Oggi è un giorno particolare. In giro non c’è nessuno. E’ come girare di notte. A me piace girare di notte, mi godo il silenzio e l’aria fresca. Ma non è notte. Sto guidando il Suzuki verso la mia meta di oggi, Aviano tanto per cambiare, col vento in faccia e uno splendido sole estivo a picco sopra di me. Oggi giro da solo. Come tutti gli altri anche gli amici sono rinchiusi in stanze climatizzate, incollati ad un televisore, con una birra fresca in mano. Oggi l’Italia si gioca la finale degli europei.
Così quando arrivo al solito parcheggio lo trovo completamente vuoto. Me lo aspettavo ma mi scappa un sorrisetto di soddisfazione: oggi la montagna è tutta per me!
Lascio la macchina sotto la grande quercia, quella con i cuori di tre generazioni di innamorati, o forse anche di più, incisi nella corteccia. Il sole adesso picchia sul serio. Ma tanto il giro di oggi sarà quasi tutto sottobosco. Il Maledetto Chilometro D’Asfalto (l’ho ribattezzato così da quando ho la Stinky) che separa il parcheggio dall’imbocco dei sentieri oggi è quasi piacevole. Silenzio assoluto, sembra di poter sentire il battito d’ ali delle farfalle.
Il programma di oggi è particolare almeno quanto la giornata. Oggi approfitto per chiudere un vecchio conto con questo bosco, per vincere una paura che ho sepolto nella mia testa quando avevo 14 anni. Anche quel giorno gli amici avevano dato buca, non mi ricordo più nemmeno perché. Così, un po’ per paura di annoiarmi a fare le solite cose, un po’ perché quando sono solo divento curioso, avevo seguito un sentiero nuovo, nemmeno segnato sulla cartina. All’inizio era pietraia interminabile, un vero supplizio insomma. Poi arrivava ad una radura. Splendida, silenziosa e perfettamente piana. E lì mi ero fermato a prendere fiato, quel giorno di 17 anni fa. E mentre mi godevo l’ombra di un pino un suono sinistro, mai sentito prima, aveva trasformato quella giornata in un’esperienza assolutamente indimenticabile. Sembrava il ringhio di un cane, Di un cane maledettamente grosso ed arrabbiato. L’avevo sentito avvicinarsi senza nemmeno avere il tempo di capire da dove provenisse. Intorno a me la vegetazione era fitta. Ma non mi ci era voluto molto a decidere che non volevo scoprire di che razza fosse. Avevo girato il cancellone che pedalavo a quel tempo ed ero partito a razzo, giù per la pietraia da cui ero venuto. Ed ero sceso veloce come mai prima. Un’emozione forte, la sensazione di essere inseguito, la paura, mescolata all’esaltazione di volare su quelle pietre. Finchè non avevo superato i limiti e la mia corsa l’avevo finita col sedere per terra. Quel giorno me l’ero cavata con un po’ di botte, una gran strizza, una forcella piegata ed una ruota a patatina. Tutto sommato mi era andata bene. Ma in quel posto non avevo mai più rimesso piede. Era da un pezzo che volevo vincere questo demone. Quale occasione migliore di oggi?
Così al bivio prendo la traccia che porta alla pietraia. E’ passato un bel po’ ma me la ricordo ancora bene. Col tempo è riuscita a peggiorare. Non ci sono traiettorie evidenti, né traccia del passaggio di altre bici. I rovi se la sono ingoiata quasi del tutto, ci passa a malapena la mia bici. Perlomeno è in ombra. Me la sudo parecchio ma arrivo alla radura. Stupefacente! Lei è esattamente come me la ricordavo. Qui sembra che il tempo si sia fermato. La stessa pace, lo stesso silenzio. Cerco di sentire il ringhio, magari sommesso, magari in lontananza. Niente. E come potrebbe essere? Qualsiasi bestia fosse a quest’ora dev’ essere morta e stramorta. Così continuo. C’è una traccia abbastanza evidente che si inoltra nella vegetazione alla fine della radura. Non è segnalata. Normale, è un sentiero di quelli che usano i cinghiali. La zona ne è piena. Ma a quest’ora non dovrei incontrarne. Avanzo per un po’. Il fondo è ottimo, una splendida terra battuta con qualche radice qua e là. Incontro diverse biforcazioni. Ai cinghiali questo bosco deve piacere parecchio! E li capisco perfettamente. Cosa mi sono perso in tutti questi anni! Poi un rumore. Qualcosa nella vegetazione dietro di me. Mi fermo. Niente. Cacchio ho 31 anni! Non se ne parla di farsi suggestionare. Ormai il demone è sconfitto. Ho superato la radura. In effetti però c’è qualcosa di strano. Il silenzio è strano! Qui c’è parecchia vegetazione e ci sono anche parecchie impronte di animali. Eppure non si muove una mosca. L’atmosfera che fino ad un secondo fa mi sembrava paradisiaca ora è diventata decisamente sinistra. Sto per ripartire quando il rumore si sente di nuovo. Stavolta molto vicino. Potrà essere ad una quindicina di metri da me, dietro di me. Sto per girarmi quando il ringhio mi gela il sangue. Sono paralizzato. Di colpo mi ricordo benissimo perché non ero più venuto qui. Mi ricordo perché quel giorno andavo così veloce. Questo non è il verso di un cane. E’ il verso di qualcosa di molto più grosso e cattivo. E stavolta è maledettamente vicino. Qualsiasi cosa sia oggi mi ha fregato. Oggi è tardi per tornare indietro. Lo sento avvicinarsi alle mie spalle. Non ho la forza né voglio girarmi a guardare. Poi le forze mi tornano tutte di colpo. Mi sparo giù per la prima traccia di sentiero. Non c’è tempo di scegliere. Deve essere quella giusta! Qualsiasi cosa sia mi sta inseguendo. Sento rompersi rami dietro di me, dev’essere maledettamente grosso. E maledettamente vicino. Mi sembra quasi di poter percepire la sua furia, il suo fiato sul mio collo. Sto correndo come una scheggia impazzita, i rami mi sferzano il viso. Ma non posso rallentare. Di nuovo quella sensazione, la paura mista all’esaltazione. Sto volando! Non male per un vecchietto… Ma anche stavolta esagero. D’un tratto perdo la bici. Per qualche interminabile secondo sono in aria, vedo la terra passare velocissima un metro sotto di me. Poi il buio. Credo di aver colpito un albero.
Quando riapro gli occhi sono steso per terra, sopra di me quella che potrebbe essere la volta di una caverna. Vengo investito da un tremendo puzzo di putrefazione. E da un dolore lancinante. A fatica riesco ad alzare la testa. Devo essere piuttosto malconcio ma la cosa peggiore è la mia gamba destra. Il polpaccio è un grumo sanguinolento di carne e pelle lacerate. Non posso essermelo fatto cadendo. Non riesco a guardarlo. Mi viene da vomitare. Credo che la cosa che mi inseguiva mi abbia dato un’assaggiatina. Ora capisco il motivo del puzzo. Intorno ci sono ossa e carcasse di cinghiale più o meno decomposte. Sono nella Sua tana! Devo andarmene, prima che torni. Terrore e dolore lottano nella mia testa ed alla fine vince il primo. Riesco ad alzarmi sulla gamba sana. L’altra fa veramente male! Credo di non aver mai provato una sensazione simile. Oggi i miei sensi stanno subendo molto più di quanto possano sopportare. Riesco ad arrivare all’ingresso della caverna. Per un attimo il sole mi abbaglia. Fuori il terreno è in forte pendenza, la vegetazione è fitta. C’è un solo passaggio ben evidente, che si allontana ad ovest restando in costa alla montagna. Tornerà di lì. Potrebbe essere già vicino. Non riuscirò a sfuggirgli in queste condizioni! Faccio la scelta più sensata, ma anche la più dolorosa: scendo per il pendio. Sono instabile sulla gamba buona e cado più volte. Ruzzolo giù, mi fermo contro qualcosa. Ogni volta che urto la gamba maciullata vengo sferzato da un dolore lancinante. Quasi svengo. Devo aver perso molto sangue. Il sangue! Mi troverà sicuramente, forse è già sulle mie tracce. E sarà furibondo! Non posso farmi bloccare dalla paura. Devo andare avanti! Trovo una traccia che scende verso valle. E’ pericoloso restarci ma almeno riesco ad andare avanti senza cadere. La riconosco! L’ho fatta prima, in un prima indefinito che mi sembra lontano una vita, mentre scappavo! Infatti non molto più in giù c’è la mia Stinky per terra. La speranza mi fa andare più veloce. Ci arrivo. Lei se l’è cavata molto meglio di me. Ha una ruota un po’ storta ma il resto sembra in ordine. Non mi spiego e non voglio sapere perché quella cosa non mi abbia ancora raggiunto ma la immagino sulle mie tracce. Salgo in bici come posso e parto. Non riesco a far stare il piede destro sul pedale. Ogni volta che cade o urta qualcosa fitte di dolore mi assalgono. Ma è un bene perché così almeno non perdo conoscenza. Sto scendendo per il sentiero come se fossi un sacco di patate, un peso morto. Lento, ma almeno non cado. Anche così sto “scappando” dieci volte più veloce di prima. Non so quanto mi ci sia voluto, ho perso la cognizione del tempo da un pezzo. Mi rimane solo la lucidità per respirare e guidare la bici. I rovi mi sferzano il viso ma ormai non li sento più. Poi di colpo mi trovo su una strada asfaltata. E’ il mio Maledetto Chilometro D’Asfalto! Non sono mai stato così felice di vederlo. Lascio i freni, mi avvicino veloce al parcheggio. Faccio in tempo a vedere il Suzuki sotto la quercia. Vicino ci sono altre macchine. La partita dev’essere finita.
Poi il buio. Di nuovo.
Apro gli occhi. Sopra di me una luce al neon. Nell’aria odore di pulito e di disinfettante. Alla mia sinistra troneggia una flebo. E’ attaccata al mio braccio! Nel letto accanto un signore di mezza età sta leggendo un libro. Mi vede sveglio, mi sorride. Sono in un’ospedale.
Sono salvo!
Così quando arrivo al solito parcheggio lo trovo completamente vuoto. Me lo aspettavo ma mi scappa un sorrisetto di soddisfazione: oggi la montagna è tutta per me!
Lascio la macchina sotto la grande quercia, quella con i cuori di tre generazioni di innamorati, o forse anche di più, incisi nella corteccia. Il sole adesso picchia sul serio. Ma tanto il giro di oggi sarà quasi tutto sottobosco. Il Maledetto Chilometro D’Asfalto (l’ho ribattezzato così da quando ho la Stinky) che separa il parcheggio dall’imbocco dei sentieri oggi è quasi piacevole. Silenzio assoluto, sembra di poter sentire il battito d’ ali delle farfalle.
Il programma di oggi è particolare almeno quanto la giornata. Oggi approfitto per chiudere un vecchio conto con questo bosco, per vincere una paura che ho sepolto nella mia testa quando avevo 14 anni. Anche quel giorno gli amici avevano dato buca, non mi ricordo più nemmeno perché. Così, un po’ per paura di annoiarmi a fare le solite cose, un po’ perché quando sono solo divento curioso, avevo seguito un sentiero nuovo, nemmeno segnato sulla cartina. All’inizio era pietraia interminabile, un vero supplizio insomma. Poi arrivava ad una radura. Splendida, silenziosa e perfettamente piana. E lì mi ero fermato a prendere fiato, quel giorno di 17 anni fa. E mentre mi godevo l’ombra di un pino un suono sinistro, mai sentito prima, aveva trasformato quella giornata in un’esperienza assolutamente indimenticabile. Sembrava il ringhio di un cane, Di un cane maledettamente grosso ed arrabbiato. L’avevo sentito avvicinarsi senza nemmeno avere il tempo di capire da dove provenisse. Intorno a me la vegetazione era fitta. Ma non mi ci era voluto molto a decidere che non volevo scoprire di che razza fosse. Avevo girato il cancellone che pedalavo a quel tempo ed ero partito a razzo, giù per la pietraia da cui ero venuto. Ed ero sceso veloce come mai prima. Un’emozione forte, la sensazione di essere inseguito, la paura, mescolata all’esaltazione di volare su quelle pietre. Finchè non avevo superato i limiti e la mia corsa l’avevo finita col sedere per terra. Quel giorno me l’ero cavata con un po’ di botte, una gran strizza, una forcella piegata ed una ruota a patatina. Tutto sommato mi era andata bene. Ma in quel posto non avevo mai più rimesso piede. Era da un pezzo che volevo vincere questo demone. Quale occasione migliore di oggi?
Così al bivio prendo la traccia che porta alla pietraia. E’ passato un bel po’ ma me la ricordo ancora bene. Col tempo è riuscita a peggiorare. Non ci sono traiettorie evidenti, né traccia del passaggio di altre bici. I rovi se la sono ingoiata quasi del tutto, ci passa a malapena la mia bici. Perlomeno è in ombra. Me la sudo parecchio ma arrivo alla radura. Stupefacente! Lei è esattamente come me la ricordavo. Qui sembra che il tempo si sia fermato. La stessa pace, lo stesso silenzio. Cerco di sentire il ringhio, magari sommesso, magari in lontananza. Niente. E come potrebbe essere? Qualsiasi bestia fosse a quest’ora dev’ essere morta e stramorta. Così continuo. C’è una traccia abbastanza evidente che si inoltra nella vegetazione alla fine della radura. Non è segnalata. Normale, è un sentiero di quelli che usano i cinghiali. La zona ne è piena. Ma a quest’ora non dovrei incontrarne. Avanzo per un po’. Il fondo è ottimo, una splendida terra battuta con qualche radice qua e là. Incontro diverse biforcazioni. Ai cinghiali questo bosco deve piacere parecchio! E li capisco perfettamente. Cosa mi sono perso in tutti questi anni! Poi un rumore. Qualcosa nella vegetazione dietro di me. Mi fermo. Niente. Cacchio ho 31 anni! Non se ne parla di farsi suggestionare. Ormai il demone è sconfitto. Ho superato la radura. In effetti però c’è qualcosa di strano. Il silenzio è strano! Qui c’è parecchia vegetazione e ci sono anche parecchie impronte di animali. Eppure non si muove una mosca. L’atmosfera che fino ad un secondo fa mi sembrava paradisiaca ora è diventata decisamente sinistra. Sto per ripartire quando il rumore si sente di nuovo. Stavolta molto vicino. Potrà essere ad una quindicina di metri da me, dietro di me. Sto per girarmi quando il ringhio mi gela il sangue. Sono paralizzato. Di colpo mi ricordo benissimo perché non ero più venuto qui. Mi ricordo perché quel giorno andavo così veloce. Questo non è il verso di un cane. E’ il verso di qualcosa di molto più grosso e cattivo. E stavolta è maledettamente vicino. Qualsiasi cosa sia oggi mi ha fregato. Oggi è tardi per tornare indietro. Lo sento avvicinarsi alle mie spalle. Non ho la forza né voglio girarmi a guardare. Poi le forze mi tornano tutte di colpo. Mi sparo giù per la prima traccia di sentiero. Non c’è tempo di scegliere. Deve essere quella giusta! Qualsiasi cosa sia mi sta inseguendo. Sento rompersi rami dietro di me, dev’essere maledettamente grosso. E maledettamente vicino. Mi sembra quasi di poter percepire la sua furia, il suo fiato sul mio collo. Sto correndo come una scheggia impazzita, i rami mi sferzano il viso. Ma non posso rallentare. Di nuovo quella sensazione, la paura mista all’esaltazione. Sto volando! Non male per un vecchietto… Ma anche stavolta esagero. D’un tratto perdo la bici. Per qualche interminabile secondo sono in aria, vedo la terra passare velocissima un metro sotto di me. Poi il buio. Credo di aver colpito un albero.
Quando riapro gli occhi sono steso per terra, sopra di me quella che potrebbe essere la volta di una caverna. Vengo investito da un tremendo puzzo di putrefazione. E da un dolore lancinante. A fatica riesco ad alzare la testa. Devo essere piuttosto malconcio ma la cosa peggiore è la mia gamba destra. Il polpaccio è un grumo sanguinolento di carne e pelle lacerate. Non posso essermelo fatto cadendo. Non riesco a guardarlo. Mi viene da vomitare. Credo che la cosa che mi inseguiva mi abbia dato un’assaggiatina. Ora capisco il motivo del puzzo. Intorno ci sono ossa e carcasse di cinghiale più o meno decomposte. Sono nella Sua tana! Devo andarmene, prima che torni. Terrore e dolore lottano nella mia testa ed alla fine vince il primo. Riesco ad alzarmi sulla gamba sana. L’altra fa veramente male! Credo di non aver mai provato una sensazione simile. Oggi i miei sensi stanno subendo molto più di quanto possano sopportare. Riesco ad arrivare all’ingresso della caverna. Per un attimo il sole mi abbaglia. Fuori il terreno è in forte pendenza, la vegetazione è fitta. C’è un solo passaggio ben evidente, che si allontana ad ovest restando in costa alla montagna. Tornerà di lì. Potrebbe essere già vicino. Non riuscirò a sfuggirgli in queste condizioni! Faccio la scelta più sensata, ma anche la più dolorosa: scendo per il pendio. Sono instabile sulla gamba buona e cado più volte. Ruzzolo giù, mi fermo contro qualcosa. Ogni volta che urto la gamba maciullata vengo sferzato da un dolore lancinante. Quasi svengo. Devo aver perso molto sangue. Il sangue! Mi troverà sicuramente, forse è già sulle mie tracce. E sarà furibondo! Non posso farmi bloccare dalla paura. Devo andare avanti! Trovo una traccia che scende verso valle. E’ pericoloso restarci ma almeno riesco ad andare avanti senza cadere. La riconosco! L’ho fatta prima, in un prima indefinito che mi sembra lontano una vita, mentre scappavo! Infatti non molto più in giù c’è la mia Stinky per terra. La speranza mi fa andare più veloce. Ci arrivo. Lei se l’è cavata molto meglio di me. Ha una ruota un po’ storta ma il resto sembra in ordine. Non mi spiego e non voglio sapere perché quella cosa non mi abbia ancora raggiunto ma la immagino sulle mie tracce. Salgo in bici come posso e parto. Non riesco a far stare il piede destro sul pedale. Ogni volta che cade o urta qualcosa fitte di dolore mi assalgono. Ma è un bene perché così almeno non perdo conoscenza. Sto scendendo per il sentiero come se fossi un sacco di patate, un peso morto. Lento, ma almeno non cado. Anche così sto “scappando” dieci volte più veloce di prima. Non so quanto mi ci sia voluto, ho perso la cognizione del tempo da un pezzo. Mi rimane solo la lucidità per respirare e guidare la bici. I rovi mi sferzano il viso ma ormai non li sento più. Poi di colpo mi trovo su una strada asfaltata. E’ il mio Maledetto Chilometro D’Asfalto! Non sono mai stato così felice di vederlo. Lascio i freni, mi avvicino veloce al parcheggio. Faccio in tempo a vedere il Suzuki sotto la quercia. Vicino ci sono altre macchine. La partita dev’essere finita.
Poi il buio. Di nuovo.
Apro gli occhi. Sopra di me una luce al neon. Nell’aria odore di pulito e di disinfettante. Alla mia sinistra troneggia una flebo. E’ attaccata al mio braccio! Nel letto accanto un signore di mezza età sta leggendo un libro. Mi vede sveglio, mi sorride. Sono in un’ospedale.
Sono salvo!