Io posso dire di essere stato MOLTO fortunato. Da ragazzino, come ogni buon "maschietto", desideravo avere una bicicletta. Ho cominciato prestissimo, e il fatto di avere in famiglia un cugino ciclista ha fatto il resto.
Alla tenerà età di sei/sette anni, mentre in tutta Italia IMPAZZAVA letteralmente la moda della
BMX, eccomi "recapitata" per la mia prima promozione a scuola una splendida Atala rossa. Cosa abbia dovuto patire quella bici, lo sa solo il cielo.
Poi, ho ereditato da mio cugino la bici da corsa, e quei pomeriggi spesi a domandarmi che senso avesse fare tutta quella fatica, mi sono rimasti dentro per sempre. E infatti ho conosciuto tutte le strade della mia provincia prima di tutti i miei coetanei.
Avevo tredici anni, ed ero di cresima, quando una collaborazione papi + padrino mi consegna la mia prima VERA MTB, oggetto di culto (e di invidia) per tanti coetanei. All'epoca chi non la comprava, la desiderava, era scoppiata come anni prima per la BMX una vera e propria mania collettiva.
Me lo ricordo come se fosse ieri: era una Atala MTB UP coi desideratissimi manettini cambio SOTTO il manubrio, che avevano appena fatto la propria comparsa assieme ai grip-shift: probabilmente come tempo di azionamento rispetto a quelli sopra il manubrio non cambiava un cazzo, ma erano la rivoluzione. Me la ricordo in particolare per 2 episodi davvero sfigati:
Primo, la NON partecipazione al campionato "ultradilettantisticoamatorialetempopersistapostscuola" che si svolgeva, a numero di partecipanti aperti (e tra Maggio e Luglio, credetemi, ci andava il numeretto, per il proprio turno), TUTTI I GIORNI tra le 14.00 e le 20.00 in periodo estivo in una pista da cross abbandonata (o meglio: realizzata abusivamente all'interno di una boscaglia). In piena stagione, durante un allenamento irregolare sul tracciato di cui sopra, ho stortato un cerchione, e ho dovuto rimediare col "muletto": una bici da donna vinta alla lotteria della festa dell'Unità una decina di anni prima da non so chi, rimediando comunque un tempo di rispetto.
Il secondo episodio sfigato mi lascia sconsolato a distanza di oltre quindici anni: me l'avevano detto, che tirava una brutta aria in paese, e che le bici rubate non si contavano, ma io dico: per una volta che anzichè lasciarla dove capita, entro in casa per andare in bagno, la bici me la porto dietro, la lascio nel portichetto dell'ingresso col cancello chiuso, mica vero che il solito ignoto scavalca il cancello e me la frega?!?
Non si augura niente a nessuno, ma mi piace pensare che gli si sia spezzato il cannotto della sella mentre era in piedi sui pedali, che si sia "seduto" sul cannotto stesso, fratturato di netto e tagliente, e che gli si sia fatta una bella infezione con frammenti metallici infangati nella carne viva all'altezza dell'osso sacro. E questo mentre è in una pietraia in discesa disseminata di buche. Amen.
Da quel momento ho continuato a vivacchiare: prima con la bici da corsa ereditata dallo zio, che era vecchia già all'epoca, poi con la MTB di mia sorella, che sembrava avere all'interno dei cerchioni una calamita per forature. Poi per moltissimo tempo, ciclista "con sensi di colpa", vale a dire che la bici la usavo solo col tempo bello, per andare a prendere il pane, al bar e a comprare i giornali. Destino infausto.
Nel frattempo, ero uno di quelli che promuoveva l'acquisto di una MTB tra i compagni di scuola, invito prima osteggiato, poi accolto, e che si è concluso, ironia della sorte, con il sottoscritto, che è stato l'ultimo del gruppo a comprarla.
Il resto è storia di oggi: due bici in due anni (e questa guai a chi me la tocca, la sto curando e promette bene, farà strada), un desiderio ardente di mettere le mani su una bici da corsa quanto prima, e la sensazione che tutti i filmati visti con gli occhi lucidi delle imprese al giro, piuttosto che al tour, piuttosto che alla vuelta coi soliti noti, i rientri a casa con le ginocchia e i palmi delle mani sbucciati, le imprecazioni nelle salite col vento contro (per non parlare di quelle sotto la pioggia), le
ruote piegate, i raggi rotti, le borracce vuote sotto il sole cocente, la conquista delle "mie" strade, siano parte di un percorso che non vuole terminare.
E spero tanto, un giorno, anzi è una cosa che desidero, di ritrovarmi ad essere uno di quei "nonni coriandolo" di cui parla Stefano Benni nel suo Bar Sport Duemila. Se non l'avete letto, ve lo consiglio caldamente.