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Il Cancello

JENNIFER

Biker tremendus
13/3/03
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La California
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Tante volte aveva preso la sua bici, era salito non senza fatica con gomme poco generose sul monte vicino casa per assaporare poi il percorso in discesa “tutto suo” che conosceva quasi a memoria, guidava come lui solo sapeva, in quei 4 km di discesa si riappropriava pienamente di se stesso, la discesa filava liscia anche sui sassi, le ruote passavano millimetricamente su appoggi precari senza indugio, i salti altrove tabù regalavano sensazioni di leggerezza e gli atterraggi non preoccupavano, anche quando un’improvvisa perdita d’aderenza avrebbe potuto turbarlo il suo corpo rispondeva con un accorto riflesso che riportava la bici sulla corretta traiettoria ed il pensiero a librarsi nell’aria!

Si, in quei 4 km il tempo non esisteva, ed sullo stretto sentiero appariva improvvisamente un enorme cancello in ferro battuto aperto due grosse colonne con pietra a vista, oltre una smisurata prateria dove ruzzolare sull’erba profumata che inumidisce i vestiti e ovatta i suoni delle capriole. Una sensazione di pace con se stesso, con l’ambiente, con gli altri uomini, con il mondo tutto e forse anche con un Dio. Una sensazione di “onnipotenza” nel divertimento senza vincoli di leggi fisiche ne impedimenti di alcun genere.

Pensiero che nessuno immaginerebbe avesse fatto, vedendolo passare sudato dalla salita appena compiuta, vestito con tuta ricucita in più punti e la cromatura del casco logora, tutto concentrato sull’affrontare la curva successiva, come se dovesse disegnarla con un pennarello indelebile in un’unica armoniosa linea.

Un piccolo cenno con la testa per salutare con dentro tutto il significato di “buongiorno, qui tutto bello bello.. come va sulla terra?” era svanita la fatica erano spariti i pensieri che durante la salita lo affliggevano, era sparito il nervoso della giornata di lavoro e lo stress si era trasformato in un allegro motivetto sentito ore prima alla radio che adesso canticchiava riassumendolo in un’unica strofa prolungando il brivido del sudore freddo lungo la schiena che piano piano si asciugava per effetto del vento e del sole al tramonto, che di tanto in tanto spuntava là dove c’era da saltare il tronco per l’albero caduto o nel repentino cambio di pendenza, quel sole non lo disturbava, ma moltiplicava la sua gioia “ancora c’è giorno!” pensava “tra meno di un mese tramonterà dietro il campanile e avrò ancora più tempo per stare qui!”

Ma qui dove? Non era sul nostro pianeta? Fisicamente lo era, ma il mondo in cui si trovava la sua testa era un mondo primordiale fatto di pochi ma basilari valori, dove le cose semplici hanno un immenso valore, dove l’uomo è in simbiosi con i suoi simili e con la natura, dove il cibo è genuino, la notte stellata, l’acqua è limpida e le nuvole creano giochi d’ombra sui monti!

Una brusca frenata, le dita fanno quasi male, ma bisogna frenare e alla svelta! la decelerazione è brusca ma pensiero continua la sua corsa sparendo tra le case, dietro la schiena il cancello si chiude senza far rumore e come era apparso svanisce.

Era tornato nel mondo, quel mondo che per dieci minuti aveva abbandonato, i graffi sulle gambe e la bocca impastata gli consigliano di arrivare rapidamente a casa, la bici è pesante, le ruote svirgolano e un disco frega, ma non sono questi i problemi di quel ciclista, pensa al mondo che ha immaginato e vorrebbe che diventasse il mondo reale pensa che per ottenerlo bisognerebbe che tutti prendessero la bici e facessero quel percorso, ma i più non hanno la bici, chi potrebbe averla non vuole durare fatica, e per chi la ha, quel percorso esiste, ma bisogna schiacciare il sasso giusto per far apparire il cancello!

Iacopo
 

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