Una volta l'anno, e neanche tutti gli anni, arriva quel giro che sposta i tuoi limiti un po' più in alto. Magari prima neanche lo immagini, e sei sommerso da dubbi, ma capisci che qualcosa in te è cambiato una volta finito il giro.
Per me, quest'anno, quel giorno è arrivato in una torrida giornata di Luglio.
Tutto è cominciato con un messaggio di Michele (alias, @mik69), che cercava compagni per una due giorni al Piz Umbrail. Purtroppo, dovevo lavorare e non avrei potuto partecipare. Così ho girato la proposta ai miei soliti compagni d'avventure, rassegnandomi all'idea di fare un'uscita in solitaria, magari una delle solite in zona così tanto per passare una domenica di relax, in vista del caos che mi aspettava Lunedì al lavoro.
Ma niente, il Piz Umbrail si è rivelato essere troppo impegnativo per tutti, logisticamente parlando, quindi l'idea viene presto abbandonata. Al che, Michele, tira fuori il celeberrimo "coniglio dal cilindro", e sabato propone di andare a fare un giro al Puez, partendo da Colfosco in Val Badia. Giro di un giorno, 2300 metri di dislivello, tanto portage...
Vado a spulciarmi la traccia e, senza neanche dover leggere il report, ne riconosco subito l'autore. Questo è un tizio che fa giri davvero duri (o, come qualcuno direbbe, da veri duri), solitamente con tanto "portage" (ossia, l'arte di portarsi la bici in spalla) e discese difficili. Insomma, una persona con un livello decisamente superiore al mio.
Quindi, è necessario studiarsela per bene questa traccia. Apro il fido OpenStreetMap, e vedo che più o meno sembra tutto fattibile, a parte un tratto "T3" che, puntualmente e almeno nella mia esperienza, significa "grandi bestemmie se hai una bici sulle spalle". Leggo con attenzione la descrizione, che parla di cavi d'acciaio, ma non sembra una via ferrata, quindi dovrebbe essere più o meno fattibile. Non essendo un alpinista navigato, confesso che il dubbio mi creerà non pochi problemi a prendere sonno sabato sera. Ma con me ci sarà Michele, esperto e capace, quindi mi sento un po' più tranquillo e mi dico che basterà fare quello che fa lui (magari, senza affacciarsi dal baratro per guardare giù).
L'indomani prendo la Panda e parto, direzione Colfosco in Val Badia. Arrivo in orario, quasi sincronizzato con Michele, che addirittura si è fatto la trasferta fin da Padova. Decidiamo di tagliare subito 500 metri di dislivello, prendendo la cabinovia Plans-Frara che ci porta direttamente ai piedi del Gran Cir. Praticamente non abbiamo fatto neppure un metro di pedale, ma davanti a noi già si apre un panorama spettacolare sul gruppo del Sella e il Sassolungo.
E questo è solo l'inizio!
Incominciamo, pian piano ed in portage, a risalire il sentiero che ci porta lungo la prima asperità di giornata, la forcella Crespeina. Salendo, scattiamo qualche foto perché il paesaggio lo merita davvero:
E, una volta in cima, si apre davanti a noi lo spettacolo della Val Chedul:
Ci mettiamo su le protezioni, e ci lanciamo in discesa lungo la Val Chedul. Il primissimo tratto è davvero tecnico, e siamo costretti a fare qualche tratto a piedi. Man mano, però, la valle diventa sempre più ciclabile, e inizia ad accoglierci con bei prati in fiore.
Infine, deciso il sentiero inizia ad inabissarsi lungo una gola con un'infinità di scalette che metteranno a dura prova i nostri polsi. Dopo molto godimento, ma non per i nostri polsi, arriviamo alla Vallunga, altro posto meraviglioso.
Da qui, finalmente, diamo il primo colpo di pedale, e iniziamo a risalire verso il rifugio Firenze. Lungo la salita, si apre a noi lo spettaccolo delle Odle, decisamente da rimanere senza fiato, e di cui mi accorgo solo ora non aver fatto alcuna foto
Questo spettacolo è forse un po' rovinato dall'assurda quantità di persone presenti al rifugio Firenze, letteralmente preso d'assalto. Senza neanche fermarci, fuggiamo da quella bolgia e prendiamo un sentierino che porta alla forcella Siel, dove praticamente non incontriamo anima viva. Da lì, si apre una meravigliosa valle detritica che riusciamo a risalire quasi tutta in sella.
Abbandoniamo la valle svoltando a destra, dove inizia un altro tratto di portage che ci porterà fin sotto l'attacco della forcella di Seies...
Tratto di portage, questo, che fortunatamente è di tanto in tanto interrotto da brevi intermezzi pedalati...
Dopo un discreto ravanare, arriviamo finalmente all'attacco della forcella. Devo ammettere che qui ci arrivo sfinito, nello spirito e nelle forze, con un sole che picchia duro e che non ci ha mollati per tutto il giorno. E siamo solo a metà giro! Mi rassegno, metto la bici in spalla, e inizio il mio lento calvario lungo il ripido ghiaione che ci porterà alla forcella di Seies.
Dopo un bel po' di portage, arriviamo alla forcella sfiniti... e adesso ci aspetta il famigerato tratto col cavo d'acciaio! Io e Michele decidiamo di sederci un attimo, all'ombra di una pietra, a riprendere fiato e goderci un po' il panorama, che è DAVVERO notevole.
Qui assisto ad'una scena che mi rincuora: vedo una coppia scendere, marito e moglie abbastanza avanti con l'età e per nulla atletici, con una certa disinvoltura dal famigerato tratto attrezzato. Penso, quindi, che il tratto non deve essere poi così brutto, se due "vecchietti" se lo son bevuto così a cuor leggero!
Mentre penso ciò, scorgo due ragazzi sulla cima, anche loro intenti a scendere da dove sono già passati i vecchietti. Giovani, a petto nudo e con notevoli addominali in bella vista. Ossia, col classico fisico che tutti noi vantiamo aver avuto da giovani, ma che poi in realtà solo pochi hanno avuto in dotazione da madre natura.
Penso che siano due trail runner, che per scendere neppure avranno bisogno dei cavi, ma che anzi s'involeranno giù di corsa...
Niente di più sbagliato. Incomincia una scena da comiche, con i baldi giovani che iniziano a scendere letteralmente "di culo" e altre pose poco dignitose o instagrammabili. Ecco, dovevano arrivare 'sti due a farmi tornare le fisime sul tratto col cavo!
Aspettiamo un po', poi io e Michele decidiamo di partire con i due che ancora stanno ravanando in discesa. Ci incrociamo, ci guardano, e un po' spaesati ci chiedono:
- "Ma salite di qua?"
- Sì
- "Con le bici?"
- Sì
- "Ah... buon giro!"
- Grazie, altrettanto.
Chissà cosa avranno pensato, vedendoci tutti gobbi sotto il peso delle nostre bici, a fare il tratto dove loro son scesi con così poca dignità... soprattutto, chissà cosa avrebbero pensato se avessero visto i vecchietti di prima!
Il tratto attrezzato si rivelerà duro, molto, con una bici in spalla. Fortunatamente avevo il gancio allo zaino, che mi permette di avere le mani libere, e tirarmi su con entrambe le mani è stato un po' più facile che non farlo con una sola mano. In un punto, un po' più ostico, bisogna passare "da una cima all'altra", ma la presenza del cavo permette di farlo in tranquillità (a patto di non guardare giù).
Finito il trattino attrezzato, finisce l'incantesimo iniziato la sera prima, che mi aveva tenuto con i nervi tesi per tutto il giorno. Abbraccio Michele come gesto liberatorio, e rimango incantato da quello che ci circonda... sconfinate distese di picchi, pietre, e "profondissima quiete".
Dopo un po' di foto, riprendiamo le nostre bici e facciamo un traverso leggermente delicato, con altri tratti a corda fissa... ma ormai il peggio è passato.
E presto arriviamo all'inizio della nostra discesa, DA URLO, verso il rifugio Puez. Di cui NON abbiamo fatto molte foto, tanto era il nostro godimento.
Proverò, quindi, a descriverla: sterminate distese erbose interrotte dalle creste di aspre montagne, col Sassongher che, in lontananza, si staglia più in alto di tutte con la sua forma arcigna. Con noi solo le marmotte che, curiose, ci osservano.
Arriviamo al rifugio Puez e ci fermiamo, finalmente, per il primo panino e birra di giornata... nonostante siano già le 5 del pomeriggio!
Dopo la meritatissima sosta, ripartiamo (ovviamente in portage) diretti verso Cima Ciampani. Percorriamo grigie lastre di pietra che rendono il paesaggio lunare, con la luce del tramonto a fare da magico contorno. Incantati, accompagnati da questa meraviglia così come Dante fu accompagnato da Beatrice arriviamo, finalmente, in cima.
Ormai sono gasatissimo. Il sole sta calando, e con esso il caldo. La birra e il panino mi hanno dato nuove energie, e subito mi lancio in discesa da primo, a dettare il ritmo e le linee. Chiudo passaggi che, solitamente, mi incuterebbero un po' di timore, e più la discesa si fa tecnica più divento euforico, sciolto, e la mia guida si adatta, migliora. Tra aguzze rocce dolomitiche, trovo il mio flow.
In un baleno, e al pari di un sogno, la discesa finisce e siamo a Villa. Un trasferimento di qualche chilometro ci porta defnitivamente fuori dal sogno, e alle nostre macchine, che sono ormai le 21:00 di sera inoltrate. Ceniamo, ci salutiamo, e con un sorriso a 180 denti torno a casa.
Sapendo di aver concluso il, mio, giro dell'anno.
*** ***
Per tutti i tratti non documentati da foto, c'è la vostra fantasia... oppure c'è il video:
Per me, quest'anno, quel giorno è arrivato in una torrida giornata di Luglio.
Tutto è cominciato con un messaggio di Michele (alias, @mik69), che cercava compagni per una due giorni al Piz Umbrail. Purtroppo, dovevo lavorare e non avrei potuto partecipare. Così ho girato la proposta ai miei soliti compagni d'avventure, rassegnandomi all'idea di fare un'uscita in solitaria, magari una delle solite in zona così tanto per passare una domenica di relax, in vista del caos che mi aspettava Lunedì al lavoro.
Ma niente, il Piz Umbrail si è rivelato essere troppo impegnativo per tutti, logisticamente parlando, quindi l'idea viene presto abbandonata. Al che, Michele, tira fuori il celeberrimo "coniglio dal cilindro", e sabato propone di andare a fare un giro al Puez, partendo da Colfosco in Val Badia. Giro di un giorno, 2300 metri di dislivello, tanto portage...
Vado a spulciarmi la traccia e, senza neanche dover leggere il report, ne riconosco subito l'autore. Questo è un tizio che fa giri davvero duri (o, come qualcuno direbbe, da veri duri), solitamente con tanto "portage" (ossia, l'arte di portarsi la bici in spalla) e discese difficili. Insomma, una persona con un livello decisamente superiore al mio.
Quindi, è necessario studiarsela per bene questa traccia. Apro il fido OpenStreetMap, e vedo che più o meno sembra tutto fattibile, a parte un tratto "T3" che, puntualmente e almeno nella mia esperienza, significa "grandi bestemmie se hai una bici sulle spalle". Leggo con attenzione la descrizione, che parla di cavi d'acciaio, ma non sembra una via ferrata, quindi dovrebbe essere più o meno fattibile. Non essendo un alpinista navigato, confesso che il dubbio mi creerà non pochi problemi a prendere sonno sabato sera. Ma con me ci sarà Michele, esperto e capace, quindi mi sento un po' più tranquillo e mi dico che basterà fare quello che fa lui (magari, senza affacciarsi dal baratro per guardare giù).
L'indomani prendo la Panda e parto, direzione Colfosco in Val Badia. Arrivo in orario, quasi sincronizzato con Michele, che addirittura si è fatto la trasferta fin da Padova. Decidiamo di tagliare subito 500 metri di dislivello, prendendo la cabinovia Plans-Frara che ci porta direttamente ai piedi del Gran Cir. Praticamente non abbiamo fatto neppure un metro di pedale, ma davanti a noi già si apre un panorama spettacolare sul gruppo del Sella e il Sassolungo.
E questo è solo l'inizio!
Incominciamo, pian piano ed in portage, a risalire il sentiero che ci porta lungo la prima asperità di giornata, la forcella Crespeina. Salendo, scattiamo qualche foto perché il paesaggio lo merita davvero:
E, una volta in cima, si apre davanti a noi lo spettacolo della Val Chedul:
Ci mettiamo su le protezioni, e ci lanciamo in discesa lungo la Val Chedul. Il primissimo tratto è davvero tecnico, e siamo costretti a fare qualche tratto a piedi. Man mano, però, la valle diventa sempre più ciclabile, e inizia ad accoglierci con bei prati in fiore.
Infine, deciso il sentiero inizia ad inabissarsi lungo una gola con un'infinità di scalette che metteranno a dura prova i nostri polsi. Dopo molto godimento, ma non per i nostri polsi, arriviamo alla Vallunga, altro posto meraviglioso.
Da qui, finalmente, diamo il primo colpo di pedale, e iniziamo a risalire verso il rifugio Firenze. Lungo la salita, si apre a noi lo spettaccolo delle Odle, decisamente da rimanere senza fiato, e di cui mi accorgo solo ora non aver fatto alcuna foto
Questo spettacolo è forse un po' rovinato dall'assurda quantità di persone presenti al rifugio Firenze, letteralmente preso d'assalto. Senza neanche fermarci, fuggiamo da quella bolgia e prendiamo un sentierino che porta alla forcella Siel, dove praticamente non incontriamo anima viva. Da lì, si apre una meravigliosa valle detritica che riusciamo a risalire quasi tutta in sella.
Abbandoniamo la valle svoltando a destra, dove inizia un altro tratto di portage che ci porterà fin sotto l'attacco della forcella di Seies...
Tratto di portage, questo, che fortunatamente è di tanto in tanto interrotto da brevi intermezzi pedalati...
Dopo un discreto ravanare, arriviamo finalmente all'attacco della forcella. Devo ammettere che qui ci arrivo sfinito, nello spirito e nelle forze, con un sole che picchia duro e che non ci ha mollati per tutto il giorno. E siamo solo a metà giro! Mi rassegno, metto la bici in spalla, e inizio il mio lento calvario lungo il ripido ghiaione che ci porterà alla forcella di Seies.
Dopo un bel po' di portage, arriviamo alla forcella sfiniti... e adesso ci aspetta il famigerato tratto col cavo d'acciaio! Io e Michele decidiamo di sederci un attimo, all'ombra di una pietra, a riprendere fiato e goderci un po' il panorama, che è DAVVERO notevole.
Qui assisto ad'una scena che mi rincuora: vedo una coppia scendere, marito e moglie abbastanza avanti con l'età e per nulla atletici, con una certa disinvoltura dal famigerato tratto attrezzato. Penso, quindi, che il tratto non deve essere poi così brutto, se due "vecchietti" se lo son bevuto così a cuor leggero!
Mentre penso ciò, scorgo due ragazzi sulla cima, anche loro intenti a scendere da dove sono già passati i vecchietti. Giovani, a petto nudo e con notevoli addominali in bella vista. Ossia, col classico fisico che tutti noi vantiamo aver avuto da giovani, ma che poi in realtà solo pochi hanno avuto in dotazione da madre natura.
Penso che siano due trail runner, che per scendere neppure avranno bisogno dei cavi, ma che anzi s'involeranno giù di corsa...
Niente di più sbagliato. Incomincia una scena da comiche, con i baldi giovani che iniziano a scendere letteralmente "di culo" e altre pose poco dignitose o instagrammabili. Ecco, dovevano arrivare 'sti due a farmi tornare le fisime sul tratto col cavo!
Aspettiamo un po', poi io e Michele decidiamo di partire con i due che ancora stanno ravanando in discesa. Ci incrociamo, ci guardano, e un po' spaesati ci chiedono:
- "Ma salite di qua?"
- Sì
- "Con le bici?"
- Sì
- "Ah... buon giro!"
- Grazie, altrettanto.
Chissà cosa avranno pensato, vedendoci tutti gobbi sotto il peso delle nostre bici, a fare il tratto dove loro son scesi con così poca dignità... soprattutto, chissà cosa avrebbero pensato se avessero visto i vecchietti di prima!
Il tratto attrezzato si rivelerà duro, molto, con una bici in spalla. Fortunatamente avevo il gancio allo zaino, che mi permette di avere le mani libere, e tirarmi su con entrambe le mani è stato un po' più facile che non farlo con una sola mano. In un punto, un po' più ostico, bisogna passare "da una cima all'altra", ma la presenza del cavo permette di farlo in tranquillità (a patto di non guardare giù).
Finito il trattino attrezzato, finisce l'incantesimo iniziato la sera prima, che mi aveva tenuto con i nervi tesi per tutto il giorno. Abbraccio Michele come gesto liberatorio, e rimango incantato da quello che ci circonda... sconfinate distese di picchi, pietre, e "profondissima quiete".
Dopo un po' di foto, riprendiamo le nostre bici e facciamo un traverso leggermente delicato, con altri tratti a corda fissa... ma ormai il peggio è passato.
E presto arriviamo all'inizio della nostra discesa, DA URLO, verso il rifugio Puez. Di cui NON abbiamo fatto molte foto, tanto era il nostro godimento.
Proverò, quindi, a descriverla: sterminate distese erbose interrotte dalle creste di aspre montagne, col Sassongher che, in lontananza, si staglia più in alto di tutte con la sua forma arcigna. Con noi solo le marmotte che, curiose, ci osservano.
Arriviamo al rifugio Puez e ci fermiamo, finalmente, per il primo panino e birra di giornata... nonostante siano già le 5 del pomeriggio!
Dopo la meritatissima sosta, ripartiamo (ovviamente in portage) diretti verso Cima Ciampani. Percorriamo grigie lastre di pietra che rendono il paesaggio lunare, con la luce del tramonto a fare da magico contorno. Incantati, accompagnati da questa meraviglia così come Dante fu accompagnato da Beatrice arriviamo, finalmente, in cima.
Ormai sono gasatissimo. Il sole sta calando, e con esso il caldo. La birra e il panino mi hanno dato nuove energie, e subito mi lancio in discesa da primo, a dettare il ritmo e le linee. Chiudo passaggi che, solitamente, mi incuterebbero un po' di timore, e più la discesa si fa tecnica più divento euforico, sciolto, e la mia guida si adatta, migliora. Tra aguzze rocce dolomitiche, trovo il mio flow.
In un baleno, e al pari di un sogno, la discesa finisce e siamo a Villa. Un trasferimento di qualche chilometro ci porta defnitivamente fuori dal sogno, e alle nostre macchine, che sono ormai le 21:00 di sera inoltrate. Ceniamo, ci salutiamo, e con un sorriso a 180 denti torno a casa.
Sapendo di aver concluso il, mio, giro dell'anno.
*** ***
Per tutti i tratti non documentati da foto, c'è la vostra fantasia... oppure c'è il video: