ora. E' una questione di tecnica di respirazione, di gambe, ma soprattutto di pedalata rotonda. Da quel momento, lo gnomo mi impone di girare rotondo a proposito e sproposito. Il fatto che la tecnica possa, in certi casi, aiutare la potenza, lo affascina. Ha da poco alzato il sellino scoprendo che quel circa centimetro si sostanziava in un valido aiuto. Insomma, siamo entrambi in piena fase di scoperta, e lo gnomo scalpita come una cavallo ogni volta che io tento di rallentare e godermela.

Ho appuntamento in centro, a Bologna. Ci arrivo prendendola larga e tagliando per vari parchi. Mi piace la città di mattina, ancora mezza vuota. Supero un altro ciccione su ruote, resistendo alla voglia di urlargli di alzare quel sellino, che si troverà meglio. Io, quelli che ti vogliono catechizzare su come si va in bici li odio. inoltre, il bello del viaggio è il percorso, non l'arrivo. Se continuerà a pedalare, il collega di panza lo scoprirà da solo e proverà l'orgasmo intellettuale che ho provato io. Non glielo voglio togliere.

Quando i ragazzi arrivano, vedo che manca l'ala oltranzista, mentre l'ala cicloturistica è presente al gran completo. la destinazione prevista è (tanto per cambiare) un posto con ottimi tortellini, che forse ti danno da asporto. Dove ? il Capitano si imbarca in una lunga spiegazione piena di luoghi che non conosco. Capisco che si scende la fondovalle savena, poi si fa la salita di Pieve di Pino, poi Badolo, poi Brento. Conosco solo la prima salita, il resto lo scoprirò. Comunque, visto che siamo zie, sarà un giro facile.

Facciamo la fondovalle in "ecomode", chiaccherando. Qui ci saranno presto le comunali, e C.B. mi spiega nel dettaglio le dinamiche delle candidature di centrosinistra. Tra una ciacola e l'altra, arriva il bivio per Pieve di Pino e ci infiliamo sulla salita. La conosco bene, l'ho fatta molte volte e mi piace tanto. Parto in tromba, spingendo del mio meglio e cercando di stare alla testa del gruppo. Con tutto il mio spingere, sto alla pari con la M., che essendo leggerina ma atletica sale tranquilla, guardando il panorama. Intanto che salgo, chiacchero con A., una new entry, che ancora non conosco. I suoi polpacci tradiscono il podista, e infatti sale proprio bene. Parliamo ansimando, io più di lui, ma saliamo. Arrivati al bivio per Badolo, tiriamo il fiato, aspettando gli altri.

Dal bivio a Badolo è una strada bellissima e panoramica. Il cielo è sempre coperto, ma ancora non piove e si va via lisci. Il Capitano, che è uomo di edilizia e di terreni se ne intende, mi fa notare che, scavalcando il fiume Savena, siamo passati dalle argille all'arenaria, e che i calanchi sono spariti. E' vero, il panorama qui è meno aspro e più rotondo. Sembra quasi Toscana.

la strada sale, e io inizio a faticare. Niente di bestiale, beninteso, però l'è lunga e, non conoscendola, non so dosare le forze. Mi limito a seguire la M. ed A. che salgono a loro agio. Niente macchine, saliamo affiancati. ogni tanto due parole spezzano il silenzio.

Nuovo stop in cima, per ricompattare il gruppo.
Il Capitano, come il solito, è venuto con la sua vecchia bici, che come rapporto agile, dietro, ha il 28. Forse andava bene quando il Capitano aveva 20 anni e 20 chili di meno. Ora non è grasso ma è massiccio, e fa fatica. E tuttavia sale sempre, dappertutto. Mentre ci penso, mi vergogno del mio 34 finale, prova provata della mia inettitudine. Ma non potrei rinunciarci. C'è sempre il momento, in ogni giro, in cui viene buono. Inoltre, mi da sicurezza, e mi fa affrontare ogni percorso sapendo che, in un modo o nell'altro, ne verrò fuori.

C.B. si lancia giù per il bivio per Brento. Io penso che la salita sia finita, ma mi sbaglio. In realtà da Badolo a Brento si sale e si scende, e le salite Hanno strapponi di tutto rispetto. Io inizio a sentrle. Fino a questo momento non mi sono affatto risparmiato, tirando sempre in modo da stare con i primi. Il primo strappo, che tocca il 10% mi mette in avviso: il secondo, che arriva al 15%, mi ammazza. Il 34 entra in azione, ma non basta ancora. però non voglio mettere il piede a terra, perchè lo gnomo lo prenderebbe per un lassismo imperdonabile. Zigzagando per ridurre la pendenza, arrivo in cima.

Finalmente si arriva al posto dei tortellini, ma è ormai tardi. io ho un impegno, devo tornare. Saluto tutti, mi faccio una scoscesa discesa fino a valle ringraziando San Frenoadisco, patrono dei ciclisti pesanti, e copro i 15 o 20 chilometri che restano fino a casa. 72 km, 630 di dislivello. Un giro soddisfacente.

Ma che bello che era, intorno a Brento. Eravamo in un bosco. Non passava nessuno. La strada era nostra. L'odore di alberi si mischiava a quello delle pecore e del foraggio di cui i dintorni sono pieni. Se chiudevi gli occhi e ascoltavi gli odori, sembrava di stare in malga, sulle dolomiti.

E che bella che era la salita, anche. Lo confesso, mi sono innamorato. Tornerò.
 
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